L'incontro

BTS a Washington, perché una boyband sudcoreana era alla Casa Bianca?

I membri del popolare gruppo di K-pop hanno incontrato Joe Biden per parlare di inclusione e crimini d'odio contro gli asiatici – Il precedente Elvis-Nixon
Marcello Pelizzari
01.06.2022 10:45

Decine e decine di giovani. Davanti ai cancelli della Casa Bianca, a Washington. Il motivo? La presenza della boyband sudcoreana BTS, nota anche come Bangtan Boys. Parliamo, volendo inquadrare ulteriormente i soggetti, dei massimi interpreti del cosiddetto K-pop. Il genere nato e sviluppatosi a Seoul e dintorni. I membri del gruppo hanno incontrato il presidente Joe Biden. Per discutere temi alti quali l’inclusione e i crimini d’odio commessi contro gli asiatici negli Stati Uniti e nel mondo.

I fan assiepati fuori dai cancelli della Casa Bianca. © EPA
I fan assiepati fuori dai cancelli della Casa Bianca. © EPA

Chi sono?

I Bangtan Boys sono sette: J-Hope, Suga, Jungkook, V, Jin, RM e Jimin. Si sono presentati nella Stanza Ovale con abiti scuri, camicie bianche e cravatte nere. Tipo Men in Black, volendo fare un riferimento cinematografico più o meno recente. O ancora Le iene. Hanno rilasciato dichiarazioni brevi, ma cariche di significato, in coreano. Tanti, tantissimi i giornalisti arrivati dal Sudest asiatico. «Non è sbagliato essere diversi» ha detto Suga. «Penso che l’uguaglianza inizi quando ci apriamo e abbracciamo tutte le nostre differenze».

Sin dal loro debutto, avvenuto nel 2013, questi ragazzi hanno impreziosito i loro testi e promosso svariate campagne di sensibilizzazione, volte a responsabilizzare i giovani. I loro fan, nel mondo, sono conosciuti come «l’esercito». Un esercito multietnico e simbolo della diversità.

L'inflazione

C’è stato spazio, va da sé, anche per le risate. Brian Deese, direttore del National Economic Council, ha preso parola immediatamente dopo la BTS. Per parlare d’altro e, nello specifico, di inflazione. Robe da tecnocrati, verrebbe da dire. Secondo le cronache dei media statunitensi, si è lasciato scappare un sorriso dolceamaro quando ha visto il fiume di giornalisti spostarsi dalla sala per rincorrere i membri della band. Quindi, ha affermato con parecchia ironia: «D’accordo, ai miei figli questa sera dirò che la BTS ha aperto per me. Non me lo aspettavo quando mi sono svegliato stamane. E so che siete tutti qui per parlare dell’inflazione: ne siete entusiasti quanto lo siete per loro».

Le critiche

La presenza della BTS alla Casa Bianca, c’era da aspettarselo, è stata fortemente criticata dalla destra americana. In particolare, il giornalista Tucker Carlson – di cui avevamo parlato qui – ha spiegato che invitare una boyband del genere contribuisce a «degradare» il Paese.

Il problema dell’odio razziale, negli Stati Uniti, è reale: i crimini contro gli asiatici, ad esempio, sono aumentati del 300% e oltre nel 2021 secondo i dati del Center for the Study of Hate and Extremism. Il tutto mentre Donald Trump, l’ex presidente, velatamente ma nemmeno troppo incoraggia la popolazione a incolpare la Cina per aver scatenato la pandemia di COVID-19.

Lo scorso anno, a tal proposito, Biden ha firmato un disegno di legge bipartisan destinato proprio ad affrontare l’aumento dei crimini d’odio contro gli asiatici.

La giornata del presidente, martedì, è stata caratterizzata da parecchi incontri. Dapprima il primo ministro della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern, quindi la vicepresidente Kamala Harris. E poi, ancora, il presidente del consiglio della Federal Reserve Jerome Powell e il segretario del Tesoro Janet Yellen.

Quella volta di Elvis

Ai cronisti presenti, quantomeno quelli più attempati, la presenza della BTS ha richiamato alla memoria l’incontro fra Richard Nixon ed Elvis Presley del 1970. Divenuto celebre grazie alla foto con tanto di stretta di mano.

Altri tempi, già. Allora, il vertice – se così vogliamo chiamarlo – aveva quale tema la preoccupazione (che accomunava il presidente e il re del rock) circa il futuro delle giovani generazioni, minacciate secondo Nixon dalla diffusione delle droghe e dalla contestazione mentre a detta di Presley all’equazione bisognava aggiungere pure il propagandismo dei Beatles.

Elvis, fra le altre cose, assicurò il presidente: «Sono dalla sua parte». Diede la sua disponibilità per lottare contro gli stupefacenti e la «perdita del vero spirito americano». Quindi, per concludere, abbracciò Nixon.

Richard Nixon ed Elvis Presley nel 1970. © Wikipedia
Richard Nixon ed Elvis Presley nel 1970. © Wikipedia