Il sestante

L’immensa forza della comunicazione gentile

Le buone maniere non sembrano godere di grande considerazione oggi - Ma secondo l’esperto Samuele Briatore è tempo di riscoprirle anche nelle normali conversazioni e a maggior ragione nel discorso politico
L’Accademia Italiana Buone Maniere e Galateo insegna le tecniche di comunicazione gentile da opporre a quelle della comunicazione «vincente» dominanti. © Pexels/Fauxels
Carlo Silini
28.11.2020 06:00

Dici Galateo e pensi a un vecchio libro di codici desueti. Eppure, forse mai come nei nostri giorni se ne sente il bisogno. Soprattutto nel campo della comunicazione. Ne è convinto Samuele Briatore (nella foto sotto), autore di Come usare le parole giuste in qualsiasi occasione. Ovvero l’arte delle buone maniere in conversazione e in società, edito da Newton Compton. L’abbiamo intervistato. (Qui trovate il commento sui temi affrontati)

Il suo saggio inizia con un paragone tra salotto e teatro. Perché?

«Tanti sociologi ci dicono che impersoniamo dei ruoli e siamo invitati alle cene per il nostro ruolo. Le similitudini tra teatro e salotto sono tantissime. Il teatro è sempre stato un luogo per vedere e per essere visti. Quando siamo all’interno di un luogo siamo ovviamente noi stessi, ma decidiamo quale parte mettere in luce e quale in ombra. Giochiamo spesso nell’autodefinizione. Ma in realtà non sappiamo chi siamo, costantemente cambiamo e decidiamo chi essere».

Ad esempio?

«Per esempio, una persona aggressiva scopre di essere passiva quando si trova di fronte un ladro. Oppure pensiamo di essere molto espansivi ma ci imbarazziamo davanti a una persona innamorata. Definirci troppo ci porta a essere vittime di noi stessi. Invece, essere consapevoli di un ruolo è molto diverso. In salotto come in teatro abbiamo una funzione all’interno di un insieme».

Le buone maniere ci insegnano a dire tutto in maniera non offensiva. Io odio il concetto di verità che è diverso da quello di sincerità e di autenticità

Cosa intende dire?

«Faccio un esempio: quando accendiamo la tv sappiamo che ci sono persone invitate perché urlano. Non hanno alcun altro scopo. Altrimenti non sarebbero invitate. Si invita la persona che commenta in un determinato modo. Si crea proprio una sinfonia tra gli invitati. In una cena un buon padrone di casa dovrebbe creare a priori la musica che sarà di scena in quella serata».

E una scelta casuale degli ospiti?

«No. C’è un regista che è il padrone di casa e se il padrone di casa alla fine dice che gli inviati erano mosci è colpa sua perché è lui ad averli scelti. La casualità va bene per eventi enormi. Ma se io invito a cena due persone di estrema destra e due di estrema sinistra devo essere consapevole che in qualsiasi momento può scoppiare un attrito. Ma tra il nero e il rosso c’è un’infinità di gradazioni sulle quali giocare, e non mi riferisco solo a quelle politiche. Se invitiamo dieci medici, un avvocato e una persona che si occupa di letteratura comparata è normale che la discussione dei medici prevarrà e le altre due persone saranno escluse».

Lei scrive: «Oggi siamo di fronte a una sopravvalutazione della verità e dell’istintività, che rappresentano spesso una giustificazione ad atteggiamenti o parole aggressive e scortesi, mentre la pacatezza e il controllo vengono spesso additati come comportamenti propri di chi si trattiene o “recita un ruolo”». Non è il teatro dell’ipocrisia?

«È esattamente il contrario. Le buone maniere ci insegnano a dire tutto in maniera non offensiva. Io odio il concetto di verità che è diverso da quello di sincerità e di autenticità».

Odia la verità?

«Sì. Cosa vuol dire “vero”? Un’affermazione può essere sincera o autentica perché è una cosa che sento. Ma può essere vera’? No, è sempre parziale. Penso ai reality show in cui dicono ‘lo faccio perché sono vero’. Mi pare una giustificazione per un comportamento sbagliato. Se fossi vero e istintivo magari spaccherei delle sedie tutto il giorno, prenderei a ceffoni le persone al bar. Non lo faccio ma non vuol dire che non sono sincero, vuol dire che riesco a placare il mio istinto. E l’istinto è la parte che ci lega all’animale. La parte che ha creato tutto quel processo evolutivo».

Lei vede la sua amica un po’ cicciottella stretta in un vestitino. E si permette di dire: quel vestito ti sta male, ti segna troppo le cicce. Te lo dico perché sono una persona vera. Quella verità alla sua amica interessa?

Mi faccia un esempio pratico.

«Lei vede la sua amica un po’ cicciottella stretta in un vestitino. E si permette di dire: quel vestito ti sta male, ti segna troppo le cicce. Te lo dico perché sono una persona vera’. Quella verità alla sua amica interessa? Le dà qualcosa in più? No: va a mortificare una sua consapevolezza, perché ha uno specchio in casa e si è vista e ha deciso di mettersi quel vestito. Il concetto di verità è assoluto. La scienza può avere delle verità, ma le persone al massimo hanno delle loro verità, delle convinzioni».

Mettiamo che volessi invece aiutare quella persona a capire che il suo vestito la penalizza...

«Beh, le buone maniere servono proprio per quello, a tirar fuori tutte le cose che vogliamo dire in modo potente senza essere offensivi».

Lei scrive che «la comunicazione gentile, che racchiude una delle essenze dell’eleganza ed è ben diversa dalla comunicazione cortese». Cioè?

«C’è sempre stata una lotta tra cortese e gentile. Io sono piemontese e sono cresciuto sentendomi dire che il piemontese è falso e cortese. Cosa vuol dire? La cortesia consiste in atteggiamenti di convenzione per mettere la persona a proprio agio non sempre in modo sincero. È un linguaggio per autenticare il potere del re, il linguaggio di corte. Ma non è sincero. La gentilezza fa qualcosa di più perché parte dall’animo, non dalla forma. La cortesia è più legata all’estetica, la gentilezza all’etica».

Nella comunicazione gentile lei attribuisce un grande valore all’umiltà. Perché?

«L’umiltà è uno dei valori che sono andati perduti. Ma è una delle qualità più sottovalutate. La persona umile è quella che oggi risulta, a mio avviso, la più vincente. Un po’ perché viene considerata innocua, un po’ perché l’umiltà è la vera dimostrazione delle nostre doti. Chi ha bisogno di esibire qualcosa, quella cosa non ce l’ha. Chi esibisce una macchina molto costosa? Il parvenu, colui che ha appena avuto quella ricchezza e vuole farmela vedere, non chi ce l’ha da generazioni. L’umiltà è la virtù di chi possiede la virtù».

Lei parla di comunicazione in pubblico e in società. È necessaria una comunicazione gentile anche nel regno dell’intimità?

«Se parliamo della sessualità - un tema a cui dedicherò il mio prossimo libro - direi che nel letto non ci siano tutte queste regole, purché non siano rinfacciate quando si è fuori dal letto. È una bolla che vive a sé. In ogni caso anche nell’intimità la comunicazione gentile è molto utile».

Ai politici che vengono a fare formazione da me ripeto sempre: i vostri interlocutori non sono stupidi, i cittadini non sono stupidi. Non prendeteli come tali.

E in quella politica?

«Io faccio formazione a politici da molto tempo. Ma è difficile perché si è imposto un modello deleterio. Quello del politico vincente. Il politico vincente crea un fuoco fatuo. Ci sono leader che in pochissimo tempo passano dal 50% dei consensi al 5 %. Com’è possibile? È che la sua comunicazione doveva vincere i 50 metri, non la maratona».

Già, ma come si vince la maratona, in politica?

«Con la coerenza e con l’ascolto. Quando vedo i politici che nei dibattiti prendono una piccola parte delle argomentazioni dell’avversario per attaccarlo, capisco che non c’è nessun tentativo di comprensione. Il telespettatore a casa un giorno si arrabbia e il giorno dopo pure. Poi comincia a capire e si sente preso in giro, deluso da quelle persone perché non si sono ascoltate e non si sono risposte. Questi dibattiti si basano solo sul prendere parte al dibattito per attaccare l’altro. Non c’è una comprensione, non si va a smontare il concetto che c’è sotto a un’opinione, ma solo i singoli atteggiamenti. Ai politici che vengono a fare formazione da me ripeto sempre: i vostri interlocutori non sono stupidi, i cittadini non sono stupidi. Non prendeteli come tali. Quando vi fanno una domanda dovete rispondere. Se non siete in grado di farlo è meglio che diciate: a questa domanda in questo momento non so rispondere. Venite domani, mi documento, e vi risponderò».

A giudicare dai dibattiti politici dominanti anche ad alto livello - ricordo il primo duello tv tra Biden e Trump - non succede mai.

«Già. Ma l’effetto gallinaio è una cosa da perdenti. Me lo aspetto dal salotto di una tv commerciale, non me l’aspetto dai miei rappresentati. Le buone maniere ci tornano molto utili. Improvvisare domande o travisarle alla lunga ha portato al clima attuale di disamoramento dei cittadini verso la politica. I politici, nel momento in cui sono onorevoli o sono ministri, non sono più Luca, Mario, Marco o Matteo, ma sono i miei rappresentanti nello Stato. Quando vediamo la gaffe istituzionale non possiamo dire che in fondo è una cosetta da nulla, non dobbiamo dimenticare che quel politico ha fatto una cosa grave perché l’ha fatta con la tua faccia. È come se al bar il cameriere serve ai tavoli con le dita nel naso. Non viene additato solo il cameriere, viene additato e preso in giro tutto lo staff. Il cliente non verrà più anche se gli altri membri sono le persone più attente e pulite del mondo».

Social, il regno dei linciaggi mediatici

Sui social network domina una comunicazione il più delle volte aggressiva. Il contrario di quanto promuove l’Accademia Italiana Galateo e Buone Maniere, di cui abbiamo intervistato il presidente.

Che fare, gli chiediamo: boicottarli o riformarli?

«Sono un grande sostenitore dei social media. È vero che ce n’è un utilizzo sconsiderato. Ci sono fake news, si condivide senza approfondire, c’è un bisogno costante di comunicare. Ma ho trovato molto divertente in un recente convegno confrontarmi con alcune persone che trovavano insostenibile condividere il cibo su Instagram. Anch’io ero fra di loro. Trovo orribile questa mania di fotografare tutti i piatti sui social. Però poi ci ho ripensato».

Come mai?

«Perché nella quotidianità attuale in cui tutto va di corsa ed è difficile organizzarsi e vedersi, anche questo è un modo per condividere un pasto come si faceva prima in modo fisico. Non è possibile leggere sotto un’altra chiave tutto questo? Non possiamo vedervi la voglia di condividere uno dei momenti di gioia carnale che abbiamo, attraverso il cibo? Una lettura molto interessante. Il problema dei social, semmai è il non ascolto».

Cioè?

«Noi lanciamo dei twit. Ma leggiamo i twit degli altri? Cerchiamo di capire cosa ci hanno scritto ? No. Attacchiamo e basta. Questa sindrome dell’attacco e del commento vincente è la stessa cosa che ci fa cadere in errore nella comunicazione tradizionale e orale. Quindi non trovo grandi differenze. Certo è tutto più amplificato perché è scritto e posso rivederlo, ma tolto quello le dinamiche sono uguali».

D’accordo, ma una differenza sostanziale c’è. Ed è rappresentata dall’algoritmo. Alla fine, c’è una selezione dei contenuti che ci vengono sottoposti nei social che non faccio io e non fa lei, ma che viene fatta automaticamente dalla macchina, da computer e che promuove quella che lei chiama la comunicazione vincente e non la comunicazione gentile di cui lei è promotore...

«Vero. Ma cosa promuove? Promuove il cosiddetto ‘engagement’, la litigata. Vediamo cosa succede in molti programmi televisivi: il picco arriva quando gli ospiti bisticciano, si tirano le torte in faccia. Perché noi spettatori siamo assolutamente stregati da quei momenti in cui le persone perdono il controllo. C’è qualcosa di catartico. Nessuno di noi vorrebbe trovarsi in quella situazione e allora ci sentiamo sollevati che sia successo a loro e non a noi».

Una gioia un po’ meschina...

«Diciamo che noi vogliamo il linciaggio mediatico, proviamo una sorta di piacere catartico. Lo stesso piacere che si provava nell’antica Roma nel vedere i gladiatori morire nel Colosseo. Una cosa vecchia come l’uomo».

E lei come si muove sui social?

«Noi abbiamo diecimila follower nella pagina Instagram (@accademia.italiana.galateo). Molti ci dicono che se facessimo un altro tipo di comunicazione ne avremmo molti ma molti di più, anche centomila. Ma preferisco i miei diecimila che capiscono quello che sto loro dicendo. E me li tengo buoni».

Come usare le parole giuste

Il libro

Esprimersi con efficacia è alla base della nostra convivenza sociale come individui. L’arte del parlare non è solo un modo per farci capire dagli altri, ma è l’insieme di regole che stanno alla base di una buona conversazione, così come di un discorso pubblico di successo. Ma che cosa contraddistingue un bravo oratore? Quali sono le norme di cui è bene tenere conto quando parliamo?

Il libro di Samuele Briatore (Come usare le parole giuste in qualsiasi occasione. Ovvero l’arte delle buone maniere in conversazione e in società, edito da Newton Compton) è una guida essenziale alle buone maniere della comunicazione: partendo dall’analisi del contesto in cui ci troviamo, passando per le origini del racconto e la sua funzione sociale, fino all’impostazione della voce e della postura a seconda delle situazioni. Senza tralasciare, ovviamente, l’importanza delle emozioni come elemento essenziale di una conversazione, in grado di scatenare empatia in chi ascolta. Un percorso approfondito nell’affascinante mondo della retorica, per imparare a dominare tutti gli aspetti del parlare e trovarsi a proprio agio in ogni situazione.

Al cuore della trattazione c’è l’alternativa gentile alla cosiddetta small talk, oppure “comunicazione efficace” o, ancora, “comunicazione vincente”.

“Qui – si legge all’inizio del saggio Come usare le parole giuste in qualsiasi occasione. Ovvero l’arte delle buone maniere in conversazione e in società - non troveremo tecniche per convincere qualcuno, per sedurlo, non saranno esposte formule magiche per migliorare la comunicazione pubblica e quella privata, ma verrà proposto un insieme di suggerimenti per conoscerci e farci conoscere attraverso la nostra parola e il nostro corpo. Gli esempi, gli esercizi e le situazioni riportati nel testo sono frutto dell’esperienza decennale dell’Accademia Italiana Galateo, la quale è impegnata nella sensibilizzazione alla comunicazione gentile”.

Lo studioso

Samuele Briatore è docente al corso di Galateo e Buone Maniere Base e Galateo e Buone Maniere Avanzato.

Presidente dal 2013 dell’Accademia Italiana Galateo e Buone Maniere con sede a Roma, organizza regolarmente corsi e workshop nella sua materia in Italia e in Europa. Come insegnante ha collaborato con numerose realtà tra cui Banca d’Italia, Coin Gioielli, Ballo delle Debuttanti, Mugello Mediceo, ANLAIDS.

È corrispondente del Festival di Sanremo dal 2014, le sue interviste sui temi di cui si occupa sono apparse su La Repubblica, Il Messaggero, Il Tempo, Adnkronos, Il Fatto Quotidiano, Ansa, Horeca, Ristorazioni Italiana, Elle e Rai News.. Laureato in Storia del Teatro alla Sapienza di Roma, diplomato all’Accademia Teatrale La Scaletta di Roma, prosegue gli studi conseguendo un dottorato di ricerca in Musica e Spettacolo alla Sapienza di Roma. Le sue lezioni sono concentrate sull’educazione corporea, voce, autostima. (fonte:www.accademiaitalianagalateo.it)