Il profilo

Chi è Francesco Giorgi, il compagno-surfista di Eva Kaili

Pedina centrale nello schema utilizzato da Marocco e Qatar per interferire con gli affari dell'Unione Europea, avrebbe fatto carriera grazie a un familiare «influente»
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Red. Online
15.12.2022 09:21

Un amico, come spiega il Corsera, l’ha definito così: «Il surfista dell’Idroscalo». Ma chi è, davvero, Francesco Giorgi, compagno dell’oramai ex vicepresidente dell’Europarlamento Eva Kaili e pedina centrale nello schema utilizzato dal Qatar (e dal Marocco) per interferire con (e condizionare) gli affari dell’Unione Europea? Proviamo a fare chiarezza.

Le origini

Trentacinque anni, originario di Abbiategrasso, a una mezz’ora da Milano, è cresciuto praticando surf grazie alle onde simulate tramite un macchinario. All’Idroscalo, appunto. Nel suo interrogatorio, ha spiegato e ribadito di non essere un criminale. Si è mantenuto in equilibrio sopra la follia, proprio come su una tavola, durante tutti questi mesi.

Il Corsera fa diversi passi indietro nel descrivere la persona e il personaggio. Ricorda le due ville in via della Noce, una intestata a mamma e papà, l’altra a suo nome. Giorgi vi ha vissuto fino al 2016, prima del grande salto a Bruxelles dopo una laurea in Scienze politiche e una lunga esperienza come assistente parlamentare. Molti, pare, lo invidiavano. Perché affascinante, brillante, abile anche.

Le testimonianze

Invidia nata dalle possibilità di cui aveva beneficiato Giorgi. Un «influente familiare», raccontano, lo avrebbe indirizzato a una certa carriera. Presentandolo alle persone giuste. Francesco si è fatto grande all’oratorio, seguendo i consigli di papà Luciano, prestandosi come volontario sulle ambulanze e, ancora, in parrocchia. Chi l’ha conosciuto e lo conosce bene, beh, lo descrive come un tipo maniacale, abbonato a cibi sani e controlli sulla bilancia, amante del fisico e dei muscoli. Intercettato dai media italiani, il signor Luciano si è limitato a poche frasi di circostanza: «Mi hanno ordinato di tacere e in ogni modo non avrei parlato». In paese, per contro, tutti parlano. E tutti giudicano, va da sé.

Di preoccupazioni, leggiamo, Giorgi ne aveva date diverse ai suoi genitori da ragazzo. Amante della vela, della velocità folle, della notte quando – da adolescente – ne combinava di ogni con gli amici. Fermandosi, però, sempre in tempo. Era, pure, un corteggiatore secondo i racconti dell’epoca.

Quanto ai soldi, gliene hanno trovati tanti, tantissimi. Anche ad Abbiategrasso. Non era mai stato ritenuto un tipo avido, né si capisce (al momento) chi abbia influenzato chi. Se Francesco abbia spinto Eva a infilarsi in questo tunnel. O viceversa.

Lo schema

Sullo sfondo, intanto, il Qatargate si sta allargando sempre di più. È diventato una specie di film di spionaggio, peccato che – di mezzo – ci sia la realtà. E ci sia un’istituzione come l’Unione Europea. Detto di Doha, nelle ultime ore è emerso con forza anche il ruolo del Marocco. Tant’è che il protagonista principale della vicenda, oramai, è il DGED, ovvero il servizio segreto marocchino. I due Paesi, Marocco e Qatar, sono visti come i grandi corruttori o, meglio, come i grandi infiltrati all’interno delle istituzioni europee. Parlamento in testa. Con il solo obiettivo, dicevamo, di condizionare – attraverso soldi e corruzione – l’Unione Europea.

Rabat, in particolare, ha insistito affinché l’UE non mettesse becco nell’occupazione del Sahara Occidentale. E ha insistito, altresì, per avere meno problemi possibili sul fronte dei flussi migratori. La parte influenzabile e influenzata, come noto, era quella del gruppo socialista di S&D. I rapporti erano curati da quella che Repubblica ha definito una cricca: Antonio Panzeri, Andrea Cozzolino e Francesco Giorgi. I media greci ipotizzano, a tal proposito, che siano almeno una sessantina i nomi coinvolti.

Non molto diverso il sistema introdotto dal Qatar, i cui obiettivi erano legati alle procedure adottate da Doha sui lavoratori, in particolare quelli impegnati nella costruzione degli stadi dei Mondiali. Le autorità qatariote, ad ogni modo, sono state molto più dirette rispetto a quelle marocchine. Niente servizi segreti, niente spie. I colloqui e le intese, infatti, passavano direttamente dal ministro del Lavoro Bin Samikh al Marri.

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