L'editoriale

L’orgoglio nazionale sbiadito delle FFS

La Svizzera ha una grande tradizione in materia ferroviaria, ma l'orgoglio nazionale per i nostri treni sta lasciando il posto alle lamentele quotidiane dei viaggiatori
Bruno Costantini
24.11.2023 06:00

Nel 2025 si festeggeranno i duecento anni dall’inaugurazione della prima ferrovia al mondo per passeggeri e merci tra Darlington e Stockton in Inghilterra, una linea di 43 chilometri percorsa alla velocità di 24 km/h realizzata dall’inventore della locomotiva a vapore George Stephenson. In Svizzera il nuovo mezzo di trasporto è arrivato un ventennio dopo, nel 1847, con la «ferrovia dei panini spagnoli» che collegava Zurigo e Baden, da dove un panettiere inviava con il treno nella capitale cantonale i suoi dolci molto apprezzati. L’innovazione tecnologica si è ben presto trasformata in un formidabile strumento di sviluppo economico e sociale che ancora oggi rimane il perno della mobilità non solo in Europa, assumendo sempre più un’importanza geopolitica. Il nostro Paese ha una grande tradizione in materia ferroviaria, sia nelle lungimiranti scelte politiche sia nelle infrastrutture sia nella tecnologia; un orgoglio nazionale attestato non solo da gigantesche opere di valenza continentale come AlpTransit ma pure dal fatto che il sistema ferroviario svizzero è ritenuto, dai rilevamenti ufficiali, tra i più performanti al mondo rispetto all’ingente mole di traffico gestita ogni giorno. Possiamo aggiungere che in Ticino sono stati fatti importanti investimenti sull’insieme della rete e che si stanno realizzando le nuove Officine di Castione. Qualcosa non quadra, però, se l’orgoglio nazionale per i nostri treni sta lasciando il posto alle lamentele quotidiane dei viaggiatori, se un marchio un tempo sinonimo dell’identità del Paese – SBB-CFF-FFS – si sta sbiadendo fra guasti tecnici all’infrastruttura, all’informatica e ai convogli, collegamenti soppressi, ritardi, coincidenze saltate, carrozze sporche e stipate all’inverosimile. In aggiunta a incidenti non prevedibili ma con pesanti conseguenze, come il deragliamento in agosto di un treno merci nella galleria di base del San Gottardo, che insegna quanto in materia di sicurezza ci sia ancora da lavorare, e il recente danneggiamento dei cavi sul cantiere di Renens che ha interrotto il traffico tra Ginevra e Losanna, cosa già successa due anni fa per un cedimento del terreno a Tolochenaz (nell’arco lemanico non c’è la ridondanza che fortunatamente abbiamo sull’asse gottardiano con la vecchia linea di montagna, seppur allungando il viaggio di un’ora).

Tutto ciò per concludere due cose. Primo: quando nel 2020 il CEO di FFS Vincent Ducrot entrò in carica si disse che, grazie alla sua passata esperienza nel mondo ferroviario, avrebbe potuto far meglio del suo predecessore Andreas Meyer, per alcuni troppo occupato nella gestione immobiliare anziché nel far circolare i treni. Ducrot non si trova in una situazione facile: deve ad esempio gestire un numero enorme di cantieri per l’ammodernamento dell’infrastruttura, alcuni dei quali dureranno decenni, garantendo allo stesso tempo la regolare circolazione di merci e passeggeri in piena sicurezza. Su questo fronte non può fare miracoli. Il CEO di FFS non deve però dimenticare di dirigere un’azienda pubblica interamente di proprietà della Confederazione e quindi di tutti i contribuenti svizzeri (i quali passeranno alla cassa per abbattere l’indebitamento miliardario dell’ex regia). La sufficienza preventiva con cui i vertici ferroviari hanno sinora liquidato le rimostranze e talune giustificate richieste di risarcimento di fronte al deterioramento del rapporto qualità-prezzo è irritante, perlomeno nei toni, sia per i romandi sia per i ticinesi, i più toccati dai disservizi ammessi dalle stesse FFS.

La seconda conclusione: come nella passata legislatura, la neoeletta deputazione ticinese alle Camere federali, insieme al Consiglio di Stato, dovrà tenere alta la pressione sulle FFS e sul Consiglio federale (oltre che battersi in Parlamento per tentare di far cambiare gli indirizzi governativi sulla Prospettiva Ferrovia 2050 senza completamento di AlpTransit). Nell’immediato sono da discutere la tempistica eccessivamente lunga (si parla del prossimo mese di settembre) per la riapertura completa del tunnel di base del San Gottardo e le eventuali misure di compensazione per il danno economico al Ticino. Oggi una delegazione dell’Esecutivo cantonale si recherà a Berna dal «ministro» dei trasporti Albert Rösti; il 7 dicembre la deputazione s’incontrerà invece con il CEO Vincent Ducrot. Difficile prevedere se ne usciranno soluzioni concrete. Certo è che il dialogo tra politica (non solo ticinese) e FFS deve essere affrontato nel quadro più generale di un’azienda pubblica che nel suo grande sviluppo e ammodernamento, nell’apporto essenziale che continua a dare al Paese, ha bisogno di recuperare la credibilità e l’identità di cui ha goduto un tempo.