La Storia è tornata di attualità: ma che cos’è la verità storica?
In maniera più esplicita che altrove, in queste settimane, abbiamo osservato la storia muovere i propri ingranaggi, costruirsi giorno dopo giorno attraverso i discorsi di Putin, i videomessaggi quasi quotidiani di Zelensky e i fronti aperti sul campo. Abbiamo visto, forse con maggiore evidenza che in altri momenti, articolarsi un discorso nel quale le prospettive quasi mai coincidono. Sicuramente la storia (intesa come disciplina) è tornata d’attualità, ricordandoci il suo profondo legame, quasi intrinseco, con il potere, la forza e lo Stato. Abbiamo avvertito che il pericolo si cela nelle parole, nell’apparente vicinanza tra «guerra» e «operazione speciale militare» e che la distanza tra propaganda e storia è come un elastico che si allunga e si accorcia in funzione del contesto politico. In Russia, la storia, è appannaggio di chi la scrive. E la riscrive.
Il sacco vuoto
A scuola, tutti ricordano la lezione di Pirandello: «Un fatto è come un sacco: vuoto, non si regge. Perché si regga, bisogna prima farci entrar dentro la ragione e i sentimenti che lo han determinato». Serve insomma l’intenzione. E la sua interpretazione, appunto. Eppure, questa guerra sembra aver archiviato pagine di relativismo in uno schiocco di dita. I fatti saranno pure interpretazioni, ma di fronte agli orrori di Bucha, la verità storica, attraverso la critica delle fonti, diventa una strada da percorrere, come migliore antidoto allo scetticismo integrale.
Come si costruisce allora la verità storica? «Stupisce assistere oggi a una guerra imperialista e convenzionale condotta contro un Paese sovrano e motivata con una rilettura demagogica della storia», osserva Sonia Castro, professoressa di didattica della storia al DFA e docente di storia contemporanea all’USI. Un’azione assolutamente anacronistica nel suo impianto politico, come lo sono i motivi addotti dallo “Zar” per giustificare l’aggressione. Putin intende «denazificare l’Ucraina». Un salto a ritroso nel tempo di ottant’anni che lascia interdetti: «Putin si riferisce all’occupazione tedesca dell’Ucraina da parte delle truppe naziste durante la Seconda guerra mondiale e alla conseguente azione di liberazione compiuta dall’Unione sovietica». Un pretesto storico funzionale all’ottenimento di un consenso interno e non certo addotto per convincere la platea internazionale. Ecco un buon esempio della storia come retorica che si piega nelle mani del despota: «Questi tentativi di adattare la storia alle esigenze contemporanee hanno accompagnato tutte le fasi della costruzione dell’identità degli Stati nazione». C’è una differenza sostanziale, osserva, però, Castro: «Putin si serve della storia per giustificare, in maniera illegittima, l’invasione di un altro Paese. Diversa, invece, la revisione storiografica compiuta da altri Stati per meglio definire la propria identità come Paese». Insomma, anche gli Stati occidentali non hanno rinunciato del tutto a una certa strumentalizzazione della storia per fini politici, spiega Castro. «Lo vediamo ad ogni livello, anche nei miti fondativi della Svizzera, che non sono neutri. Questi miti sono il frutto di una rielaborazione storica che risponde a un progetto identitario di un popolo».
Le fonti e il metodo
Che cos’è allora la verità storica? «Esiste una verità storica, che non corrisponde alla verità assoluta che ciascun cittadino potrebbe immaginare che esista», osserva Castro. «La verità storica è l’interpretazione che emerge dagli studi storici, condotti con metodo scientifico e avallati dalla comunità. Studi eseguiti in base alle fonti, al loro confronto e al loro inserimento in un filone storiografico». Insomma, una grande tela (o, se volete, il sacco pirandelliano) che si compone (e si regge) di un crescente numero di interpretazioni condivise e incrociate, in grado, per esempio, di individuare e delimitare quelle azzardate o poco rigorose.
Ecco allora emergere con forza, e di riflesso, il tema della propaganda e di come i regimi totalitari si nutrono, per loro sostanziale necessità, di leggi discriminatorie, della soppressione del diritto di parola, di misure persecutorie contro gli oppositori politici. «Dinamiche conosciute dagli storici e tipiche dei regimi totalitari che devono garantire un consenso interno attraverso un discorso unico», con il controllo delle parole che vieta «guerra» e impone locuzioni come «operazione speciale miliare». Ecco come le immagini di Bucha diventano messa in scena costruita ad arte per non danneggiare la Russia. Una versione, una verità.
Interpretazioni e oggettività
Tornando alla verità storica, questa, quindi, può coesistere con la pluralità delle interpretazioni, «perché non è una verità assoluta, ma una verità storica, appunto». Come la mettiamo, allora, con l’oggettività della storia? «La questione è mal posta», ribatte Castro: «Non possiamo parlare di oggettività della storia per il semplice fatto che le fonti dipendono dalla soggettività di chi le ha redatte e poi interpretate». Del resto, il fatto che una fonte sia arrivata fino a noi (o che non sia arrivata) non è affatto un processo neutro e privo di conseguenze, spiega Castro: «Per questo è importante il confronto delle fonti tra gli studiosi e l’inserimento degli studi nei rispettivi filoni storiografici». La comunità scientifica, insomma, avalla il valore storiografico di un’interpretazione e non la sua presunta oggettività.
La propaganda condivisa
Provocazione: ma allora la storia è la propaganda condivisa? «Direi comunque di no. Se per storia intendiamo il passato raccontato, allora in alcuni casi potremmo dire di sì, anche se ci sono gradazioni diverse della manipolazione della storia. Se invece consideriamo la storia come storiografia, ovvero l’insieme di ciò che gli storici hanno scritto e più in generale la conoscenza storica in quanto tale, allora, direi proprio di no». Castro osserva come in italiano vi sia un’unica parola, storia, per indicare ciò che l’inglese distingue tra History e Story: il passato studiato e il passato raccontato. «Questa ambiguità della lingua italiana non ci aiuta a fare chiarezza e a distinguere tra un’operazione scientifica e un racconto del passato svicolato da ogni criterio scientifico». Detto per inciso: anche la memoria collettiva non basta: «La storia non è neppure il racconto condiviso dalla memoria collettiva». Che potrebbe subire influssi esterni da altri elementi, come i media, la propaganda o il retaggio delle generazioni. «Tutti elementi che vanno a costituire la memoria collettiva che talvolta costituisce un ostacolo alla ricostruzione storica». Il rapporto tra memoria e storia, avverte Castro, è difficile. «L’una si avvale dell’altra, ma non sempre si muovono nella medesima direzione». Ai suoi studenti, che cosa dirà della guerra? «Quanto vediamo nei media ci rammenta purtroppo che non siamo al riparo da involuzioni democratiche nemmeno nel continente europeo ed è per questo che occorre essere vigili e non abbassare mai la guardia», conclude Castro.