La polemica

La reazione rabbiosa di Joe Biden in difesa di Benjamin Netanyahu

Il presidente degli Stati Uniti, tramite una nota, ha etichettato come oltraggiosa la decisione del procuratore capo della Corte penale internazionale Karim Khan: «A prescindere da cosa possa insinuare questo procuratore, non esiste nessuna equivalenza – nessuna – fra Israele e Hamas»
© Alex Brandon
Red. Online
20.05.2024 21:00

La decisione del procuratore capo della Corte penale internazionale o CPI, Karim Khan, non è piaciuta a Joe Biden. Khan, riassumendo al massimo, ha chiesto alla Corte di emettere un mandato di arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, per il ministro della Difesa Yoav Gallant nonché per tre leader di Hamas, l'organizzazione che governa la Striscia di Gaza dal 2007 e che, il 7 ottobre scorso, si è macchiata di un vero e proprio massacro ai danni del popolo israeliano. 

In un comunicato stampa, il presidente degli Stati Uniti ha etichettato come «oltraggiosa» la decisione del procuratore capo. Una decisione che, in ogni caso, deve essere convalidata dalla Corte. «A prescindere da cosa possa insinuare questo procuratore, non esiste nessuna equivalenza – nessuna – fra Israele e Hamas» ha aggiunto con forza Biden. L'inquilino della Casa Bianca ha – in un certo senso – allargato il campo parlando di Israele. In realtà, la richiesta del procuratore capo della Corte penale internazionale si limita a due figure politiche dello Stato Ebraico: il primo ministro e il ministro della Difesa. Entrambi, come detto oggi, sono accusati di «aver provocato lo sterminio», di aver «usato la fame come metodo di guerra, compreso il rifiuto delle forniture di aiuti umanitari» e di aver «deliberatamente preso di mira i civili durante un conflitto». Azioni, queste, commesse in seguito all'invasione della citata Striscia di Gaza. Invasione che, secondo le stime, finora ha provocato 34 mila vittime. Per la maggior parte civili. 

Se è vero che la situazione umanitaria nella Striscia è terribile e che non pochi giuristi ritengono che le accuse mosse a Israele siano tutto fuorché infondate, è altrettanto vero che provare un crimine di genocidio è complicato, se non complicatissimo in tribunale. Biden, tornando al presidente degli Stati Uniti, ha riaffermato la dottrina «classica» americana. Che, per Israele, prevede un sostegno economico, politico e militare. Una mossa, questa, per certi versi sorprendente considerando che lo stesso Biden nelle ultime settimane aveva scavato un fossato fra l'America e Israele. Ammonendo, addirittura, Netanyahu circa l'intenzione di un'offensiva su Rafah. E minacciando di interrompere la fornitura di armi. 

Netanyahu, dal canto suo, ha tagliato corto: «L'ordine assurdo e falso del pubblico ministero dell'Aia non è diretto solo contro il premier e il ministro della Difesa, ma è diretto contro l'intero Stato di Israele». E ancora: «Respingo con disgusto – ha aggiunto il primoministro – il paragone del procuratore dell'Aia tra l'Israele democratico e gli assassini di massa di Hamas. Questo è esattamente l'aspetto del nuovo antisemitismo, che si è spostato dai campus dell'Occidente all'Aia. Prometto che nessuna pressione e nessuna decisione in qualsiasi forum internazionale ci impedirà di colpire coloro che cercano di distruggerci». Biden, di nuovo, nel tardo pomeriggio americano ha rincarato la dose: quello che sta accadendo a Gaza, ha detto, «non è genocidio».

Anche Repubblica Ceca e Austria hanno espresso forti critiche alla decisione del procuratore Khan, mentre il Regno Unito, tramite un portavoce di Downing Street, ha spiegato che i mandati d'arresto richiesti per Netanyahu e Gallant sono «un atto che non è d'aiuto in relazione agli sforzi per il raggiungimento di una pausa dei combattimenti» a Gaza, «del rilascio degli ostaggi e dell'arrivo di aiuti umanitari» nella Striscia. Londra ha pure contestato la giurisdizione della CPI nei territori in questione, considerando che Israele non ha mai sottoscritto lo Statuto di Roma mentre la Palestina, che lo ha sottoscritto, «non è ancora riconosciuta» come Stato.

La reazione del governo di Rishi Sunak, fra i principali alleati europei di Israele e degli Stati Uniti, nei toni e nella forma si è comunque discostata e di molto rispetto alla reazione rabbiosa, oseremmo dire di pancia, di Biden. Il procuratore Khan, d'altro canto, rimane uno dei più celebri avvocati ed esperti di diritto internazionale britannici, tant'è che in passato ha ricoperto la carica di consulente per diversi governi di Londra.

La Corte, concludendo, impiegherà verosimilmente diversi mesi per decidere se, infine, emettere o meno un mandato di arresto per Netanyahu, Gallant e i leader di Hamas: quando, nel 2023, la Corte emise un mandato di arresto nei confronti del presidente russo Vladimir Putin, è vero, la decisione richiese soltanto un mese, ma in altre circostanze il processo è stato decisamente più lungo. Finora, come sottolinea il Post, la Camera preliminare del tribunale dell'Aia ha accettato tutte le richieste di arresto presentate dal procuratore generale: ne ha rifiutata una, legata a un presunto criminale di guerra congolese, salvo poi accettarla quando il caso è stato ripresentato poco dopo.