Basket e televisione

Los Angeles Lakers, un mito tra fiction e realtà

«Winning Time», la serie HBO dedicata alla leggendaria squadra degli anni Ottanta, è arrivata anche su Sky in Italia – Il pubblico l’ha apprezzata, mentre alcuni protagonisti di quell’epopea irripetibile sottolineano le forzature del racconto e dicono di non riconoscersi
Fernando Lavezzo
11.06.2022 06:00

Mentre i loro eterni rivali, i Boston Celtics, stanno inseguendo il 18. titolo NBA nella finale con i Golden State Warriors, i Los Angeles Lakers si stanno ancora leccando le ferite per una stagione da dimenticare, chiusa senza i playoff.

A consolare i tifosi gialloviola – e tanti altri appassionati della pallacanestro americana – ci ha pensato l’emittente HBO con la serie televisiva «Winning Time», dedicata ai mitici Lakers degli anni Ottanta. Quelli di Earvin «Magic» Johnson, di Kareem Abdul-Jabbar e di coach Pat Riley. Quelli dello «Showtime», del basket «run and gun», «corri e spara», tanto divertente quanto vincente, come dimostrano i cinque campionati conquistati tra il 1980 e il 1988.

La rabbia di Jerry West

La scorsa settimana «Winning Time» è approdata nella vicina Italia, trasmessa da Sky. Negli USA la fiction in dieci episodi aveva debuttato già a inizio marzo. Il pubblico l’ha apprezzata, tant’è che è già stata ufficializzata una seconda stagione. Anche la critica l’ha accolta favorevolmente. A storcere il naso e a indignarsi, semmai, sono stati alcuni protagonisti di quella irripetibile epopea. Su tutti Jerry West, oggi 84.enne, all’epoca general manager dei californiani. Soprannominato «Mr. Logo» (è sua la sagoma ritratta sul logo ufficiale della NBA), West ha attaccato la HBO per la caratterizzazione data al suo personaggio, interpretato dall’attore Jason Clark. In aprile gli avvocati di West hanno dichiarato che il loro cliente è stato vittima di «un’aggressione infondata e maligna», venendo dipinto «in modo falso e crudele come un uomo fuori controllo e intossicato dalla rabbia». Nella lettera inviata alla HBO, i legali di «Mr. Logo» hanno chiesto delle scuse, una ritrattazione e il pagamento dei danni subiti.

La HBO ha replicato affermando di avere «una lunga storia nella produzione di contenuti avvincenti tratti da fatti ed eventi reali in parte romanzati per scopi drammatici. ‘‘Winning Time’’ non è un documentario e non è stato presentato come tale. Tuttavia, la serie e le sue rappresentazioni si basano su una ampia ricerca e su fonti affidabili».

Ogni episodio, a scanso di equivoci, ha un «disclaimer» nei titoli di coda: «Questa serie è una drammatizzazione di determinati fatti ed eventi. Alcuni dei nomi sono stati cambiati e alcuni degli eventi e dei personaggi sono stati romanzati, modificati o composti per scopi drammatici».

Il simbolo di un decennio

La serie si basa sul popolare libro «Showtime» di Jeff Pearlman, pubblicato nel 2014. Nella sinossi del volume è ben descritta la fenomenologia di una squadra leggendaria, che «personificava lo sfarzo e l’eccesso del decennio in cui regnava». Dall’arrivo di Magic Johnson, prima scelta al draft del 1979, i Los Angeles Lakers «hanno giocato con gusto e slancio, in un campionato impreparato alla loro velocità e ferocia».

Lo «Showtime» divenne uno degli spettacoli più accattivanti nello sport e nell’intrattenimento americano. «La rosa era traboccante di giocatori eccitanti, guidati dall’incomparabile Pat Riley, noto per i suoi capelli pettinati all’indietro, i suoi abiti Armani e il suo pavoneggiamento arrogante».

Il Forum era «The place to be», il luogo in cui bisognava andare. «Le celebrità di Hollywood si schieravano a bordo campo e donne bellissime si riversavano nell’arena». Soprattutto, la squadra è stata vincente. Tra il 1980 e il 1991 i gialloviola hanno giocato nove finali, conquistandone cinque. Una dinastia chiusasi di fatto il 7 novembre del 1991, quando Magic annunciò la sua positività all’HIV.

Personaggi o caricature?

Ecco, «Winning Time» è tutto questo. Una fiction «ispirata a fatti realmente accaduti», come si suol dire in questi casi. La serie racconta, romanzandole appunto, le imprese sportive, le rivalità e le vite di quei personaggi straordinari. Si comincia con il magnate Jerry Buss (interpretato da John C. Reilly) che compra i Lakers e individua nel giovane Magic Johnson (Quincy Isaiah) il nuovo simbolo della squadra californiana. Kareem Abdul-Jabbar ha il volto di Solomon Hughes, Pat Riley quello di Adrien Brody, mentre Sally Field interpreta la madre di Buss.

Come detto, West è stato il più critico nei confronti degli autori. «La serie ci fa sembrare tutti dei cartoni animati», ha dichiarato «Mr. Logo», dicendosi pronto ad arrivare fino alla Corte Suprema, se necessario. I Los Angeles Lakers, dal canto loro, si sono limitati a chiarire di non aver niente a che fare con la produzione.

Magic Johnson ha fatto sapere di non voler guardare la serie perché nessuno dei Lakers ha partecipato al progetto. Kareem Abdul-Jabbar ha invece detto la sua sul suo blog: «Ogni personaggio è ridotto a un unico tratto audace (...). Sono caricature, non personaggi (...). Il problema non è tanto il fatto che i realizzatori abbiano deliberatamente evitato i fatti, ma che abbiano sostituito i fatti solidi con fragili finzioni di cartone che non vanno più a fondo e non offrono spunti rivelatori».