Maghi, saggi e guerrieri: il racconto per immagini della campagna elettorale italiana
Lo «spettacolo della politica»? Una necessità. Perché «dove non c’è narrazione, non c’è esperienza della realtà». Fabrizio Luisi insegna Comunicazione politica allo Iulm, ma è anche uno sceneggiatore. Per la televisione ha scritto prodotti seriali, adattato format stranieri, creato progetti originali. La sua, dice, è un’autentica «passione per le storie. Una passione che ha attraversato tante forme: il romanzo, il fumetto, il gioco, la sceneggiatura televisiva e cinematografica». Fino ai racconti della politica: «un fiorire di narrazioni vive e imprevedibili, in cui si realizzano scenari che pensavamo di poter solo immaginare e in cui, allo stesso tempo, la realtà si muove spesso più velocemente della finzione».
«La politica e i movimenti sociali - dice Luisi - presentano continue novità, scenari estremi e improbabili, brusche accelerazioni, frenate, inversioni a U, ribaltamenti e colpi di scena, trame internazionali, retroscena scandalosi, nuove forme di protesta e di repressione». Insomma: una straordinaria forma di spettacolo. Con le sue regole, i suoi protagonisti, i suoi codici.
Nel 2020, Luisi ha dedicato a questo spettacolo un divertentissimo libro, Maghi, guerrieri e guaritori. Gli archetipi della politica italiana (Rizzoli), nelle cui pagine mostra come ogni personaggio politico incarni un archetipo preciso, smascherandone così le strategie, i trucchi e le vulnerabilità. Dal Mago Matteo Renzi al Guerriero Matteo Salvini, al Guaritore Nicola Zingaretti - uscito invero molto presto di scena senza dare grande prova delle sue capacità - Luisi incasella uno a uno i tasselli del grande mosaico della politica, spiegando perché - nonostante una sempre maggiore disaffezione e una conseguente fuga dalle urne di molti cittadini - i personaggi politici restino figure interessanti e intriganti. «Quello che chiamano spettacolo non è altro che il processo attraverso cui la politica diventa fruibile dalla maggioranza delle persone - scrive il docente milanese - Un tempo la politica era altrettanto spettacolarizzata, ma in modo diverso, le storie erano più grandi e più epiche, ma lo spettacolo era più povero, con meno storylines, meno personaggi, meno effetti speciali. In Italia c’erano solo due canali: il canale DC e il canale PCI, laddove invece ora abbiamo decine e decine di canali, di serie, di personaggi, che consumiamo rapidamente e da cui esigiamo un intrattenimento di un certo livello. È il binge-watching della politica», la maratona ininterrotta davanti al piccolo schermo.
Luisi si dice convinto della «rinata passione collettiva per la politica», ma la associa proprio alla capacità di narrazione dei singoli leader. In particolare, alla capacità di alcuni di «maneggiare gli strumenti per la gestione della percezione». La sua tesi di fondo è che non ci sia «alcuna opposizione fra realtà e narrazione». La realtà di cui facciamo esperienza è invece «sempre una porzione di realtà inquadrata in una storia. In altre parole: la narrazione è il dispositivo cognitivo attraverso cui noi, come esseri umani, facciamo esperienza di quella cosa che chiamiamo realtà (qualunque cosa sia). Quindi, dove non c’è narrazione non c’è esperienza della realtà». Il disinteresse verso la politica, dice convintamente Luisi, «coincide con quei momenti storici in cui la macchina del potere non vuole o non riesce a esprimere un racconto».

Professore,
c’è qualcosa - in questa campagna elettorale italiana estiva - che conferma il
suo “modello” narrativo?
«Credo di sì, in campagna
elettorale l’informazione si occupa di volti, di programmi, e di posizionamenti
secondo il modello destra-sinistra. È un approccio che aiuta a orientarsi ma
che non è in grado di leggere ciò che davvero muove le persone a votare, che è
il racconto e le emozioni che esso suscita. È sulla base di questo racconto che
io strutturo il mio modo di leggere la realtà e quindi i miei valori e anche le
mie analisi razionali».
La velocità del cambiamento
nella politica italiana, almeno negli ultimi anni, è stata sorprendente.
Rispetto al 2020, lo scenario è cambiato molto. L’identificazione di alcuni
leader con gli archetipi che lei ha descritto nel suo libro resiste? O qualcosa
è cambiato? Enrico Letta, per esempio, due anni fa era ancora nell’ombra.
Insegnava politica internazionale a Parigi.
«Letta porta avanti un
tipico racconto del PD, quello della competenza unita alla solidarietà sociale,
riconducibili agli archetipi del Saggio e del Guaritore. Letta
esibisce sempre competenza: tiene a farci sapere che sa parlare le lingue, che
è rispettato in Europa per le sue competenze economiche, ed è un fan di Mario
Draghi, che è stato il Saggio per eccellenza».
E Giorgia Meloni, che
sembra avere il vento nelle vele, come la definirebbe?
«Meloni è da sempre una Guerriera,
e, visto che nel Colosseo narrativo ogni archetipo può essere incarnato
soltanto da una forza politica, nell’ultimo anno lei ha saputo rappresentare il
Guerriero in modo più coerente rispetto a Matteo Salvini, il quale ha
invece vissuto una fase governativa in giacca e cravatta percepita come un
tradimento del suo racconto».


Questo vuol dire che il
capo della Lega è da considerare fuori gioco?
«Salvini prova a recuperare
terreno con il suo slogan “Credo”. Con questa parola, però, invece di cercare
un nuovo posizionamento, affronta di petto il racconto di Giorgia Meloni, la
quale si presenta come una Giovanna d’Arco: quindi una Guerriera religiosa».
E di Carlo Calenda, che
cosa si può dire? Qual è la narrazione del cosiddetto terzo polo?
«Calenda incarna una
versione del Saggio-Mago, in modo simile a Matteo Renzi: la competenza
viene usata come gioco di prestigio, per promettere un cambiamento veloce:
senza la zavorra delle ideologie, la pura tecnica applicata può fare miracoli».
Nel 2018, il Movimento 5
Stelle stravinse le elezioni conquistando al Sud la maggioranza assoluta dei
voti validi. Oggi le cose sono molto diverse. Che cosa non ha funzionato nel
racconto dei grillini?
«Il Movimento 5 Stelle si è riposizionato in un’area solidaristica e
progressista, ma ha perso il suo racconto. Nulla rimane della ribellione contro
lo statu quo, poco rimane anche della dimensione partecipativa: Giuseppe Conte
non è proprio adatto ad incarnare quell’archetipo dell’Uomo Comune che
invece caratterizzava il Movimento dei primi tempi. E anche la spinta
ambientalista, radicale e un po’ sognante, da Innocente, cavalcata
da Beppe Grillo, non sembra essere sopravvissuta nel programma. Conte è stato
per un attimo un Sovrano-Guaritore di successo, adesso è
un Sovrano senza corona. Ma in quanto Sovrano-Guaritore va a
competere con il Partito Democratico: chi tra i due si muoverà meglio ruberà
voti all’altro».
Ma è possibile una campagna elettorale in cui nessuno sfrutti il frame alternativo,
il messaggio di contrapposizione al sistema?
«Il riposizionamento del Movimento 5 Stelle ha lasciato libero
l’archetipo del Ribelle, che può essere quindi utilizzato con più
forza dalle forze di sinistra come l’Unione Popolare. C’è soltanto da capire se
sia un tipo di racconto che incontra i bisogni attuali dei cittadini: in tempi
di crisi a volte prevale il bisogno di rivoluzione, altre volte quello di
stabilità, anche con derive autoritarie».
