L'editoriale

Mancheranno lavoratori, adesso è l'ora delle scelte

Nel mercato del lavoro ticinese convivono aziende che faticano a soddisfare il proprio fabbisogno di personale e, allo stesso tempo, persone che faticano a integrarvisi
Francesco Pellegrinelli
20.06.2023 06:00

Nel mercato del lavoro ticinese convivono aziende che faticano a soddisfare il proprio fabbisogno di personale e, allo stesso tempo, persone che faticano a integrarvisi. Tecnicamente si parla di disallineamento tra domanda e offerta, ossia tra competenze richieste dalle aziende e competenze possedute da lavoratori e lavoratrici.

Gli effetti tangibili di questo fenomeno, la cui ampiezza secondo gli esperti andrà ad acutizzarsi già nel prossimo quinquennio, si mostrano in un dato altrettanto tangibile: il numero dei posti vacanti. Stando al rapporto trimestrale pubblicato negli scorsi giorni dall’Ufficio cantonale di statistica, il loro numero è in aumento. Su base annua, il primo trimestre del 2023 segna un +39,3%. Va detto, tuttavia, che il dato è cresciuto di pari passo con quello degli impieghi e che il loro rapporto, nel tempo, è rimasto costante attorno all’1%. Detto altrimenti: i posti vacanti non stanno crescendo a dismisura. Un eccessivo disallineamento tra domanda e offerta suonerebbe infatti come un pericoloso campanello d’allarme per la competitività e la coesione sociale della regione.

Sulla necessità di un maggiore allineamento si sono espresse più volte le associazioni economiche. In altri contesti, e su precisi ambiti professionali, è lo stesso Consiglio di Stato ticinese ad aver posto l’attenzione sulla carenza di personale. Le valutazioni del DSS in ambito sanitario, per esempio, indicano che per soddisfare il fabbisogno occupazionale da qui al 2030 unicamente con dipendenti residenti occorrerebbe che un ticinese su cinque si dedicasse a una professione sanitaria. L’esempio mostra come l’evoluzione demografica e l’invecchiamento della popolazione contribuiscono, assieme ad altri fattori, a spostare gli equilibri tra domanda e offerta nel mercato del lavoro.

Ma il fenomeno della carenza di figure professionali ha radici profonde che si innestano su dinamiche che riguardano anche il sistema formativo e il tipo di economia prodotto nel tempo sul territorio cantonale. Ed è proprio in questo rapporto di reciproca influenza che la questione diventa politica. L’esistenza di squilibri nella filiera formazione-lavoro è essenzialmente un tema politico che merita la massima attenzione, tra l’esigenza di formare cittadini e quella di creare le condizioni affinché gli stessi possano trovare un posto di lavoro. La scuola, si sa, è un luogo di tensioni tra esigenze contrastanti. Da una parte, la necessità di fornire gli strumenti per pensare il mondo ed eventualmente cambiarlo; dell’altra, la necessità di fornire il corredo di abilità e competenze per entrare nel mercato del lavoro, garantendosi sussistenza e benessere.

Ma al di là dell’offerta formativa, i prossimi anni saranno caratterizzati, comunque, da un disallineamento quantitativo: il numero dei lavoratori ticinesi che andrà in pensione crescerà con una proporzione maggiore rispetto ai nuovi ingressi. Uno studio della SUPSI pubblicato negli scorsi giorni stima la carenza di personale, entro il 2026, in 11-12.000 lavoratori. Un numero che da solo fa intendere la portata della sfida politica, e che - immediatamente - pone sul tavolo temi divisivi come la questione dei flussi migratori o dell’apporto dei frontalieri nell’economia cantonale.

Prenderne coscienza oggi ci permetterebbe di orientare meglio le scelte future, sbarazzandoci una volta per tutte di alcune spinte populiste. Senza dimenticare che questo disallineamento si inserisce in un contesto più ampio che tocca tutta l’area insubrica. Altrimenti detto: reperire i frontalieri in futuro sarà più complicato. Guardare a nord per attrarre forza lavoro diventerà per le aziende sempre più fondamentale. Lavorare sulle condizioni d’attrattività pare quindi una condizione imprescindibile.