L’intervista

«L’Ucraina avanza, e la Russia rischia un secondo Afghanistan»

Il ricercatore indipendente Luca Lovisolo commenta la controffensiva delle truppe di Kiev: «Ora anche la propaganda fa fatica a mascherare le sconfitte di Mosca»
Michele Montanari
13.09.2022 06:00

La fulminea controffensiva ucraina rappresenta un duro colpo per Mosca: in pochi giorni le truppe di Kiev hanno riconquistato circa diecimila chilometri quadrati di territorio occupato dall’invasore. Tant’è che il presidente Volodymyr Zelensky ha parlato di una potenziale svolta in questa guerra che dura da ormai sei mesi. Per capire la portata delle recenti azioni militari e le possibili contromisure del Cremlino, abbiamo parlato con Luca Lovisolo, studioso di Europa dell’Est e autore del libro Il progetto della Russia su di noi (Archomai, 2020).

Dopo le recenti azioni militari ucraine, l’esercito russo è palesemente in difficoltà. Quanto pesano nell’economia del conflitto questi successi? 

«All’inizio della guerra avevo previsto che prima o poi avremmo assistito a uno scenario simile a quello dell’Afghanistan, in cui un esercito piccolo, ma motivato, ben attrezzato e capace di fare la guerra sul proprio territorio vince su un esercito molto più grande e addirittura dotato di armi nucleari. E’ presto per prevedere le sorti del conflitto, ma quello che stiamo vedendo in questi giorni conferma quella previsione. Ovviamente cambiano alcuni elementi: in Afghanistan i sovietici occupavano le principali città e non arrivarono a controllare più del 20% del territorio complessivo del Paese, in Ucraina i russi controllano più o meno la stessa porzione di territorio, ma non la capitale e i centri nevralgici. Ancora una volta la Russia si trova di fronte a truppe che sembravano facili da sconfiggere, ma che sono state fortemente sostenute, dal punto di vista degli armamenti, dall’Occidente. Questo avvenne anche in Afghanistan, quando i mujahidin con le armi da spalla americane sorprendevano i blindati sovietici sulle montagne e riuscivano ad abbattere gli elicotteri nascondendosi sulle alture, perché conoscevano quelle zone come le loro tasche. Lo stesso sta accadendo in Ucraina con questa controffensiva: l’esercito di Kiev avanza perché conosce il territorio, è motivato ed è sostenuto dalla popolazione, proprio come i combattenti afghani che avevano come loro alleato migliore, a fianco degli americani, proprio la popolazione: venivano sostenuti in tutti i modi, anche dal punto di vista logistico. Tutta l’Ucraina, a parte le frange di collaborazionisti presenti in ogni guerra, si è unita per combattere l’invasione russa. Il presidente Zelensky parla di un esercito di un milione di soldati: se non sono un milione, poco ci manca, perché stanno agendo su tutto il fronte, che è lungo 1200 km: come l’Italia, per farci un’idea chiara». 

Truppe motivate e armate con le attrezzature dell’Occidente…

«Esattamente, sono anche ben attrezzati. Se guardiamo i servizi della tv ucraina dedicati all’esercito vediamo soldati che guidano carri armati molto moderni. Hanno fatto corsi in Occidente, giorno e notte, e hanno imparato in tempi rapidissimi ad usare armi che dispongono di sistemi di puntamento elettronici e ogni aiuto più moderno. Se invece osserviamo ciò che i russi trasmettono in tv del loro esercito, vediamo che, sì, hanno anche armi moderne, ma la maggior parte delle immagini riportano soldati mal equipaggiati che usano vecchi pezzi di artiglieria a puntamento manuale. Sono combattenti spesso già avanti con l’età e poco motivati. Questo riguarda soprattutto gli eserciti delle due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, che sono in parte formati da soldati russi, dato che quei territori non raggiungono un numero sufficiente di persone». 

Possibile che la Russia abbia sottovalutato il nemico nonostante la lezione dell’Afghanistan? Forse Putin pensava di conoscere alla perfezione un territorio che faceva parte dell’Unione sovietica? 

«Questo aspetto è emerso da subito. Sin da quando i russi hanno dovuto ritirarsi dalla regione di Kiev, si è capito che c’era stato un clamoroso errore di valutazione. Ci sono prove concrete: le truppe di Kiev hanno ritrovato nei carri armati russi mappe dell’Ucraina risalenti al periodo sovietico. Gli uomini di Putin non hanno considerato che in oltre 30 anni edifici e strade non sono più gli stessi. Ma non è cambiato solo il territorio, anche l’armamento e le capacità di combattimento dell’esercito ucraino. Nel 2014, quando la Russia attaccò per la prima volta, l’esercito di Kiev non era in grado di reagire, perché si trovava in una condizione di scarsissima capacità operativa: dal punto di vista militare erano volutamente rimasti sottotono per non infastidire il vicino russo. Questo all’inizio era comprensibile, perché nessuno si sarebbe mai immaginato un atteggiamento così aggressivo da parte russa. Quando dal 2014 l’esercito ucraino si è reso conto che doveva affrontare sfide reali, ha iniziato ad attrezzarsi, si è riorganizzato e ha attraversato una lunga trasformazione. Tutto questo con l’aiuto della NATO e degli USA. Putin pensava di trovarsi di fronte una “Ucraina sovietica”, che non aspettava altro che riannettersi alla Russia, invece ora è un Paese in grado di difendersi secondo i più moderni standard occidentali: se le cose dovessero andare come in questi giorni, per la Russia sarà un secondo Afghanistan».  

In pochi giorni gli ucraini sono riusciti a far ritirare il nemico fino a 50 chilometri verso il confine russo: che reazione possiamo aspettarci da Mosca? 

«Usiamo una terminologia precisa: i russi nel Nord-Est del Paese non si sono ritirati, ma sono in rotta, c’è differenza. Il ritiro è regolato, le truppe portano via le proprie attrezzature e conservano una certa capacità di difesa e di controllo. Ciò a cui abbiamo assistito nella regione introno a Kherson è una rotta: i soldati fuggono in modo disordinato, senza alcun comando, e abbandonano quantità enormi di armi sul terreno. Tra gli osservatori circola una battuta che è sempre meno ironica, perché ogni giorno più reale: la Russia sta diventando il maggior fornitore di armamenti dell’Ucraina. Le truppe di Kiev trovano sul terreno quantità spaventose di carri armati e armamenti che sanno usare benissimo, perché provengono dagli arsenali sovietici. Non c’è solo un esercito in rotta, ma anche azioni di dubbio valore strategico. L’altra sera la Russia ha colpito alcune centrali elettriche in Ucraina. Non si sa bene con quale intento, forse è stata solo una ripicca per la sconfitta subita nella regione di Kharkiv. Nel giro di un paio d’ore gli ucraini hanno rispristinato l’alimentazione elettrica, ma nel frattempo Mosca, secondo le stime, ha speso qualcosa come 140 milioni di dollari per sparare quei missili che non hanno portato a nessun risultato concreto. Perché spendere una cifra del genere per causare un danno così poco significativo al nemico? Se pensavano di fare qualche danno è stato un chiaro errore. Pochi giorni fa un aereo russo è stato abbattuto sulla Crimea dalla stessa contraerea russa, che però non era intervenuta quando gli ucraini avevano colpito la penisola con armi a lunga gittata. Non solo, i russi hanno usato un missile S-300 modificato per essere lanciato da terra e colpire una città (gli S-300 sono missili terra aria). Il vettore è partito dal territorio russo ed è immediatamente caduto in Russia, e non è l’unico caso simile accaduto in questa guerra. Ci sono tanti elementi che fanno pensare a una grave perdita di capacità operativa dell’esercito di Mosca di fronte a ciò che sta accadendo. Quando si assiste ad azioni di questo tipo, non si possono fare previsioni di quello che accadrà». 

Queste lacune strategiche sono inquietanti: vien da pensare che la Russia potrebbe fare qualsiasi cosa…

«È prematuro pensare che la guerra sia vinta, le sfide sono ancora tante. Senza dubbio, però, in questo momento la situazione è favorevole all’Ucraina e apre una fase molto pericolosa del conflitto. Dobbiamo interrogarci su quale possa essere la reazione isterica di un comando ormai allo sbando. E c’è un altro rischio, di carattere politico: non sappiamo quali siano le conseguenze di questa rotta sull’assetto governativo della Russia, quindi le conseguenze sul regime di Putin. Il presidente russo continua a fare come se nulla fosse, ma, almeno sul piano della comunicazione, finalmente comincia ad esserci qualche intervento un po’ più realistico nei talk show russi, che sono un elemento chiave della propaganda e fino all’altro ieri hanno magnificato le sorti della guerra a favore della Russia. Qualcuno degli esperti, ospiti di questi programmi, sta cominciando a dire “guardate che le cose stanno andando male, così non riusciremo a sconfiggere l’Ucraina”. La tesi oggi diffusa in Russia per giustificare questo sfacelo, che neanche la propaganda più forte riesce ormai a mascherare, è che la Russia non sta combattendo contro l’Ucraina, ma contro tutto l’Occidente. È vero, USA ed Europa forniscono armi e strategia, ma sul terreno ci sono solo ucraini e qualche battaglione marginale di combattenti stranieri. Una cosa è certa: togliere Putin dal potere non basta a limitare l’aggressività russa, fondata su una scuola di filosofia politica che agisce da almeno 20 anni per costruire uno scenario in cui l’Occidente rappresenta un pericolo e cerca di accerchiare la Russia. Se Putin dovesse perdere il potere, in gran parte della popolazione rimarrebbe comunque un sentimento di rivalsa verso questo inesistente pericolo occidentale. E allora la domanda che dovremo porci è una: come si esprimerà questa carica di ostilità verso l’Occidente nel caso in cui la Russia venisse sconfitta in Ucraina?».

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