Lo stato d’animo della Lega post Nano
Cos’è la Lega? Uno stato d’animo, rispose Flavio Maspoli durante un dibattito nei primi anni d’esistenza del movimento. La definizione, creativa quanto vaga, che significava tutto e niente, rispecchiava abbastanza bene il clima e le aspettative creati negli anni Novanta del secolo scorso dal Mattino prima e dalla Lega iniziale poi, visti come strumenti per denunciare presunti torti, dai più piccoli ai più grandi, dai fatti domestici a quelli politici, dalla lite con il vicino di casa per l’altezza della siepe all’angheria imputata alla partitocrazia dominante sempre riunita attorno al tavolo di sasso per spartirsi potere, favori e appalti. Lo stato d’animo era dunque un misto di sentimenti che cercavano uno sfogo. La risposta più adeguata al quesito iniziale, e che spiega l’attuale situazione, è però un’altra: la Lega è, anzi era, Giuliano Bignasca. Nel bene e nel male, il movimento, nato per un appalto mancato, si è modellato a immagine e somiglianza del suo vulcanico padre padrone fondatore: abile nel cogliere il sentire popolare, imprevedibile nel muoversi tra destra e sinistra, killer politico per conto terzi, amato e detestato, comunque unico, senza eredi politici (forse in parte il fratello Attilio) dopo la sua morte dieci anni fa. La Lega era lui. Tutto ciò va ricordato per capire quanto ingenui e inutili siano gli odierni inviti sulle macerie fumanti delle recenti elezioni federali, che replicano gli appelli dopo le Federali di quattro anni fa e dopo le Cantonali dell’aprile scorso, per tornare a essere più barricaderi e movimentisti allo scopo di frenare l’erosione dei consensi a vantaggio dei cugini dell’UDC che, sul piano cantonale, hanno più margine di manovra non avendo responsabilità governative. Responsabilità che possono punire quando le ricette semplicistiche non trovano ovviamente concretizzazione: ad esempio la Lega che voleva dimezzare il numero dei frontalieri ha dovuto rendersi conto che paradossalmente da quando ha la maggioranza relativa in Consiglio di Stato i lavoratori d’oltre confine sono più che raddoppiati.
Insomma, la Lega che, con i suoi alti e bassi, ha indubbiamente terremotato la politica ticinese guidata da un capopopolo fuori dagli schemi, oggi, ben occupate poltrone e sofà nelle stanze del potere spartitorio un tempo combattuto, non esiste più. È morta e non è resuscitabile, nemmeno evocando lo spirito del Nano, e in parte anche di Marco Borradori, come San Gennari cui affidare il miracolo del riscatto. Sono cambiati i tempi, il contesto e le persone. Il rieletto consigliere nazionale Lorenzo Quadri avverte che non è ancora tempo di funerali. Ha ragione, ma chi adesso è chiamato a riflettere sul futuro del movimento non potrà più farlo dalla prospettiva di qualcosa che non esiste più. Il prossimo importante appuntamento è con le elezioni comunali dell’aprile 2024. Qui le dinamiche sono molto diverse dalle altre elezioni perché vi è un contatto più diretto tra amministratori e amministrati e meglio si può giudicare la capacità delle persone. Tuttavia l’esito nella roccaforte di Lugano, dove tutto ebbe inizio per la Lega, e dove pure alle elezioni federali di domenica vi è stato un consistente travaso di voti verso gli alleati democentristi, sarà molto indicativo (senza più il traino di Borradori, ma con un diretto avversario storico, il PLR, che per ora i fasti del passato se li può solo sognare).
Infine, per via Monte Boglia v’è un problema, comune anche ad altri partiti e conseguenza di quanto detto sopra, che è quello del ricambio delle persone. Vale quello che abbiamo già scritto dopo le Cantonali di aprile. Prendiamo le posizioni apicali nelle istituzioni. Norman Gobbi e Claudio Zali, in Consiglio di Stato dal 2011 rispettivamente dal 2013, c’è da dubitare che si ripresentino alla fine della legislatura appena iniziata. A Lugano si può presumere che, se rieletti il prossimo anno, l’ultimo leghista della prima ora ancora in servizio, il sindaco Michele Foletti apprezzato amministratore dei conti cittadini, e il veterano Lorenzo Quadri, in Municipio dal 2008 (e in Consiglio nazionale dal 2011), non faranno più di un ulteriore quadriennio. Un tempo il Mattino avrebbe scritto che erano dei «culi di pietra» da mandare a casa. Il fatto è che dietro di loro, tranne qualche rara eccezione, c’è il vuoto, al massimo v’è l’ambizione scollegata dalla realtà di qualche comparsa. Costruire la Lega post Nano con un decennio di ritardo non sarà facile, soprattutto ora che il monopolio su certi temi della destra (ad esempio migrazione da frenare e Unione europea da tenere alla larga) va diviso con l’UDC in ascesa.