Locarno, è l’ora del patto politico

Eppur si muove, come esclamò Galileo Galilei di fronte all’Inquisizione, costretto ad abiurare le tesi copernicane. L’aggregazione, nel Locarnese, si è finalmente messa in moto. Contrariamente a quanto successo, quasi sempre, quando si è affrontato il tema delle fusioni comunali in Ticino, non si è partiti dal basso, ma è servita una spinta motivazionale da parte del Dipartimento delle istituzioni. Così, dopo gli incontri bilaterali andati in scena prima dell’estate, si è ora giunti a due possibili scenari che coinvolgono potenzialmente nove enti locali del distretto. Il primo, definito «Urbano», potrebbe riguardare Losone, Locarno, Orselina, Brione sopra Minusio e Minusio. Il secondo, «Piano», includerebbe per contro Gordola, Lavertezzo, Cugnasco-Gerra e Tenero-Contra.
Il 2025 sarà cruciale, visto che la discussione verrà ampliata alla società civile ed al tessuto economico. E allora sapremo se i Municipi decideranno o meno di partecipare ad un progetto «comme il faut», dopo il pre-studio che si baserà, appunto, sui faccia a faccia di approfondimento. Non giriamoci troppo attorno: la legislatura che si è aperta lo scorso 14 aprile è fondamentale per indirizzare, nella direzione auspicata dal Cantone, un argomento che non ha mai fatto presa né nelle istituzioni né tantomeno nella popolazione. Si è avuto oltre un decennio per comprendere appieno i motivi alla base del no del 25 settembre 2011 e di quello slogan - «GrandInsieme» - che era sbagliato nella forma.
Quel giorno l’aggregazione della Sponda sinistra della Maggia fu bocciata da 5 Comuni su 7: Locarno (con l’86,4%) e Mergoscia (95,3%) dissero sì, mentre Brione sopra Minusio (sul filo di lana), Minusio, Muralto, Orselina e Tenero-Contra respinsero le nozze. Complessivamente i sì furono pari al 59,63%, ma il pollice verso della maggioranza degli attori coinvolti fu determinante per far naufragare il matrimonio. Il 20 novembre dello stesso anno identico copione per la fusione della Sponda destra fra Ascona, Brissago, Ronco sopra Ascona e Losone. Solo gli aventi diritto di voto di quest’ultimo Comune accesero la luce verde.
Adesso l’orizzonte è il 2025-2030, oltre un secolo e quattro lustri dopo la prima proposta di unire i Comuni del centro urbano, risalente al 1906. L’esempio da seguire è quello di Bellinzona, che dopo essersi messa assieme ha goduto di uno sviluppo socioeconomico con pochi eguali a Sud delle Alpi. Anche nell’agglomerato attorno alla capitale c’era scetticismo. Ma poi, grazie alla lungimiranza e alla perseveranza di alcuni sindaci (uno, Mario Branda, è ancora saldamente alla testa della Turrita), il 18 ottobre 2015 l’aggregazione fu accolta da 13 enti locali su 17. Contano le persone. Perché se non sono convinti nemmeno i politici è utopico pensare di trasmettere il messaggio ai cittadini. Il timoniere di Locarno Nicola Pini ha raccolto dal suo predecessore Alain Scherrer pure la volontà di aggregarsi. Tocca a lui, in primis, indossare i panni dell’uomo forte, tessere la tela, ma non quella di Penelope narrata nell’«Odissea». La fusione nel Locarnese deve essere coronata da successo e non va considerata come un alibi tanto per dire che ci si sta provando.
Il Ticino di domani passa pure dalle acque fin qui limacciose del Verbano. Ad un secolo esatto dal «Patto di Locarno», che verrà celebrato nell’anno alle porte, da «città della pace» deve trasformarsi in «città delle unioni». Darebbe un segnale chiaro al comprensorio, dimostrando di poter assumere quella leadership che, a loro modo, sognano anche Ascona e Muralto. Che si sono tirati fuori da ogni velleità «fusionista» e stanno alla finestra a guardare quello che accadrà.