Il caso

Marco Chiesa, l'immunità non va soppressa

Lo ha stabilito la Commissione degli affari giuridici del Consiglio degli Stati per 8 voti a 2 – Il «senatore» UDC ticinese: «Sono cosciente del fatto che qualora si fosse intravvisto un intento discriminatorio nelle campagne, l’immunità non sarebbe stata garantita»
© CdT / Chiara Zocchetti
Red. Online
Red. OnlineeRed. Confederazione
08.10.2024 15:52

L'immunità di cui gode il consigliere agli Stati UDC Marco Chiesa non va soppressa. Lo ha stabilito la Commissione degli affari giuridici del Consiglio degli Stati (CAG-S) per 8 voti a 2. Sul caso dovrà esprimersi ancora la Commissione dell'immunità del Consiglio nazionale (CDI-N).

Che cosa è successo

La magistratura bernese, lo scorso 10 luglio, ha chiesto alle Camere federali di revocare l'immunità parlamentare dell'ex presidente democentrista Marco Chiesa e del suo ex segretario generale Peter Keller con l'obiettivo di perseguirli penalmente dopo le varie denunce presentate per la campagna «Nuova normalità?» (in relazione all'iniziativa «No a una Svizzera da 10 milioni»). Si tratta di inserzioni online con le quali il partito condivide notizie che hanno come protagonisti stranieri che commettono reati.

La Commissione federale contro il razzismo l’ha giudicata razzista, xenofoba e provocatoria. Invano, lo scorso mese di settembre, aveva chiesto al partito di ritirarla in quanto portatrice di «messaggi che fomentano deliberatamente sentimenti anti-stranieri». Alcuni gruppi hanno presentato denuncia penale per violazione delle norme contro la discriminazione razziale. A loro avviso, con resoconti selettivi sui crimini, l’UDC cerca di dare l’impressione che le persone di origine straniera siano criminali e pericolose. Diverse denunce sono state presentate in vari cantoni, tra cui Berna.

La richiesta di sopprimere l'immunità

La procura bernese, per procedere, ha bisogno di un'autorizzazione, perché gli allora dirigenti Chiesa e Keller, ritenuti responsabili della campagna, erano entrambi membri del Parlamento federale. E, in quanto tali, protetti dai procedimenti penali per azioni compiute nell’ambito della loro attività politica. Per questo i magistrati bernesi avevano trasmesso una domanda di revoca dell’immunità alla Commissione giuridica degli Stati e alla Commissione dell’immunità del Nazionale.

«Tutelare la libertà di parola»

La Commissione degli affari giuridici del Consiglio degli Stati si è riunita a Berna il 7 e l'8 ottobre 2024. Ha constatato che il mandato del consigliere agli Stati Marco Chiesa è connesso alla posizione dirigenziale da lui rivestita all’interno del suo partito, in particolare nel contesto dell’organizzazione della campagna elettorale federale, campagna che peraltro ha portato alla sua rielezione nel Consiglio degli Stati, spiega una nota odierna. La Commissione ritiene pertanto che vi sia una relazione diretta fra l’attività e la posizione ufficiale del «senatore» ticinese e i fatti contestati e ha deciso senza controproposta di entrare in materia sulla richiesta.

A parere della Commissione «la libertà di espressione e di formazione dell’opinione rivestono un’importanza fondamentale nell’ambito di una campagna elettorale democratica e tutelano anche dichiarazioni che possono suscitare forte dissenso» (in tale contesto rimanda inoltre alla linea sinora seguita in casi analoghi dalle commissioni competenti in materia di soppressione dell’immunità). Di «libertà di espressione» aveva pure parlato l’attuale presidente dell’UDC Marcel Dettling, commentando la richiesta presentata dalla procura di Berna.

«La ponderazione degli interessi ha quindi portato la CAG-S a concludere che nel presente caso gli interessi istituzionali (interesse pubblico al funzionamento del Parlamento) prevalgono sull’interesse al perseguimento penale».

La reazione di Chiesa

Marco Chiesa, da noi contattato, commenta: «L’audizione con la commissione degli affari giuridici è stata molto aperta e basata sui fatti. Non nascondo che il parere della stragrande maggioranza dei membri mi faccia piacere in particolare perché nella loro presa di posizione si sottolinea che la libertà di espressione nel nostro Paese è e resta un valore da tutelare. Sono peraltro cosciente del fatto che qualora si fosse intravvisto un intento discriminatorio nelle campagne, l’immunità non sarebbe stata garantita. Cosa che, tra l’altro, reputo corretta».

Correlati