L'anniversario

Mattmark, storia di una svolta

Il 30 agosto di sessant’anni fa una gigantesca valanga si abbattè sul cantiere della grande diga in costruzione nella valle Saastal - I morti furono 88, tra loro 56 erano italiani e 23 elvetici - L’enorme sgomento causato da tutte quelle vittime cambiò in profondità anche la Svizzera
Il 30 agosto di 60 anni fa, una gigantesca valanga di ghiaccio travolse il cantiere della diga in costruzione a Mattmark, in Vallese, uccidendo 88 persone. ©STR
Dario Campione
30.08.2025 06:00

Il 30 agosto 1965 a Mattmark, nel Vallese, un’enorme valanga di ghiaccio travolse il cantiere della diga in costruzione nella valle Saastal. I morti accertati furono 88. Di questi, 56 erano italiani, 23 svizzeri, 4 spagnoli, 2 tedeschi, 2 austriaci e uno apolide.

«Fu una delle più gravi tragedie dell’emigrazione del dopoguerra, paragonabile a Marcinelle per portata e impatto simbolico», dice al Corriere del Ticino Toni Ricciardi, storico dell’Università di Ginevra e autore del libro Morire a Mattmark. L’ultima tragedia dell’emigrazione italiana, di cui Donzelli manda in libreria in questi giorni una nuova edizione.

«Ho aggiornato la mia ricerca scrivendo una nuova introduzione che parte dai fatti di Blatten del maggio di quest’anno - spiega Ricciardi - non sarà infatti sfuggito ad alcuno che se a Blatten è stata evitata una tragedia, e sono state sfollate 300 persone prima che accadesse l’irreparabile, è perché all’indomani della tragedia di 60 anni fa si sviluppò il modello Mattmark, un sistema di monitoraggio e di analisi glaciologica che si sarebbe perfezionato nel tempo. Questo è il primo punto. Il secondo è che quando noi ricordiamo catastrofi ed eventi simili, parliamo quasi sempre di luoghi o cose che non esistono più. Pensiamo a Marcinelle, come detto, a Chernobyl e così via. Mattmark invece è ancora lì. La diga funziona e fornisce energia elettrica a 150 mila nuclei familiari. Il sacrificio umano di quel 30 agosto 1965 è presente, in maniera tangibile e visivamente».

Dopodiché, dice ancora lo storico dell’ateneo ginevrino, oggi vicepresidente del gruppo del Partito Democratico alla Camera dei Deputati italiana, altri elementi vanno presi in considerazione.

«La tragedia accadde in un anno chiave della storia della Svizzera e del rapporto tra la Svizzera e l’Italia. Il 1965 è, infatti, l’anno nel quale si rinegozia l’accordo di emigrazione tra i due Paesi. L’Italia, in quella fase storica, è la nazione che fornisce la maggiore quantità di manodopera alla Svizzera; e la Confederazione, a sua volta, è il primo Paese di destinazione di tutta l’emigrazione italiana negli anni ’60. Se non si comprende questo, non si riesce a capire la portata della vicenda».

Qualche mese prima della tragedia di Mattmark, ricorda ancora Ricciardi, «nel giugno del ’65, venne depositata la prima iniziativa anti-stranieri. Il promotore era Albert Stocker, che nel 1963 aveva fondato a Zurigo lo Schweizerische überparteiliche Volksbewegung zur Verstärkung der Volksrechte und der direkten Demokratie (Movimento popolare svizzero apartitico per il rafforzamento dei diritti delle persone e della democrazia diretta), passato alla storia, molto più semplicemente, come l’Anti-Italianer Partei, il partito anti-italiani. Dopo Mattmark, l’iniziativa sarebbe stata ritirata. L’impatto emotivo della tragedia sull’opinione pubblica fu enorme: il fatto che svizzeri e italiani fossero morti insieme, l’uno a fianco all’altro, senza distinzione di passaporto o di permesso di soggiorno, lasciò un segno profondissimo».

Processo senza giustizia

Il processo per i fatti di Mattmark, dice ancora Ricciardi, «durò 7 anni e fu molto dibattuto. Diciassette persone furono rinviate a giudizio per omicidio colposo, ma furono tutte assolte. Le famiglie delle vittime fecero ricorso, ma inutilmente. Pochi mesi dopo la sentenza di primo grado, anche il Tribunale d’Appello confermò le assoluzioni. Non solo: le stesse famiglie furono condannate al risarcimento del 50% delle spese processuali. In parallelo, però, nell’ottobre del 1965 fu creata la Fondazione Mattmark, rimasta attiva per quasi trent’anni e capace di erogare ai familiari delle vittime, a titolo di risarcimento, oltre quattro milioni e mezzo di franchi. Agli orfani fu anche aperto un conto corrente bancario per permettere loro di studiare».

Se non ci fu giustizia da parte dei giudici, ci fu invece solidarietà da parte del Paese e della società. «Se ci chiediamo che cosa sia una tragedia come Mattmark, la risposta è chiara - dice ancora Ricciardi - si tratta di un processo di accelerazione della storia. Dopo simili fatti, si accendono i fari su processi già in atto, fin lì magari ignorati o non sufficientemente indagati. Che tanti italiani contribuissero allora al benessere della Svizzera era un fatto, ma non tutti lo vedevano, o volevano vederlo. Dopo Mattmark, emerse con forza. Allo stesso modo, si scoprirono le difficili condizioni di lavoro di molti emigrati. La tragedia del Vallese, insomma, contribuì, per tanti aspetti, a rendere la Svizzera quella che è oggi».

La prima volta

Questa mattina, nel piazzale della diga di Mattmark, alla cerimonia del 60. anniversario della tragedia, prendono la parola, tra gli altri, il presidente del Governo vallesano, Mathias Reynard, la segretaria nazionale del PD Elly Schlein e Luca Ciriani, ministro italiano per i Rapporti con il Parlamento. È la prima volta che un componente del Governo di Roma e il capo dell’opposizione partecipano alle commemorazioni di Mattmark.

Un fatto che Ricciardi, nella sua duplice veste di storico di politico, tende a sottolineare. «Quella di Mattmark non è stata soltanto una tragedia svizzera - dice - è stato un punto di passaggio chiave del ’900: elvetico, ma anche italiano. È stato un momento di cesura. Come spesso accade in casi simili, accantonato, rimosso e poi dimenticato. In Italia, ad esempio, è molto meno conosciuto rispetto a Marcinelle, e anche per questo è importante parlarne. Storicamente, l’Italia ha sempre sottovalutato la propria migrazione nella Confederazione, mentre in Svizzera è scontato che quando si parla di immigrazione, di stranieri, quando si vuole spiegare l’evoluzione dei processi di cambiamento della gestione dei flussi migratori, alla fine si arriva agli italiani».