Aviazione

Airbus e la sfida del titanio russo

Il costruttore europeo non ha ancora trovato una soluzione alternativa e definitiva per la costruzione dei suoi aerei commerciali: «Ma è una questione di alcuni mesi ancora» spiegano i dirigenti
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Marcello Pelizzari
01.12.2022 21:45

La sovranità industriale, se così vogliamo chiamarla, è un concetto nobile. Allo stesso tempo, lo avevamo visto, per l’Europa è un obiettivo difficile da raggiungere. A breve termine, almeno. A nove mesi dall’inizio della guerra, infatti, Airbus non ha ancora trovato una soluzione e un’alternativa al titanio russo per la produzione dei suoi aerei commerciali. La transizione, è vero, è in corso. Ma la sfida – scusate il gioco di parole – è titanica dato che circa la metà delle forniture di titanio, prima che l’esercito di Mosca invadesse l’Ucraina, proveniva dalla Russia.

Ne ha parlato, proprio oggi, 1. dicembre, l’amministratore delegato di Airbus Defence and Space, Michael Schoellhorn: «Al momento necessitiamo ancora di una certa percentuale di titanio russo, ma siamo fortunatamente in procinto di diventare indipendenti rispetto a questa fonte di fornitura» ha detto il dirigente durante l’annuale Airbus Summit a Monaco. L’allontanamento vero e proprio, già avvenuto sul fronte militare, per l’aviazione civile si concretizzerà nel giro di alcuni mesi, «non di anni».

Airbus, in questo senso, prima della crisi aveva in stock abbastanza titanio per andare avanti 6-12 mesi. Una riserva che ha permesso al costruttore di pianificare la ricerca di fonti alternative con relativa calma.

Le attività militari già ne fanno a meno

Airbus, dicevamo, ha saputo allontanarsi subito dal titanio russo per le sue attività militari. Una questione di sicurezza, anche. A livello di aerei commerciali, invece, «abbiamo bisogno di tempo, ancora, prima di poter virare su fonti non russe» ha ribadito Schoellhorn. «Non è un’impresa da poco considerando tutte le certificazioni e l’attuale corsa alle fonti secondarie, ma il processo è in pieno svolgimento. Si tratta di una situazione temporanea con, chiaramente, l’obiettivo di essere indipendenti dalla Russia».

Nel mondo, il numero di Paesi capaci di produrre spugne di titanio e semilavorati in titanio di qualità aeronautica, motori compresi, è limitatissimo. Delle 240 mila tonnellate con standard elevati prodotte all’anno, il Giappone ne copre la metà mentre la citata Russia fra il 30 e il 40%. Completa il lotto il Kazakistan, ex repubblica sovietica ancora molto vicina a Mosca. E gli altri? Nulla, o quasi. Gli Stati Uniti hanno abbandonato la produzione due anni fa, mentre la Cina produce sì spugne di titanio ma non con la qualità necessaria per l’aeronautica.

Gli insegnamenti del COVID

Ribadito che sul fronte commerciale Airbus ha bisogno di tempo, anche se non tantissimo, la sovranità industriale europea e l’accesso a materiali strategici è una questione – oggi come oggi – delicatissima. Schoellhorn, a tal proposito, auspica che l’Europa faccia uno sforzo maggiore: «Penso che ci sia bisogno ed è stato riconosciuto in Europa che dobbiamo fare di più in termini di resilienza». Vero, alcuni passi avanti sono stati compiuti, ad esempio tramite iniziative quali il Chips Act, il pacchetto legislativo europeo sui semiconduttori. Tuttavia, è necessario appunto uno sforzo maggiore a livello europeo per rafforzare le filiere industriali.

Uno sforzo che, a ben vedere, potrebbe essere guidato dagli insegnamenti tratti durante la pandemia. I problemi nella catena di approvvigionamento di ieri, insomma, non sono tanto diversi da quelli di oggi. Volendo unire i puntini, pensiamo a quello che sta succedendo in Cina – complice la politica zero-COVID – e quali sono le ripercussioni per Apple e i possessori di iPhone. Le strategie zero-stock, in particolare, adottate da molti prima della pandemia e della guerra, verosimilmente non sono più attuali. Pazienza se allestire e tenere aggiornati i magazzini è un esercizio costoso e, pure quello, non privo di rischi.