Davvero avreste boicottato tutto questo?

E voi avreste boicottato tutto questo? Legittimo, per carità. Ma quanta bellezza, e quante drammatiche emozioni sarebbero state sprecate. È stato bellissimo. È stato un privilegio. Con tutti questi campioni al crepuscolo e altrettanti eredi sfacciati e già intrisi di gloria e lacrime. Che finale tremenda. E che finale pazzesco per Lionel Messi, signore del calcio e ora ancora più grande. Non come, ma tanto quanto Maradona. Diego, oggi, deve averlo osservato dal cielo e – chi lo sa – forse ora potrà essere lasciato in pace una volta per tutte. La mano di Dio ha chiuso il cerchio. Sì, per la Pulce è stata la catarsi. Per il Qatar un clamoroso successo. Parlare di purificazione anche con l’Emirato, tuttavia, sarebbe profondamente sbagliato. La catarsi, in questo caso, rappresenta solo una consonanza beffarda. I Mondiali del 2022, fuori da quel posto incantato che è il campo di pallone, chiudono d’altronde come avevano preparato il cammino. Imperfetti e viziati dagli scandali. I padroni del torneo, per un attimo, non devono aver creduto ai loro occhi. Prima una finale nel nome del figlio – il PSG –, poi la possibile vittoria in quella del padre. L’Eliseo, già, al Lusail Stadium incarnato da Emmanuel Macron, 12 anni fa da Nicolas Sarkozy. In un lungo abbraccio colluso. Da Doha a Parigi, con vista su Bruxelles. Ciò non significa che la missione – organizzativa e sportiva – sia fallita. Non ce ne vogliano malelingue e professori: l’edizione tardo-autunnale promossa dal Qatar ha convinto in molti suoi aspetti. Non tutti, molti sì. Lo spettacolo sul rettangolo verde – perché in fondo parliamo di questo, anche di questo – è stato eccezionale. Permettendo alla magia della Coppa del Mondo di perpetuarsi anche in Medio Oriente. Sino a infrangere le fragili barriere erette in Occidente. No, davvero, non avremmo mai voluto privarci di questo. Nemmeno della disfatta rossocrociata. A qualcosa, a qualcuno, farà bene. E poi boicottare anche il Marocco? Boicottare le lacrime di Cristiano Ronaldo e Neymar? Rinunciare al drammatico epilogo? Mai.
È vero, non è stato il Mondiale dei tifosi. E del fervore percepibile in ogni vicolo, in ogni volto. Hanno trascinato argentini, messicani e arabi, hanno imbarazzato – come la selezione di casa – i finti sostenitori qatarioti. Che poi, è una questione di accenti. Di dove si posa lo sguardo: sul tappeto verde o sulle tribune? Sul gesto tecnico o il boccale? La FIFA, per dire, gonfia il petto per l’assenza di incidenti, per il contesto gioioso. Forse dimentica le tragedie precedenti. E, va da sé, guarda con sufficienza a incidenti d’altro tipo: quelli diplomatici hanno incattivito soprattutto la prima parte della competizione. Brutto, sì. Un braccio di ferro preoccupante, soprattutto in prospettiva. A maggior ragione a fronte delle fresche comunicazioni di Gianni Infantino.
Il presidente non ha impiegato molto a svestire i panni del bimbo bullizzato per indossare quelli del bullo. «Il calcio diventerà il primo sport in Nordamerica» ha dichiarato, sventolando un assegno da 11 miliardi di dollari per il prossimo quadriennio. E annunciando urbi et orbi il suo Mondiale per club a 32 squadre. Una prova di forza tanto pericolosa quanto inevitabile. Tornando alle nazionali, Qatar 2022 ha d’altronde fatto il gioco di Gianni e dei suoi nuovi alleati. L’edizione a 48, nel 2026, fa sicuramente meno paura dopo l’exploit del Marocco e l’accesso agli ottavi di formazioni da ogni continente. La probabile retromarcia sui gironi da tre, al grido «è troppo bella l’incertezza garantita con l’attuale sistema», è invece solo funzionale ad aumentare numero di partite e soldi incassati. Quelli che non decidono i Mondiali in campo, ma in che campo farli giocare. Negli occhi della gente, per fortuna, rimarrà ancora una volta il bello.