Guerra

La mostra delle atrocità in Ucraina: dalle bombe a grappolo alle mine antiuomo

Human Rights Watch denuncia l'utilizzo da parte dei russi delle nuove POM-3: le mine antiuomo sono trappole letali soprattutto per civili e bambini, come i «pappagalli verdi» raccontati da Gino Strada
Michele Montanari
31.03.2022 17:54

Mentre il mondo intero spera che dai negoziati arrivi quantomeno una tregua, nella mostra delle atrocità «allestita» in Ucraina si usano strumenti di morte sempre più scorretti (ammesso che una diavoleria concepita per ammazzare un essere umano possa esser definita corretta). Nonostante le denunce ucraine e i sospetti USA, non c’è ancora la certezza sull’utilizzo di armi chimiche, termobariche e bombe al fosforo bianco. Per ora tutti i condizionali restano dunque obbligatori, visto che sul campo di battaglia la verità viene uccisa continuamente dai colpi della propaganda. L’ONU e Human Rights Watch (HRW) hanno però confermato il lancio di bombe a grappolo e l’uso di mine antiuomo. Queste ultime sono la triste novità del conflitto, e sono state localizzate da tecnici ucraini lo scorso 28 marzo nella regione orientale di Kharkiv. La Russia possiede le POM-3 o «Medallion», ordigni di nuova concezione che, sottolinea HRW, «possono uccidere e mutilare indiscriminatamente persone entro un raggio di 16 metri». Le mine antiuomo sono state messe al bando a livello mondiale nel 1997 con il Trattato di Ottawa, una convenzione entrata in vigore due anni dopo e firmata da 138 Paesi (oggi 164). L'Ucraina ha sottoscritto la convenzione nel 1999 e non possiede mine antiuomo. La Russia invece non ha aderito. Il Trattato di Ottawa non solo vieta l’utilizzo dei congegni letali, ma anche la produzione, lo stoccaggio e la vendita. Steve Goose, direttore della Divisione Armi di HRW, ha lanciato l’allarme: «I Paesi di tutto il mondo dovrebbero condannare con forza l'uso da parte della Russia di mine antiuomo vietate. Queste armi non fanno distinzione tra combattenti e civili e lasciano un'eredità mortale per gli anni a venire. Il loro utilizzo viola deliberatamente la norma internazionale contro queste orribili armi». Human Rights Watch ha documentato l'uso di mine antiuomo di origine sovietica o russa in più di 30 Paesi, tra cui Ucraina (già nel 2014), Siria, Afghanistan e Libia.

Mine antiuomo di nuova generazione

Le POM-3 sono dotate di un sensore sismico per rilevare il movimento di una persona nei paraggi. Il congegno poi espelle una carica esplosiva nell'aria. La deflagrazione della carica rilascia frammenti di metallo che possono uccidere e provocare gravi lesioni entro un raggio di 16 metri. Secondo HRW, sono poche le informazioni disponibili sulle POM-3, ma queste sarebbero dotate di un dispositivo di autodistruzione che entra in azione dopo un certo periodo di tempo. Non è chiaro se si tratti di ore o addirittura giorni, ma questo, se fosse confermato, eliminerebbe parecchi problemi di sminamento. Secondo il rapporto Landmine Monitor 2021, il lanciarazzi ISDM Zemledielie-I, usato anche per le mine POM-3, è apparso per la prima volta nel 2021 durante esercitazioni militari russe. Anche le mine anticarro possono essere lanciate con gli ISDM. Le POM-3, una volta lanciate, atterrano al suolo mediante un paracadute: se atterrano su un terreno morbido, vengono seppellite, mentre su un terreno duro rimangono in posizione verticale grazie a 6 piedi metallici.

Trappole mortali per i civili

Le mine antiuomo rendono molto più arduo un ritorno alla normalità per i Paesi che hanno vissuto la guerra, in quanto possono causare ulteriori vittime civili e continuare a danneggiare (leggasi mutilare) le popolazioni locali anche molto tempo dopo la fine del conflitto. La maggior parte delle mine sono progettate per esplodere solamente quando calpestate e spesso vengono realizzate usando un'alta percentuale di materiali non metallici, in modo da eludere la rilevazione dei metal detector. Secondo il report 2021 di Landmine Monitor, almeno 60 Stati del mondo hanno aree tutt'ora contaminate da questo tipo di ordigni. Nel 2020 le vittime di mine e residui bellici inesplosi sono state oltre 7 mila, con circa 2.500 decessi e 4.500 feriti. Le persone incappate nelle trappole mortali sono state in gran parte civili (80%) e molte di loro erano bambini (circa un terzo). Alla fine degli anni 90, prima che molti Paesi aderissero al Trattato di Ottawa, è stato stimato che ogni 20 minuti nel mondo una persona finisse su una mina, rimanendo uccisa o gravemente ferita.

I pappagalli verdi

Mine antiuomo. Un nome che sembra il più grande dei paradossi: come può l’essere umano creare qualcosa che sia proprio contro l’essere umano? Genialità del male, più che banalità. E poi, quanto è tristemente riduttivo quell’«antiuomo»? Le mine sono pure antidonna e, soprattutto, antibambino. Gino Strada nel suo Pappagalli verdi: cronache di un chirurgo di guerra (Feltrinelli, 1999) scrisse parole dure come macigni sulle vittime di questi ordigni spietati, concepiti proprio per sembrare giocattoli ed attirare i piccoli. Le PFM-1 sovietiche usate in Afghanistan: un orrore impossibile da capire e da raccontare. E allora ci affidiamo a Gino Strada, il fondatore di Emergency scomparso nel 2021:

«Le chiamano pappagalli verdi (…). Vengono giù a migliaia, lanciate dagli elicotteri a bassa quota (…). Mine giocattolo, studiate per mutilare bambini. Ho dovuto crederci, anche se ancora oggi ho difficoltà a capire (…). Mine antiuomo di fabbricazione russa, modello PFM-1. Gli ho spiegato che le gettano sui villaggi, come fossero volantini pubblicitari che invitano a non perdere lo spettacolo domenicale del circo equestre (…). La forma della mina, con le due ali laterali, serve a farla volteggiare meglio. In altre parole, non cadono a picco quando vengono rilasciate dagli elicotteri, si comportano proprio come i volantini, si sparpagliano qua e là su un territorio molto più vasto (…). Sono fatte così per una ragione puramente tecnica – affermano i militari – non è corretto chiamarle mine giocattolo. Ma a me non è mai successo, tra gli sventurati feriti da queste mine che mi è capitato di operare, di trovarne uno adulto. Neanche uno, in più di dieci anni, tutti rigorosamente bambini. La mina non scoppia subito, spesso non si attiva se la si calpesta. Ci vuole un po’ di tempo, funziona, come dicono i manuali, per accumulo successivo di pressione. Bisogna prenderla, maneggiarla ripetutamente, schiacciarne le ali. Chi la raccoglie, insomma, può portarsela a casa, mostrarla nel cortile agli amici incuriositi, che se la passano di mano in mano, ci giocano. Poi esploderà (…). Amputazione traumatica di una o entrambe le mani, una vampata ustionante su tutto il torace e, molto spesso, la cecità. Insopportabile. Ho visto troppo spesso bambini che si risvegliano dall’intervento chirurgico e si ritrovano senza una gamba, o senza un braccio. Hanno momenti di disperazione, poi, incredibilmente, si riprendono. Ma niente è insopportabile, per loro, come svegliarsi nel buio. I pappagalli verdi li trascinano nel buio, per sempre (…). Abbiamo immaginato un ingegnere efficiente e creativo, seduto alla scrivania a fare bozzetti, a disegnare la forma della PFM-1. E poi un chimico, a decidere i dettagli tecnici del meccanismo esplosivo, e infine un generale compiaciuto del progetto, e un politico che lo approva, e operai in un’officina che ne producono a migliaia, ogni giorno. Non sono fantasmi, purtroppo, sono esseri umani: hanno una faccia come la nostra, una famiglia come l’abbiamo noi, dei figli. E probabilmente li accompagnano a scuola la mattina, li prendono per mano mentre attraversano la strada (…). Poi se ne vanno in ufficio, a riprendere diligentemente il proprio lavoro, per essere sicuri che le mine funzionino a dovere, che altri bambini non si accorgano del trucco, che le raccolgano in tanti» (tratto da Pappagalli verdi: cronache di un chirurgo di guerra).

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