UE

Aiuti all'Ucraina, come è stato possibile convincere Viktor Orbán?

Al di là dei colloqui a porte chiuse con il primo ministro ungherese, fondamentali sono state alcune concessioni sulla valutazione dello Stato di diritto in Ungheria
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Marcello Pelizzari
01.02.2024 15:00

L'accordo, a suo modo, è storico. Perché è stato preceduto da tensioni interne e lotte intestine evidenti. Oggi, giovedì, i leader dell'Unione Europea hanno raggiunto un'intesa per fornire aiuti all'Ucraina. Parliamo di 50 miliardi di euro su tre anni e, soprattutto verrebbe da dire, di una decisione unanime. Ovvero, presa da tutti. Insieme. Quasi all'unisono. Una novità, se vogliamo, considerando che l'unico oppositore – il primo ministro ungherese Viktor Orbán – ha tenuto in scacco gli altri Stati membri per tanto, tantissimo tempo. 

Logica, di riflesso, la soddisfazione di Charles Michel. Il presidente del Consiglio Europeo, su X, ha dato l'impressione di essersi levato un peso gigantesco di dosso: «Tutti i 27 leader hanno concordato un ulteriore pacchetto di sostegno all'Ucraina di 50 miliardi di euro nell'ambito del bilancio dell'UE» ha scritto Michel. «Questo pacchetto garantisce all'Ucraina finanziamenti costanti e a lungo termine».

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, dal canto suo, ha dichiarato di essere grato a Michel e ai leader dell'Unione. Ribadendo, pure lui, una certa comunità di intenti: «È molto importante che la decisione sia stata presa da tutti i 27 leader, dimostra ancora una volta la forte unità dell'UE» ha scritto il leader di Kiev sempre su X. «Il continuo sostegno dell'UE all'Ucraina rafforzerà la stabilità economica e finanziaria a lungo termine, che non è meno importante dell'assistenza militare e della pressione delle sanzioni sulla Russia».

Ma come si è concretizzata questa intesa? Come, in sostanza, l'Unione ha saputo superare i tentennamenti di Orbán, convincendolo infine a dire sì a questo pacchetto di aiuti? Con alcune, apparentemente semplici mosse, leggiamo sul Guardian e su Politico. Il primo ministro ungherese, innanzitutto, ha ottenuto che il Consiglio valuti almeno una volta all’anno l’applicazione del principale fondo europeo per l’Ucraina. Fra due anni, inoltre, lo stesso Consiglio potrà chiedere alla Commissione Europea di elaborare una revisione del fondo e, quindi, volendo anche una riduzione dei soldi disponibili.

L’Ucraina ritiene questi 50 miliardi vitali per evitare la bancarotta e, parallelamente, per poter continuare a respingere l’invasione russa. L'Ungheria, per contro, chiedeva di ridurre o addirittura interrompere i finanziamenti a Kiev. Lo scorso dicembre, Orbán aveva messo il proprio veto all'approvazione del bilancio UE. Bloccando, così, l'invio di fondi all'Ucraina. Non solo, Orbán – come riferisce Politico in particolare – ha ottenuto che lo Stato di diritto in Ungheria verrà valutato in maniera equa e obiettiva dalla Commissione Europea. Musica, evidentemente, per le orecchie del primo ministro ungherese, considerando i 6,3 miliardi di fondi di coesione dell'UE congelati per questo motivo. Nello specifico, la Commissione dovrebbe essere «obiettiva, equa, imparziale e basata sui fatti» e garantire la «non discriminazione» quando attiva il meccanismo per bloccare i finanziamenti dell'UE alle capitali nazionali.

Concessioni, certo. Ma considerate giuste. A maggior ragione se pensiamo allo scenario alternativo, con Orbán che avrebbe mantenuto la possibilità di porre un veto annuale sugli aiuti a Kiev. Il leader di Budapest, fronte interno, potrà parlare di una vittoria strappata all'Unione Europea. Mentre la stessa UE può dire di aver piegato il volere di un singolo membro per il bene comune. Prima di arrivare alla decisione, unanime, sui 50 miliardi di euro, Michel e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, assieme ai leader di Francia, Germania e Italia, hanno incontrato il primo ministro ungherese a porte chiuse. L'incontro, in seguito, è stato aperto anche ad altre figure di spicco dell'UE, fra cui il primo ministro olandese Mark Rutte, il primo ministro polacco Donald Tusk e il primo ministro belga Alexander De Croo. Tutti, guardando e parlando con Orbán, hanno chiarito che non ci sarebbero state ulteriori concessioni per Budapest. E che, nel delicato percorso di ricostruzione della fiducia fra la Commissione e l'Ungheria, un voto favorevole a Kiev sarebbe stato un primo, fondamentale passo.

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