La storia

Addio al McDonald's di piazza san Babila, il Burghy dei paninari

Con la chiusura annunciata per il 6 dicembre finisce un'epoca che caratterizzò l'Italia, diffondendosi anche in Ticino: dai Moncler agli Swatch passando per le moto, chi erano i giovani degli anni Ottanta?
Gruppo di paninari davanti a un vecchio Burghy. © KEYSTONE
Stefano Olivari
30.11.2022 18:15

Il 6 dicembre chiuderà il McDonald’s di piazza San Babila, in pieno centro di Milano. Non è, anzi ormai si può dire «non era», un fast food come tutti gli altri, ma un simbolo degli anni Ottanta e in particolare un simbolo dei paninari. Cioè quel movimento giovanile, lo diciamo a chi ha meno di 40 anni, che negli anni Ottanta si diffuse in Italia e anche in Canton Ticino.

Burghy

Il locale aprì nel 1982 e si chiamava Burghy, catena nata l’anno prima e all’epoca di proprietà dei supermercati GS (poi assorbiti da Carrefour). Fu un successo immediato: un po’ perché Mc Donald’s in Italia non era ancora arrivato e quindi c’era spazio per sue imitazioni, molto perché diventò il luogo di ritrovo dei paninari, che prima si vedevano al Panino della vicina piazza Liberty. Nel 1985 Burghy fu acquistata da Luigi Cremonini, il re italiano della carne, e nel 1996 con tutti i suoi 96 ristoranti passò alla McDonald’s, che già era arrivata in Italia con il suo marchio, per circa 300 miliardi delle vecchie lire. Ma i suoi panini, prima di assumere la denominazione di quelli della catena americana, rimangono memorabili: dal King Bacon al Big Burghy, dal King Cheese al King Fish, senza dimenticare i Chicken Doré (l’equivalente dei Nuggets di McDonald’s), le patatine, i milkshake e anche le insalate, mai prese da nessuno se non per scherzo. Dopo un anno le insegne Burghy, a partire da quella di piazza San Babila, cominciarono a essere convertite in McDonald’s, e nel 2006 la cancellazione fu completa. Anche se McDonald’s detiene ancora i diritti del marchio Burghy, per evitare che altri abbiano successo con operazioni nostalgia.

I paninari

Ovviamente non è che a Milano o nel resto d’Europa manchino i fast food, l’emozione generata da questa chiusura deriva da altro. Proprio dai citati paninari, l’unico movimento giovanile nella storia d’Italia a non essere nato come imitazione di un modello straniero. Un movimento che oggi viene ricordato per i suoi simboli esteriori, quasi tutti legati all’abbigliamento, ma che in realtà era molto altro. Si trattava infatti di una reazione alla politicizzazione e alla violenza degli anni Settanta, da parte di una generazione (i paninari più vecchi sono del 1963, i più giovani del 1975) che rifiutava l’impegno e voleva soltanto uscire, stare con gli amici, divertirsi senza sensi di colpa. Dalla Milano bene il movimento si allargò alle periferie e poi a tutta Italia, sconfinando anche in Ticino. Memorabile il numero del Paninaro, il fumetto nato nel 1986 e che arrivò a vendere 100 mila copie a numero, dedicato ai paninari di Lugano. All’epoca i paninari furono etichettati dai media e dai fratelli maggiori come giovani di destra, e in un certo senso lo erano visto che chi faceva politica all’interno dei licei era al 90% di sinistra. Ma in realtà i paninari non hanno mai prodotto ideologie, o anche soltanto messaggi: quando sono cresciuti hanno smesso di essere paninari, punto.

Drive In

Uno dei tanti paradossi della comunicazione è che il paninaro più famoso sia diventato una persona lontanissima per età e frequentazioni dai paninari, ma certo il personaggio di Enzo Braschi a Drive In, la trasmissione di Italia 1, fu azzeccatissimo. A Drive In si vide anche come ospite un giovane e abbronzato Pier Silvio Berlusconi, icona paninara forse a sua insaputa. E a Drive In svettava anche Sergio Vastano, nella parte del bocconiano, che al cinema sarebbe stato protagonista del fondamentale Italian Fast Food.

Il Moncler

Non c’è comunque dubbio che nella memoria siano rimasti soprattutto marchi, perché il paninaro era ciò che consumava. Per questo il movimento era interclassista: bastava comprare il giubbotto e le scarpe giuste ed eri paninaro. Nell’armadio del paninaro l’unica cosa che davvero non poteva mancare era il Moncler: da Courmayeur, nello storico negozio di via Roma, arrivò a Milano conquistando poi l’Italia con il suo effetto da omino Michelin. Quasi obbligatorio anche l’Henry Lloyd, più ricercato l’Elvstrom per chi voleva tirarsela da velista.

Lo Swatch

Gli occhiali di ordinanza, non soltanto davanti al Burghy di piazza San Babila, erano i Ray Ban, nei modelli Easy Rider, Olympian (con stanghetta dorata), T-Look (montatura nera), Club Master (filetto dorato) e Wayfarer (con l’asta arancione). Nella categoria orologi uno solo al comando, lo Swatch. Da acquistare in Svizzera a 50 franchi al pezzo: ogni paninaro vero di Swatch doveva averne almeno cinque. Impossibile elencare tutti i marchi che a turno, per qualche settimana, sembravano un must: da Best Company (le felpe) a Schott (il giubbotto da pseudoaviatore), da Avirex a Naj Oleari (borse a tracolla e stoffe per ragazze), da El Charro (le cinture) a Levi’s (ovviamente i 501), da Armani (i suoi pantaloni venivano presi in via Durini, a pochi passi dal Burghy) a Stone Island, dalle Burlington (le calze a rombi) alle scarpe Timberland fino agli stivali Durango. Le moto parcheggiate davanti al Burghy meriterebbero un libro: l’Aprilia Red Rose 125 ma anche il Tuareg, la Cagiva Elefant 200, la Yamaha XT 600 Z Teneré, la Honda NSF, la trasversale Vespa ma soprattutto la tedesca Zundapp KS. Per essere paninaro non occorreva avere tutto, bastava qualcosa: in proporzione è più costoso essere alla moda oggi.

Il sabato pomeriggio

Tornando al McDonald’s appena chiuso, al di là della nostalgia e delle considerazioni finanziarie (l’affitto era a livelli insostenibili, come ormai tutto a Milano, davvero l’unica città italiana con prezzi svizzeri), bisogna dire che con l’erede di Burghy davvero si chiude un’epoca in cui c’era il piacere della scoperta, che non si poteva fare sul web. La gita del sabato pomeriggio, partendo anche da altre città della Lombardia o dal Canton Ticino, con pellegrinaggio al Burghy, hamburger, patatine e milkshake, fa parte della storia di migliaia di persone. Che non rimpiangono i panini, quelli li possono trovare ovunque, ma un modo di vivere al tempo stesso più ingenuo e più vero. E incomprensibile a chi per età o cultura sia lontano da quell’epoca, come dimostrano i Pet Shop Boys con la loro Paninaro. Burghy non c’è più, ma il suo spirito anni Ottanta è nel cuore anche di chi non li ha vissuti.

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