Marco Chiesa tra «le passeggiate in montagna, e gli gnocchi fatti con i figli»

Marco Chiesa, in corsa per la presidenza dell’UDC ci ha aperto la porta di casa. Una chiacchierata a tutto tondo (sfiorando la politica) per passare in rassegna passioni, emozioni e preoccupazioni.
All’esterno la temperatura è canicolare, lui ci attende a casa sua (dove soffia una gradevole aria condizionata), a Ruvigliana per una chiacchierata a pochi giorni da un appuntamento importante, il congresso nazionale dell’UDC. Lui è Marco Chiesa (classe 1974) che, un po’ a sorpresa, si è trovato in pole position per diventare il presidente del primo partito svizzero. La porta si apre, un sorriso, un «benvenuti» e, giocoforza, nessuna stretta di mano. La famiglia Chiesa è rientrata da poco da Lenzerheide, la località grigionese è una meta ricorrente. Poi le presentazioni di rito, a partire dalla moglie Monja, «ci conosciamo da quando aveva 15 anni e io pochi di più», il figlio Mathias (classe 2008) che si dedica con passione alla raccolta dei ritratti dei calciatori. Ed eccoci all’esuberante secondogenita, Micol (classe 2010), bimba senza peli sulla lingua che non mancherà d’intervenire nella chiacchierata, strappando qualche sorriso a papà e incrociando qualche occhiata di mamma. Monja sparisce qualche minuto e torna con una zucchina formato gigante, rigorosamente a chilometro zero: «L’orto? Lo curano i miei genitori, non Marco». Zucchina che, per la cronaca, è destinata a essere cotta ripiena per cena. A proposito di cucina, Chiesa ha pubblicato foto mentre è intento a fare gli gnocchi con i figli. Quando gli chiediamo il suo rapporto con l’attività ai fornelli un po’ arrossisce: «Non sono uno chef provetto ma sto prendendo la mano a fare i capuns (ndr. specialità grigionese a base di uova, latte, panna, coste, formaggio, pancetta, carnesecca grigionese e salsiccia) e mi riescono piuttosto bene».


«Nella mia vita ho avuto diverse esperienze lavorative anche lontano dal Ticino. I primi anni dell’infanzia li ho trascorsi a Molino Nuovo, poi con mia madre mi sono trasferito a Villa Luganese. I miei genitori si sono separati quando ero piccolo». Chiesa parla a ruota libera anche degli studi: «Dopo le medie ho frequentato il Liceo Lugano 2, poi mi sono iscritto a Scienze economiche e sociali a Friborgo, dove ho conseguito la licenza in economia d’impresa. Ho lavorato alla PricewaterhouseCoopers a Losanna, ed in seguito all’UBS. Era l’era in cui in Italia imperversava Giulio Tremonti, il ministro che non esitava a paragonare la Svizzera alla «caverna di Ali Babà». Lavoravo come espatriato nella sede di Milano, la mia aspirazione era sì l’economia, ma anche la società e la socialità. Ho fatto un Master in economia sanitaria, ho lavorato al San Giovanni e poi sono diventato direttore (15 anni fa) dell’Opera Mater Christi di Grono, che da vecchio ricovero è diventato un moderno centro intergenerazionale».
La prima volta alle urne
Il primo approccio con la politica ci porta al 1992: «La prima volta che ho votato era in occasione dell’adesione allo Spazio economico europeo (SEE)». Domanda forse superflua per un democentrista: ha votato «bene»? «Bisogna capire cosa si intende per “bene”, diciamo che ho votato come la maggioranza. Se ci penso oggi è fin incredibile che quella fosse la prima volta e che la prossima essenziale votazione, quella del 27 settembre sull’iniziativa per la limitazione, potrei affrontarla da presidente dell’UDC». Poi si schernisce: «Per ora attendiamo il 22 agosto».
Mamma e politica
Per Chiesa la politica fa rima con mamma: «Mia madre era segretaria comunale a Cimadera. Così, senza mettermi troppo sotto pressione, sono andato in lista a Villa Luganese (nessun partito ma una lista civica) e sono entrato in Consiglio comunale. Poi nel 2004 il piccolo comune è entrato a far parte del primo progetto aggregativo di Lugano, ma per 27 voti sono rimasto escluso dal legislativo. Sono successivamente subentrato ad Eros N. Mellini». Il resto è storia, si fa per dire, recente: dal 2007 in Gran Consiglio, nel 2015 il sorpasso su Pierre Rusconi, la conquista del Consiglio nazionale e nel 2019 l’elezione al Consiglio degli Stati.


«In queste settimane rifletto molto sul compito di presidente del primo partito svizzero. Ma lo faccio senza pensare ai massimi sistemi, ma ragionando da padre di famiglia. I miei figli e mia moglie sono gli affetti più importanti che ho, e il futuro dei miei ragazzi e della loro generazione mi preoccupa e mi interroga: si tratta di una generazione sulla quale pesano molte incognite, e ho forti dubbi che le opportunità che hanno avuto i nostri padri e la mia generazione possano presentarsi anche a chi è nato dopo il 2000. Ci sono senz’altro le sfide dell’AVS e dei costi della salute, ma senza affrontare il tema che ho enunciato prima, tutti gli altri non potranno trovare uno sbocco duraturo». Lei e l’UDC cosa potete promettere? «Non parlerei di promesse, ma di impegno nel dare delle risposte alle sfide che pesano sul nostro Paese e alle piccole e grandi preoccupazioni della nostra popolazione. Penso al nostro ceto medio, la colonna portante della Svizzera. Coloro che producono, pagano le imposte e non chiedono nulla in cambio allo Stato».
Le passioni
Quale mette al primo posto? «Senz’altro la montagna, una passione che condivido con la mia famiglia, poi il calcio e l’hockey. Il primo sport l’ho praticato, il secondo goduto nell’allora Resega, partecipando ai fasti dei colori bianconeri degli anni d’oro». Detto di Lenzerheide, una passeggiata classica è anche quella da fare «con tutta la famiglia alla Bolla, a due passi da casa, anche solo per mangiare un formaggino e un piatto di affettato». Un tema sul quale interviene Mathias, «certo a te piace camminare, ma non direi che ci va sempre tutta la famiglia». Ma allora - gli chiediamo - la democrazia in casa Chiesa funziona? «Diciamo che decidono ancora mamma e papà, ma in questo contesto al massimo io sono vicepresidente».
I paragoni con papà
«Da ragazzo ho giocato a calcio, ed ero anche tecnicamente bravino, ma un po’ svogliato». Significa che ha rinunciato a una carriera promettente? «Non proprio, significa che avendo avuto davanti a me mio padre Antonio, giocatore di calcio di un certo spessore che ha vinto la Coppa svizzera con il Lugano, tutti tendevano a fare paragoni. È molto semplice, lui aveva talento e io non ho mai tentato di fare il calciatore e ho pure rinunciato alla patente di caccia. È una regola di vita: non fare ciò che fa tuo padre, perché lui comunque lo farebbe sempre meglio di te».
La cucina
Il presidente in pectore dell’UDC come se la cava ai fornelli? Interviene Monja: «Vedete un poco voi, per trovare un bicchiere apre tre o quattro antine». Lui ride, sdrammatizza e rilancia: «Detto dei Capuns, mi piace cucinare per fare qualcosa con i miei figli, come l’impasto per gli gnocchi». Poi arriva la confessione: «In gioventù era per me un’abitudine prendere cibo in scatola precotto, a partire dal mitico sugo al ragù. Oggi non ho dubbi, un vero schiaffo alla gastronomia, ma lo facevo per comodità e un po’ di pigrizia, erano i tempi dell’Università». Pronta la puntualizzazione di Monja: «Qui quelle scatole non entrano».
Gli amici
«Pochi ma buoni. Ho tanti conoscenti, ma gli amici veri li conto in una mano o poco più. Sono in particolare quelli dell’infanzia, quelli che ci sono sempre stati e io sono sempre stato presente e disponibile per loro. Poi non è escluso che si possano allacciare anche tanti rapporti amichevoli e sinceri in età adulta, anche la politica aiuta, ma la vera amicizia spesso è quella che dura da una vita. E quelle più arricchenti sono quelle che non fanno la tua professione e che non hanno gli stessi interessi, persone con le quali stacchi dalla quotidianità e parli d’altro».


Christoph Blocher e la figlia Magdalena Martullo-Blocher sono importanti per lei? «Su questo tema c’è chi fantastica, mi hanno pure chiesto se corrispondesse al vero che Christoph fosse il padrino di uno dei miei figli. Mi vien da sorridere, non lo vedo dallo scorso novembre, quando era stato in Ticino ad un evento pubblico. Con Magdalena al contrario ho contatti molto più frequenti per motivi di direttivo dell’UDC e in quanto consigliera nazionale». La lettura del consigliere agli Stati ticinese è che «oltre San Gottardo avevano necessità di mettermi un’etichetta. Dico che il pensiero di Blocher rimane quello di un grande saggio, mai banale, che ha fatto decollare l’UDC e ha cambiato la traiettoria della Svizzera. Ma si sa, i gelosi non vanno mai in vacanza».
La vita da numero uno
Cosa cambierà nella sua vita? «Di certo i periodi a Berna saranno più intensi e gli impegni pressanti. Ma il coronavirus ci ha insegnato che anche a distanza è possibile fare molto e non a caso ho già in agenda molte conferenze in Skype. Andremo sempre più verso questa direzione, anche se chiaramente in diverse occasioni il contatto personale resta imprescindibile». Allora resterà ancora molto in Ticino? «Certo, qui sto bene, e la mia vita e i miei affetti restano a Lugano». D’altronde è davvero difficile abbandonare Ruvigliana, una sorta di balcone con vista sul golfo di Lugano e giù fino al ponte diga».
