Due anni di guerra

La sorte di Kiev resta nelle mani dell’Occidente

Soltanto con lo sblocco degli aiuti da parte di Washington sarà possibile per l’Ucraina fronteggiare l’esercito russo – In questo momento l’artiglieria di Mosca sembra poter disporre di molte più munizioni – Jens Stoltenberg: «Ogni settimana di attesa causa vittime in prima linea»
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky con il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg. ©Copyright 2023 The Associated Press. All rights reserved.
Dario Campione
24.02.2024 06:00

due anni esatti dall’invasione dell’Ucraina, gli obiettivi della cosiddetta «operazione militare speciale» voluta da Vladimir Putin sembrano essere lontanissimi. E probabilmente irraggiungibili.

Per il despota del Cremlino non sarà possibile trasformare l’Ucraina in uno Stato satellite, in stile Bielorussia, né deporre il governo legittimo di Volodymyr Zelensky. La guerra, perché di questo si tratta, nonostante tentativi acrobatici di travisamenti lessicali, ha prodotto una sorta di stallo. E in questo momento, secondo gli osservatori internazionali, è un mix di combattimenti di trincea che ricordano la Prima Guerra mondiale e di sfide ad altissimo contenuto tecnologico, soprattutto per l’utilizzo di migliaia di droni.

L’Ucraina ha resistito e resiste grazie unicamente agli aiuti dei Paesi occidentali, ma sul terreno le truppe di Kiev sono allo stremo. Lo stesso presidente Volodymyr Zelensky ha riconosciuto, nel suo discorso notturno di lunedì scorso, che «la situazione è estremamente difficile in numerose parti della linea del fronte, dove le truppe russe hanno accumulato il massimo delle riserve. La Russia - ha aggiunto - sta approfittando dei ritardi negli aiuti all’Ucraina».

I fattori esterni

Allo stato attuale, è impossibile dire come finirà. Secondo gli analisti, sono numerosi i fattori esterni al teatro del conflitto in grado di determinare l’esito della guerra, o quantomeno di condizionarlo in modo decisivo. Innanzitutto, ovviamente, la decisione americana sui 61 miliardi di dollari di aiuti militari ferma alla Camera dei rappresentanti. Il Senato ha approvato il relativo disegno di legge, che include anche sostegni per Israele e Taiwan, lo scorso 13 febbraio. Ma nell’altro ramo del Congresso, la resistenza da parte dei repubblicani vicini all’ex presidente Donald Trump è fortissima. Sino a questo momento, il presidente della Camera, Mike Johnson, ha resistito alle pressioni della Casa Bianca per indire un voto sul disegno di legge. La preoccupazione tra gli alleati degli USA è enorme. «Ogni settimana di attesa causa più vittime in prima linea in Ucraina», ha detto il capo della NATO, Jens Stoltenberg, lo scorso fine settimana nel suo intervento alla conferenza sulla sicurezza di Monaco.

Un secondo, grande, problema è, invece, il rifornimento di munizioni alle truppe di Kiev. Gran parte della guerra, spiegano gli analisti, è una dura battaglie di artiglieria, con entrambe le parti che sparano migliaia di proiettili ogni giorno. Mosca ha aumentato di recente la produzione e importato munizionamento dalla Corea del Nord e dall’Iran. Secondo Michael Kofman, ricercatore del Carnegie Endowment for International Peace, un think-tank con sede a Washington, attualmente l’artiglieria russa sta sparando con un’intensità cinque volte superiore a quella ucraina. Justin Bronk, ricercatore senior del Royal United Services Institute, il principale e più antico centro inglese di ricerche strategiche, ha spiegato alla Reuters che «un fattore vitale per Kiev sarà, quest’anno, la capacità dei partner occidentali di raggiungere la produzione di artiglieria dei russi e di fornire all’Ucraina le munizioni di cui ha bisogno».

Il terzo fattore esterno è la volontà dei Paesi occidentali di garantire all’Ucraina nuovi sistemi d’arma, soprattutto missili a lungo raggio. «Non possiamo aumentare la produzione di munizioni da un giorno all’altro. Ma possiamo prendere decisioni immediate per consegnare agli ucraini le armi di cui hanno davvero bisogno», ha detto giovedì scorso l’ex capo della NATO, il danese Anders Fogh Rasmussen. Finora, gli USA hanno fornito solo ogive a medio raggio, mentre il cancelliere tedesco Olaf Scholz non intende, al momento, dare il via libera alla consegna a Kiev dell’avanzatissimo sistema missilistico aria-terra Taurus KEPD 350, nella convinzione che una simile mossa potrebbe essere letta dal Cremlino come un coinvolgimento più diretto della Germania nel conflitto.

La guerra a Gaza, innescata dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, ha spostato significativamente l’attenzione dei Paesi e dei leader occidentali sul quadrante mediorientale. Se la situazione in Israele dovesse ulteriormente peggiorare - ed è questo il quarto elemento sottolineato dagli analisti - anche il lavoro di ricerca di un progetto di pace nel cuore dell’Europa potrebbe allungarsi o, addirittura, fermarsi. «La Russia sta sicuramente beneficiando di questa situazione», ha commentato in proposito all’Associated Press, due giorni fa, Vsevolod Chentsov, capo missione ucraino presso l’Unione Europea.

Due ulteriori fattori in grado di incidere sull’esito della guerra sono il vertice NATO in programma a Washington dal 9 all’11 luglio prossimi e, naturalmente, le elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Kiev continua a spingere per un’adesione all’Alleanza atlantica, un passo che potrebbe avere due conseguenze opposte: inasprire ulteriormente il confronto con la Russia o agire da deterrente, spingendo Mosca a valutare una conclusione rapida e negoziata del conflitto. Le resistenze di fronte alla richiesta di Zelensky sono molte, a partire proprio dagli USA.

Infine, come detto, le elezioni presidenziali americane. Durante la sua presidenza, Donald Trump è stato un feroce critico della NATO e ha minacciato di continuo una possibile uscita degli States dall’alleanza. Argomento sul quale è tornato, seppure in modo confuso, anche nelle ultime settimane. Il tycoon ha chiesto più volte una de-escalation della guerra in Ucraina e si è lamentato dei miliardi spesi finora, anche se non ha mai avanzato proposte concrete o percorribili. Una sua vittoria su Joe Biden aprirebbe uno scenario dagli esiti imprevedibili.

L’analisi dell’IAI

Tre giorni fa, l’Istituto Affari Internazionali di Roma (IAI) ha pubblicato uno studio di quasi 160 pagine sulle implicazioni strategiche della guerra in Ucraina curato da Alessandro Marrone, responsabile del Programma “Difesa” dell’IAI e docente all’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze (ISSMI). Un’analisi dalla quale è possibile trarre indicazioni molto interessanti e non scontate. L’assunto iniziale è «L’ossessione di Putin verso l’Ucraina». Un’ossessione tale da «continuare una guerra di attrito su larga scala e ad alta intensità, nonostante gli enormi costi in termini di vite umane e di risorse, i limitati guadagni territoriali ottenuti finora e lo stallo militare». Per il Cremlino e per una parte della società russa, «la guerra ha ormai assunto una sorta di carattere esistenziale per ottenere il ripristino dello status di grande potenza della Russia, la fine dell’influenza occidentale nelle Repubbliche ex sovietiche e, possibilmente, il disfacimento dell’unità europea e transatlantica».

Tutti obiettivi diventati più difficili da raggiungere. La Russia, ha infatti «commesso una serie di errori di valutazione su alcuni fattori chiave, tra cui la resilienza dell’Ucraina come Stato, le capacità delle proprie forze armate e il sostegno militare ed economico che Stati Uniti, Europa e Paesi alleati in tutto il mondo avrebbero fornito a Kiev».

E Tuttavia, dopo due anni, Mosca «si è adattata ai fallimenti iniziali e ha compensato i propri sbagli con la mobilitazione e il sacrificio delle sue risorse umane e materiali a un livello ben oltre l’invasione dell’Afghanistan durante la Guerra Fredda». Resta il fatto che «la potenza militare russa, impiegata in una guerra preparata a lungo e condotta senza rispettare principi dello ius in bello, non è riuscita ad occupare un Paese più piccolo e teoricamente più debole».

Anche per i ricercatori e gli analisti dell’IAI, il grande problema dei prossimi mesi sarà garantire a Kiev le armi necessarie. «Le forniture militari all’Ucraina hanno drasticamente prosciugato gli arsenali nordamericani ed europei, non adatti a una guerra di logoramento prolungata e su larga scala. Due anni dopo l’inizio dell’invasione, Europa e USA si trovano privati di gran parte delle loro scorte pre-2022 di determinati equipaggiamenti terrestri, non riescono a rimpiazzarle e allo stesso tempo aumentare il ritmo o il volume delle consegne all’Ucraina. Una difesa da tempo di pace ed il relativo complesso industriale non si sono ancora adattati alla guerra in corso. Tale adattamento sarà lungo, costoso e difficile».