Berna resta in attesa di Trump

È partito da Giappone e Corea del Sud. Poi, pian piano, con ritmo da consumato sceneggiatore, in modo da creare la massima tensione, Donald Trump ha colpito altri Paesi, annunciando dazi dal 1. agosto anche per Laos, Myanmar, Cambogia, Thailandia, Bangladesh, Serbia, Indonesia, Sudafrica, Bosnia, Malesia, Tunisia e Kazakistan. Una lettera per ogni destinatario. E la Svizzera? E l’Unione europea? Ricordando che, sin qui, soltanto Regno Unito e Vietnam hanno siglato nuovi accordi con gli Stati Uniti per evitare simili tariffe (tra il 25 e il 40%), per gli altri Paesi minacciati lo scorso 2 aprile - quelli dell’ormai famigerata tabella, illustrata nel cosiddetto Giorno della liberazione - non vi sono certezze. Bruxelles dice che «il dialogo resta aperto» e lo stesso vale per la Confederazione. Ma entrambe le realtà non sono al riparo da ulteriori conseguenze. Tre mesi fa Trump aveva l’intenzione di rifilare dazi del 31% alla Svizzera, del 20% all’Unione europea. E quindi, ora?
«Buone speranze»
Il Consiglio federale attende una comunicazione. Oggi si è espresso Albert Rösti. In occasione di un incontro con i media, il consigliere federale ha riconosciuto: «Sono consapevole che le persone attendono con ansia il risultato o la lettera degli Stati Uniti». Secondo il direttore del Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni, ci sono «buone speranze» che la Svizzera e gli Stati Uniti giungano a «una buona conclusione, o almeno a un primo passo» sui dazi. Rösti ha poi aggiunto: «Dobbiamo aspettare e vedere se Trump è d’accordo. Noi attendiamo». Non si può fare altro. Guy Parmelin, con Karin Keller-Sutter, era stato a Washington sempre nel mese di aprile. Dopo la loro visita, già era emerso un certo ottimismo. Ieri lo stesso Parmelin si è limitato ad ammettere, attraverso il portavoce del Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca - che dirige -, che «la Svizzera non ha ricevuto alcuna lettera dal presidente degli Stati Uniti». Lo stesso consigliere federale, già alcuni giorni fa, in un’intervista a Le Temps, usava parole simili: «Abbiamo presentato le nostre argomentazioni e negoziato. Ora aspettiamo. Sappiamo che gli Stati Uniti vorrebbero procedere rapidamente nei colloqui con i loro vari partner commerciali, ma allo stesso tempo ciò richiede molto tempo. Ci posizioneremo in base a ciò che Washington renderà pubblico». Non è cambiato poi molto, quindi, nel frattempo.
La «gentile» von der Leyen
Soltanto l’agenzia Bloomberg, la scorsa settimana, aveva azzardato la notizia di un possibile accordo tra Stati Uniti e Svizzera. Parlava di un «trattamento preferenziale» per Berna anche sulle esportazioni di prodotti farmaceutici. Washington ha sempre chiarito che simili notizie vanno considerate «speculazioni, a meno che non siano annunciate dal presidente Trump». Insomma, la sostanza è sempre quella: il mondo rimane in attesa di decisioni del tycoon. Può valere lo stesso ragionamento anche per Bruxelles. Secondo Politico - ma anche in questo caso la Casa Bianca parlerebbe di speculazioni -, gli Stati Uniti hanno proposto un accordo all’Unione europea in conseguenza del quale verrebbe mantenuta una tariffa base del 10% su tutti i prodotti dell’UE, con alcune eccezioni per settori sensibili come aerei e alcolici. Il ministro delle Finanze tedesco Lars Klingbeil ha intanto già parlato di un’Unione «pronta ad adottare contromisure» nel caso in cui non venisse trovato o riconosciuto un accordo, «un accordo che sia equo». Lo stesso Trump, ieri sera, rinviando a quanto pare la lettera di un paio di giorni, ha definito «gentili» Ursula von der Leyen e lo staff di Bruxelles. «E per molti aspetti fino a poco tempo fa era peggio della Cina».
Le ultime minacce del tycoon
Ieri Trump si è espresso pubblicamente su più temi, dalla guerra in Ucraina alla situazione in Medio Oriente - con il secondo incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu -, e anche i dazi hanno avuto nuovamente uno spazio nella sua agenda. Ha per esempio proposto tariffe doganali molto elevate per alcuni prodotti, affermando che, dopo un certo periodo di tempo concesso alle aziende per riorganizzarsi, le tariffe sui prodotti farmaceutici importati saranno «attorno al 200%». Ecco la prima possibile contraddizione rispetto a quanto avanzato da Bloomberg. Le tariffe sul rame - ha poi aggiunto - potrebbero essere del 50%. Notizia, questa, che ha condizionato le quotazioni del metallo sul Comex. Tra le varie uscite, nel corso di una diretta televisiva dalla Casa Bianca, ha minacciato nuovamente i Paesi membri del BRICS con dazi in arrivo per loro «molto presto». Insomma, nessuno è al riparo. E nessuno, Berna compresa, di conseguenza, può illudersi di esserlo.