La guerra

Azovstal, che ne sarà dei soldati ucraini?

La resistenza delle acciaierie ha rappresentato un momento chiave del conflitto – La sorte di questi uomini è appesa ai negoziati e agli interessi incrociati
Nello Scavo
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18.05.2022 06:00

Decine di combattenti ucraini, alcuni apparentemente non feriti, si sono arresi lasciando definitivamente i bunker e i tunnel sotto le acciaierie Azovstal di Mariupol. Da quasi ottanta giorni erano asserragliati nell’area industriale, oramai rasa al suolo. L’assedio più lungo della guerra in Ucraina, conclusosi con l’ordine della resa impartito dallo stesso presidente Zelensky agli uomini che Mosca indica come il simbolo della nazificazione ucraina.

Gli eroi più scomodi

Il comando militare ucraino aveva dichiarato nelle prime ore di martedì che la missione di difesa dell’acciaieria era terminata. Civili e centinaia di combattenti ucraini, molti dei quali appartenenti al Reggimento Azov, avevano cercato un riparo negli stabilimenti dell’Azovstal, fondata e progettata sotto Stalin nei decenni di Unione sovietica. Il ministero della Difesa russo ha dichiarato che 265 combattenti si sono consegnati, compresi 51 feriti gravi che saranno curati a Novoazovsk, nella regione separatista filorussa di Donetsk. I prigionieri di guerra sono stati trasferiti in territorio russo a bordo di sette autobus. Le agenzie di stampa internazionali non hanno potuto verificare in modo indipendente lo sviluppo dei fatti. Alcuni dei combattenti ucraini non sembravano feriti, ha dichiarato un testimone alla Reuters.

Mosca ha dipinto il battaglione come uno dei principali responsabili del radicalismo antirusso, definendolo come ultranazionalista e neonazista. La loro sorte è appesa ai negoziati e agli interessi incrociati. In Ucraina c’è chi li considera eroi scomodi, specie dovessero scendere in politica. In Russia sono ritenuti nient’altro che criminali, accusati di crimini commessi durante gli otto anni di guerra nel Donbass e di avere usato i civili come scudi umani in questi giorni di pesanti scontri. I civili usciti dall’acciaieria hanno parlato di condizioni disperate nei bunker e alcuni combattenti hanno riportato ferite orribili senza poter ricevere una adeguata assistenza medica.

Il rischio della lista nera

Il Cremlino ha dichiarato che i combattenti saranno trattati in linea con le norme internazionali, mentre il viceministro della Difesa ucraino Hanna Malyar ha postato un video in cui afferma che la resa è parte di «una procedura di scambio per il loro ritorno a casa», alludendo ai negoziati per la reciproca restituzione di militari catturati in battaglia. Nazioni Unite e Comitato internazionale della Croce Rossa hanno mediato per questa soluzione, tuttavia è difficile prevedere un ritorno a casa di tutti gli ucraini. I soldati di Azov hanno impedito a Putin di celebrare la parata del 9 maggio dichiarando la presa di Mariupol e la cattura dei «combattenti nazisti». Uno smacco che lo zar non dimenticherà.

Appena poche ore dopo aver concluso le operazioni e una volta arrivati in territorio russo, fonti governative di Mosca hanno fatto sapere di voler chiedere alla procura generale l’iscrizione del battaglione Azov nella «lista nera» dei gruppi terroristici. Se accadrà, i militari non verranno sottoposti alle leggi che regolano le azioni in battaglia, ma a quelle sull’eversione, con il rischio di venire condannati in campi di prigionia con condanne per decine di anni.

La natura del reggimento

Il reggimento Azov è stato costituito nel 2014 come milizia volontaria di estrema destra per combattere i separatisti sostenuti dalla Russia che avevano preso il controllo di parti del Donbass, il cuore industriale dell’Ucraina orientale, dove è più alta la presenza di filorussi. Gli attuali comandanti del reggimento negano di essere fascisti, razzisti o neonazisti. Alcuni di loro preferiscono essere definiti «nazionalisti ucraini». Kiev afferma che il battaglione è stato in questi anni riformato proprio allo scopo di sterilizzare la presenza dell’ultradestra e integrare i militari nella Guardia Nazionale.

Il comando militare ucraino ha definito tutti i difensori «eroi del nostro tempo». Ma accuse per violazioni dei diritti umani e crimini di guerra pendono anche sul battaglione. Tuttavia l’Ucraina, a differenza di Mosca, si è sottomessa alla giurisdizione della Corte penale internazionale dell’Aja, che indaga su possibili crimini commessi su entrambi i fronti. Al contrario di Mosca che non intende collaborare con la giustizia internazionale e vuole regolare i conti con i propri metodi.

Cautela e tempo

Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato che il presidente Vladimir Putin ha garantito che la guerra non si sarebbe conclusa, ma che i combattenti ucraini prigionieri sarebbero stati trattati «in conformità con gli standard internazionali». Dal canto suo il presidente ucraino Zelensky ha ribadito che «il lavoro per riportare a casa i ragazzi continua, e questo lavoro ha bisogno di cautela e di tempo».

In altre parole, la parata degli eroi per le strade di Kiev al momento è rimandata. La loro sorte sarà parte del negoziato tra i due Paesi, ma diverse fonti di intelligence spengono ogni entusiasmo. Finché Vladimir Putin sarà al potere, difficilmente i comandanti di Azov potranno tornare in Ucraina sulle proprie gambe. Il presidente della Commissione Esteri della Duma russa, Leonid Slutsky, è il primo ad alzare la posta. «Se saranno dimostrati i loro mostruosi crimini contro l’umanità, ribadisco la mia proposta - ha detto - per fare una eccezione che consenta a un tribunale di considerare la possibilità della pena di morte». Un modo per dire che la loro vita dipende da come Zelensky negozierà globalmente con Mosca, ritorcendo su Kiev la responsabilità della loro sorte, da cui adesso dipende anche il destino politico della leadership ucraina.

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