Chi ha ucciso Dugina? Accusata una donna ucraina, ma c'è l'ombra dei dissidenti russi

Mosca punta il dito, Kiev rispedisce le accuse al mittente. E viceversa. Un copione a cui assistiamo da mesi, ma che questa volta non riguarda l’ennesimo bombardamento finito male. Russia e Ucraina in queste ore si affrontano sulla morte di Daria Dugina, figlia del filosofo e politologo Alexander Dugin. Secondo l’FSB, l’intelligence russa, ci sarebbe lo zampino ucraino dietro alla tragica fine della giornalista 29.enne, ma Kiev non ci sta, e nelle scorse ore ha negato il proprio coinvolgimento nel fatto di sangue: «L'Ucraina non è certamente coinvolta nell'omicidio della signora Dugina. Non ha senso per l'Ucraina per molti motivi. La famiglia Dugin non è parte degli organizzatori e dei gestori attivi della guerra. Sono solo elementi del sistema generale di propaganda isterica della Russia», ha riferito Mykhailo Podolyak, principale consigliere del presidente Volodomyr Zelensky. Vladimir Putin ha emanato un decreto presidenziale per conferire un'onorificenza postuma alla vittima, «per il coraggio e la dedizione mostrati nell'adempimento del dovere professionale». Il presidente russo ha parlato di «un crimine vile e crudele», che ha spezzato la vita di una «persona brillante e di talento, un vero cuore russo, gentile, amorevole, comprensivo ed aperto». Alexander Dugin ha puntato il dito contro il «regime nazista ucraino», a suo dire autore di un «un attacco terroristico». Il politologo dopo la morte della figlia ha suonato la carica alle truppe russe: «I nostri cuori bramano non solo la vendetta, a noi serve la vittoria. E allora vincete, per favore!».
L'FSB ha già risolto il caso?
L’FSB ritiene che l’omicidio di Daria Dugina sia opera della cittadina ucraina Natalia Pavlovna Vovk. Una celerità nella risoluzione del caso che ha insinuato più di un dubbio nei media internazionali. L’agenzia di stampa russa Ria Novosti, nelle scorse ore, ha diffuso una serie di video (in fondo all'articolo) che mostrerebbe la donna, 43 anni, entrare in Russia, per poi trasferirsi nello stesso condominio di Dugina e fuggire in Estonia con la figlia 12.enne una volta messo a segno il colpo. Gli investigatori sostengono che Vovk - secondo loro legata al Battaglione Azov - sia arrivata nel Paese il 23 luglio alle 9.25 a bordo di una Mini Cooper con targhe della Repubblica popolare di Donetsk. La presunta killer sarebbe giunta in Russia insieme alla figlia per monitorare le abitudini della giornalista uccisa. Le due sarebbero poi fuggite in Estonia poche ore dopo l'esplosione, avvenuta lungo un'autostrada a circa 50 chilometri a ovest di Mosca. Secondo la commissione investigativa russa la deflagrazione del veicolo sarebbe avvenuta a causa di un «ordigno esplosivo» posizionato sulla parte inferiore del veicolo nel lato del conducente.
Il video del disastro, diffuso sui social media, mostra Dugin camminare avanti e indietro per la strada con le mani nei capelli, mentre l'auto con a bordo la figlia viene divorata dalle fiamme. Un camion dei pompieri arriva sul posto per domare l'incendio. Lunedì mattina, l'FSB ha annunciato di aver «risolto» il caso dopo aver condotto «misure operative urgenti di ricerca». Secondo gli inquirenti, Natalia Pavlovna Vovk avrebbe affittato un appartamento nell'edificio di Daria Dugina «per organizzare l'omicidio e ottenere informazioni sul suo stile di vita». L'FSB ha inoltre diffuso immagini di telecamere di sicurezza che mostrerebbero la stessa auto, la Mini Cooper, con targhe del Kazakistan e dell'Ucraina. Queste ultime sarebbero state montate sulla vettura la notte in cui è esplosa l'autobomba. La prova sarebbe nelle immagini registrate sabato alle 23.26 lungo l'autostrada baltica e, in seguito, al confine con l'Estonia, che madre e figlia avrebbero attraversato domenica verso mezzogiorno. Vovk è pure accusata di essere un membro del battaglione Azov: il reggimento ucraino ha smentito i legami con la donna.
La rivendicazione dei dissidenti russi
L'omicidio è stato rivendicato da un gruppo clandestino di dissidenti russi che si fa chiamare Esercito Repubblicano Nazionale (NRA). Ilya Ponomarev, un ex membro della Duma espulso per via delle sue posizioni anti-Putin, ha diffuso un messaggio di rivendicazione dalla NRA: «Ieri sera si è verificato un evento importante vicino a Mosca. Questo attacco apre una nuova pagina nella resistenza russa al putinismo. Nuova, ma non l’ultima. Putin è un usurpatore del potere e un criminale di guerra che ha emendato la Costituzione, scatenato una guerra fratricida tra i popoli slavi e mandato i soldati russi a una morte certa e insensata. E che sarà deposto». Nel messaggio viene spiegato che la figlia di Dugin è stata colpita in quanto «obiettivo legittimo perché fedele compagna del padre, che sosteneva il genocidio in Ucraina». Secondo il politico dissidente, l'omicidio di sabato ha segnato l'apertura del «secondo fronte della guerra contro il fascismo di Putin».
L'Ucraina respinge le accuse: «Sono stati i russi»
Secondo Kiev non ci sarebbe né la mano ucraina né quella dei dissidenti russi dietro all'attentato, ma sarebbe stata proprio l'intelligence di Mosca ad organizzare l'attacco a Dugina: «Il sostegno alla guerra sta calando in Russia e il Cremlino ha bisogno di una mobilitazione sociale. Per questo l'FSB sta pianificando una serie di atti terroristici nelle città russe, con tante vittime civili. Dugina è stata solo la prima. L'Ucraina, a differenza della Russia, non è in guerra con i civili», ha dichiarato Oleksii Danilov, segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale dell'Ucraina, citato dal giornale Ukrainska Pravda.