BoJo, dopo la resa obbligata si apre il toto-successore
Boris Johnson si è dimesso ma per ora resta a Downing Street. Il premier britannico, incalzato dagli scandali e abbandonato dai suoi ministri, oggi si è arreso e ha lasciato, dopo meno di tre anni, quello che ha definito «il miglior incarico del mondo». A fronte delle dimissioni di oltre 55 tra ministri, sottosegretari e segretari parlamentari, e con anche i suoi sostenitori che gli consigliavano di gettare la spugna, Johnson ha deciso di lasciare prima di subìre l’umiliazione di un voto di fiducia che sicuramente avrebbe perso.
«Io, premier provvisorio»
Il premier, che solo pochi giorni fa aveva detto di voler restare in carica «fino al 2030 e oltre», ha dovuto ammettere nel suo discorso di commiato che «nessuno è indispensabile». Fedele a se stesso fino in fondo, Johnson non ha espresso alcuna contrizione e non si è scusato per gli scandali che lo hanno travolto e per la situazione caotica in cui lascia il Governo e il partito. Ha preferito, invece, tracciare un bilancio trionfale del suo operato, senza alcuna autocritica, e ha criticato «l’istinto di gregge» a Westminster che avrebbe causato la sua uscita di scena. Come ultimo atto prima delle dimissioni, Johnson ha nominato i nuovi ministri per sostituire i numerosi dimissionari e ha detto che intende restare premier fino alla nomina del suo successore in autunno.
«Il nostro sistema darwiniano troverà un nuovo leader», ha detto, impegnandosi a sostenerlo «chiunque sia». Nel frattempo, Johnson ha esortato i suoi nuovi ministri a «tenere il piede sull’acceleratore», continuando a lavorare nei prossimi mesi. La sua permanenza a Downing Street ha fatto scattare i campanelli d’allarme nel partito. Molti lo giudicano troppo imprevedibile e troppo poco affidabile. Il timore è nella migliore delle ipotesi un Governo paralizzato e inefficiente, e nella peggiore un colpo di mano di Johnson per restare in qualche modo al potere.
Con un intervento senza mezzi termini l’ex premier conservatore John Major oggi ha detto che Johnson deve andarsene il prima possibile, perché la storia recente dimostra che i suoi ministri non sono in grado di contenerlo o disciplinarlo. Avendo «perso il sostegno del suo Esecutivo, del suo Governo e del suo partito» il premier uscente deve lasciare perché permettergli di restare non sarebbe «saggio o sostenibile», ha dichiarato Major.
Johnson ha voluto rassicurare il partito che si considera «premier provvisorio» e che agirà di conseguenza. Non ci saranno i promessi tagli delle tasse o altre decisioni rilevanti o irreversibili, ha promesso.
Cittadini soddisfatti
Secondo un sondaggio-lampo, condotto da YouGov, il 77% dei cittadini è contento che Johnson abbia dato le dimissioni e il 56% ritiene che dovrebbe lasciare l’incarico con effetto immediato.
In ogni caso la Commissione 1922 che gestisce il partito conservatore sta cercando di accelerare il più possibile i tempi della successione. La settimana prossima verrà quindi pubblicata la tabella di marcia delle votazioni. Si prevede che almeno una ventina di candidati si faranno avanti, e si proseguirà con una serie di votazioni a eliminazione fino ad arrivare ai due finalisti prima che il Parlamento chiuda per le vacanze estive il 21 luglio.
La scelta finale e cruciale tra i due candidati è più complessa perché hanno il diritto di votare, per posta, anche i circa centomila membri del partito. Si prevede che il risultato verrà annunciato al congresso dei Tories in autunno.
La scommessa
I britannici amano le scommesse, e gli allibratori si sono già scatenati con il toto-premier. Tra i papabili ci sono ex sostenitori di Johnson che, dopo l’ultimo scandalo, hanno deciso di abbandonarlo, provocando l’effetto domino di dimissioni: l’ex cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, e l’ex ministro della Sanità, Sajid Javid.
In lizza anche oppositori storici del premier come Tom Tugendhat, presidente della Commissione Esteri del Parlamento, contrario a Brexit, molto apprezzato a Westminster per le sue capacità ma poco conosciuto dagli elettori.
Si candideranno sicuramente anche ministri che sono rimasti fedeli a Johnson fino all’ultimo, come il ministro degli Esteri Liz Truss, assente dal melodramma degli ultimi giorni perché era al G20 in Indonesia, o il ministro della Difesa Ben Wallace, un ex soldato con molte missioni in Irlanda del Nord all’attivo, che negli ultimi mesi si è conquistato l’ammirazione degli inglesi per la competenza con cui ha organizzato gli aiuti all’Ucraina, addestrando personale e inviando armi.
Il messaggio a Zelensky
Nel suo discorso di dimissioni, Johnson ha giustamente rivendicato il ruolo importante svolto dalla Gran Bretagna nell’aiutare Kiev a difendersi dall’aggressione russa. Fa onore al premier uscente che, oggi, in una giornata decisamente difficile per lui, ha comunque trovato il tempo per telefonare al presidente ucraino Zelensky per rassicurarlo che, indipendentemente da chi sarà il nuovo leader del partito e del Paese, il Governo britannico continuerà a sostenere l’Ucraina. «Abbiamo perso un vero amico», ha dichiarato Zelensky. Più acido il commento del Cremlino, che ha espresso la speranza che il prossimo premier britannico possa essere «una figura più professionale».