Lo sbarco dei migranti a Roccella, dove c’è anche un po’ di Svizzera

«Uomo… uomo… uomo… bambino… donna…». L’unità della guardia costiera “CP 311” ha appena attraccato alla banchina del Porto delle Grazie di Roccella, e i migranti raccolti alle sette del mattino 35 miglia più a est, in pieno Mediterraneo ionico, mettono piede a terra. Sono fradici e, nonostante il sole, hanno freddo. Sono tutti pakistani e, al momento, ciascuno di essi è soltanto un numero spillato al momento dello sbarco sugli indumenti bagnati. Quando mercoledì abbiamo assistito al loro arrivo - il quarantatreesimo dall’inizio dell’anno in questo piccolissimo porto, in totale 6.537 migranti - il numero più alto è stato 59. Cinquantanove persone che hanno ridotto le loro paure e diffidenze soltanto nelle ore successive, quando hanno incontrato i mediatori culturali, i quali non li hanno trattati come numeri, ma hanno parlato a lungo con loro, riportandoli a un minimo di normalità.
Un ruolo essenziale
I mediatori, alcuni di essi giunti anche loro in Europa via mare, e che poi hanno scelto di fare da “fratelli informati” ai migranti di oggi, si appartano sul molo con i nuovi arrivati, si informano nella loro lingua sui problemi di salute, chiedono se c’è qualche parente o amico da contattare, illustrano i loro diritti, le possibilità che si aprono loro. E mentre gli adulti cominciavano a guardarsi intorno senza più il timore iniziale, anche perché di divise militari non se ne vedono, già alcuni bambini giocano a pallone con qualche addetto agli sbarchi.
«Il ruolo e il contributo dei mediatori culturali è fondamentale per creare fiducia tra noi e i migranti prima ancora dell’arrivo in porto: i momenti del trasbordo dalle barche di arrivo alle nostre unità sono spesso drammatici, c’è il rischio di cadere in mare. Sentirsi capito e incoraggiato da qualcuno che allontana almeno per un po’ i tuoi timori riduce l’inevitabile nervosismo dei migranti», dice il tenente di vascello Daniele Picconi, comandante dell’unità “CP 311” che ha tratto in salvo i 59 pakistani stipati come sardine su una barca a vela di sette-otto metri omologata per dieci persone, poi abbandonata alla deriva per l’impossibilità di rimorchiarla a causa del mare mosso.
Una volta rifocillati e informati nella loro lingua sulle procedure che li aspettano, i migranti danno l’impressione di non sentirsi più soltanto dei numeri. E giunti a contatto con gli addetti alla registrazione e ai controlli di identità la loro diffidenza cala e, spesso, collaborano. Magari mostrando i documenti che in un primo momento avevano deciso di nascondere. L’incontro con i mediatori culturali è visibilmente importante per i bambini e soprattutto per le donne, che a Roccella trovano mediatrici con le quali si appartano per lunghe conversazioni, talvolta sfoghi per le violenze subite nel lungo viaggio, oppure richieste di informazioni su cosa avverrà per i figli.
È in virtù del ruolo e del contributo “fondamentali” sul piano umano e della sicurezza da tutti riconosciuta all’azione dei mediatori culturali che la Svizzera - unico Paese ad aver fatto finora una scelta di solidarietà del genere - finanzia con un contributo di 500.000 franchi l’operatività di 56 mediatori culturali in Italia. Un impegno finanziario che va dal primo agosto scorso al 31 ottobre prossimo, concordato alla fine dello scorso maggio in un incontro tra la consigliera Elisabeth Baume-Schneider e il ministro italiano dell’interno Matteo Piantedosi. Operativamente, l’impegno svizzero è attuato attraverso l’Organizzazione mondiale delle migrazioni (OIM), che opera nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite ed è presente nell’area mediterranea, non solo sulle coste, con 200 mediatori culturali. Poi, da novembre, per i mediatori scatterà un altro piano cofinanziato con l’Unione europea.
Anche per il coordinatore dell’ OIM Laurence Hart i mediatori culturali sono ovviamente essenziali per affrontare con successo il problema delle migrazioni perché creano fiducia e questo aiuta per le identificazioni e le misure di sicurezza, rendendo queste operazioni più veloci. Ma afferma Hart, l’OIM sta lavorando a un ulteriore miglioramento delle capacità dei suoi mediatori con corsi di formazione mirati al primo ascolto psicologico, soprattutto per la difesa dei soggetti più fragili, donne e bambini. Particolare attenzione viene già data, e lo sarà sempre più, ai minori non accompagnati, che rappresentano oggi più del 12% degli arrivi.
La rotta
Seimila abitanti, Roccella è un piccolo comune incastonato in un paesaggio mediterraneo da sogno. Il Porto delle Grazie, a quattro chilometri dal centro della cittadina, è per metà occupato dalle imbarcazioni dei pescatori locali. A ridosso della spianata in cemento dove ormeggiano le unità della guardia costiera, sono state da poco costruite due tensostrutture, che si stanno però già rivelando inadeguate al bisogno. La “rotta ionica” fino a poco tempo fa quasi del tutto ignorata - fino al naufragio di Cutro - sta diventando la seconda porta d’ingresso dei migranti in Italia, dopo Lampedusa. «Nel 2021 sono arrivati qui diecimila migranti, l’anno scorso sono già stati 18.000», spiega il commissario capo Pier Lorenzo Montina, dirigente dell’ Ufficio immigrazione della questura di Reggio Calabria.
La Calabria ionica, a cominciare da Roccella, non sarà comunque mai come Lampedusa, dove arriva il 90 per cento dei migranti. Qui giungono imbarcazioni provenienti quasi tutte dalla Turchia, e la navigazione dura almeno sette-otto giorni con a bordo afghani, siriani, iraniani, pakistani. Alcuni si presentano mostrando documenti in regola. Le tragedie avvengono perché velieri omologati per 8-10 persone ne trasportano dieci volte tante. Molte imbarcazioni del costo di 8-10 mila euro vengono lasciate alla deriva all’arrivo nelle acque italiane. Commento di molti dalla Guardia Costiera: «Cos’è mai la perdita di una barca da 10mila euro quando i cinquanta passeggeri hanno pagato ciascuno almeno 5.000 euro?».