L'analisi

Ma Putin crollerà oppure no?

Nonostante il peso economico delle sanzioni, dicono gli esperti, oligarchi e uomini forti del Paese difficilmente abbandoneranno il padre-padrone del Cremlino
Marcello Pelizzari
08.03.2022 11:23

Avevamo già posto la domanda: ma come cambierà la quotidianità dei russi, confrontati a sanzioni occidentali senza precedenti? Una prima risposta: tanto, tantissimo. Cieli europei e nordamericani chiusi, principali carte di credito bloccate, colossi come Apple e Google che salutano dall’oggi al domani. E via discorrendo.

L’Occidente ha colpito l’economia russa e, allargando il campo, le vite di milioni di persone. Le cosiddette élite e la classe media non sanno più che pesci pigliare: svalutazione del rublo e possibilità di viaggiare estremamente ridotte. All’orizzonte, per tutti, classe operaia compresa, si profila un’epoca caratterizzata dall’austerità e, volendo essere filosofici, grigiore.

Un crollo non è mai immediato
La domanda, tuttavia, è un’altra. Se l’è posta il Daily Telegraph: Vladimir Putin crollerà sotto il peso delle mazzate economiche? O meglio, la Russia volterà le spalle al suo dittatore? Sì, no, forse. Anzi, a quanto pare no.

Il crollo dell’Unione Sovietica, per dire, non fu né casuale né immediato. Si trascinava da anni. Al momento, al netto delle proteste di piazza (coraggiose, visto il contesto) la maggioranza della popolazione supporta la guerra in Ucraina. Quantomeno questo suggeriscono i sondaggi ufficiali, evidentemente pilotati.

I cosiddetti cremlinologi, soprattutto, rifiutano la tesi secondo cui le cerchie attorno allo Zar gli voltino le spalle all’improvviso. Al contrario, la tempesta finanziaria piombata su Mosca potrebbe rinforzare il legame. Ovvero, se finire sulla lista nera degli americani – un tempo – era sinonimo di patriottismo, ora è un requisito fondamentale per essere russi. Quantomeno agli occhi dello stesso Putin e di chi lo circonda.

A sostenere il Cremlino, di fatto, sono due categorie: i famosi, e famigerati, oligarchi nonché gli uomini forti del Paese.

Gli oligarchi di ieri e di oggi
Parte del problema, in fondo, consiste nel modo in cui dipingiamo i citati oligarchi. Abbiamo memoria, ad esempio, dei primi russi sbarcati a Forte dei Marmi dopo la dissoluzione dell’URSS. Mocassini e pelliccia in riva al mare, anche a Ferragosto. E tanto, tantissimo folklore. Erano, quelli, gli oligarchi legati a Boris Eltsin. Persone ricche, ricchissime. Di cui il Cremlino aveva bisogno.

Con l’arrivo di Putin, però, il paradigma è cambiato. Gli oligarchi di oggi, infatti, si affidano quasi totalmente al presidente. Le loro ricchezze, insomma, dipendono esclusivamente da lui. Per dire: molti si limitano a gestire vaste, vastissime imprese statali come quelle del gas o del petrolio. Ergo, in qualsiasi momento Putin può rimuoverli dall’incarico e congelare qualsiasi bene. Perché, a ben vedere, ogni ricchezza gestita dagli oligarchi alla fine appartiene allo Stato. E lo Stato, appunto, è Putin. Non esiste dialogo, solo unidirezionalità: i ricchi gestiscono, lo Zar decide. Nessun oligarca ha potere o influenza in termini politici.

Volendo girare la questione, agli oligarchi è permesso gestire ricchezze enormi purché mantengano il naso lontano dalla politica. Andare contro Putin, ora, significherebbe da un lato perdere anche ciò che rimane loro in Russia. E le conseguenze potrebbero essere pure peggiori sul fronte legale, con l’accusa di corruzione che scatterebbe in automatico.

E gli uomini forti? Ci sono anche loro, sì. Formano quello che gli esperti chiamano «Stato di sicurezza». Personaggi cresciuti e svezzati dal vecchio KGB, come Putin. Anti-occidentali, come il loro leader. E influenti sul piano politico. Dei falchi, diciamo.

Meglio salire sul carro
Nel breve, par di capire, oligarchi e uomini forti non dovrebbero muovere guerra al padre-padrone della Russia. Proprio perché il rischio è troppo grande. La prigione, o peggio ancora. Meglio, dunque, salire sul carro e abbracciare (anche controvoglia) la politica aggressiva dello Zar.

È plausibile, tuttavia, che oligarchi e uomini forti entrino in rotta di collisione, nella misura in cui – come sembra – Putin sta preferendo i secondi ai primi. O, ancora, per il fatto che dopo lo Zar la figura stessa dell’oligarca potrebbe scomparire.

La Russia che non ce la fa
Da una parte il Cremlino, dicevamo. Dall’altra la Russia normale. Quella degli insegnanti, dei medici, degli amministratori. Ma anche della polizia. Di impiegati statali che, è solo questione di tempo, faticheranno ad arrivare a fine mese poiché lo Stato difficilmente riuscirà a onorare gli impegni sul fronte interno. Pure l’esercito, dicono nuovamente gli esperti, potrebbe patire le sanzioni. Perché, banalmente, gli armamenti cominciano a scarseggiare.

I primi effetti delle sanzioni, ad ogni modo, già si vedono. A cominciare dalle fughe via treno verso la Finlandia. I cervelli migliori, per farla breve, hanno lasciato il Paese nella speranza di un nuovo inizio. Lontano dalla Russia.

Gli esperti, sempre loro, vi leggono un parallelismo con il lento ma inesorabile dell’Unione Sovietica. Il popolo sempre più oppresso e, dall’altro lato, la classe politica sempre più logora ma ancora aggrappata, con qualsiasi mezzo, al potere. Di fatto, Putin ha firmato la sua condanna. Ma potrebbero volerci anni prima che esca di scena. Senza, va da sé, onori né gloria. E dire che voleva occupare lo stesso posto di Pietro il Grande nel grande libro russo. Quel Pietro che amava l’Europa, al punto da venerare i Paesi Bassi quasi quanto la Russia. Un’altra storia, già.

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