Cinesi contagiati dal virus della creatività

«I cinesi sono stati contagiati dal virus della creatività, da quando il governo centrale di Pechino ha varato le misure per contenere i contagi dovuti all’epidemia del nuovo coronavirus». Ad affermarlo è una conoscitrice di lunga data della Cina: Sabrina Ardizzoni che insegna Lingua e cultura cinese all’Università di Bologna e ci offre un inedito punto di vista su quel che sta accadendo nell’immenso Paese asiatico. La professoressa Ardizzoni - che da anni in Italia opera anche come mediatrice linguistica culturale per scuole, enti locali e organizzazioni non governative - frequenta regolarmente la Cina dal 1992, anno in cui ha incominciato ad approfondire i suoi studi all’Istituto di Lingue e culture di Pechino, ora Università di lingue straniere.
«Milioni di persone - prosegue - da due settimane sono costrette a vivere in un isolamento che non è esagerato definire di clausura ma si sono impegnate a rispettarlo in tutto e per tutto, come mi raccontano dalla Cina amici e conoscenti. I cinesi, popolo che tiene molto a igiene e salute anche per rispetto nei confronti dell’altro, ne hanno fatto una questione di etica personale a favore del bene collettivo - nazione compresa - e dunque non trasgrediscono le regole dettate dal governo in occasione di questa nuova epidemia».

Mobilitato anche il mondo dell’arte
«I sacrifici che i cinesi devono affrontare sono indubbiamente molti, prima fra tutti la vita in isolamento. Per reagire alla reclusione in casa (a volte contando i passi dalla cucina al divano, dal divano alla camera da letto, dalla camera al bagno) fanno ricorso alla creatività, di cui peraltro sono tradizionalmente molto dotati. Le produzioni casalinghe - artistiche o meno che siano - vengono poi condivise sui social media, a iniziare da WeChat, il Whatsapp cinese. C’è chi si cimenta con ricette particolarmente complesse, chi si è messo a scrivere poesie, diari e racconti, chi a dipingere o a cantare. Come una signora che ha pubblicato un video in cui esegue un canto tradizionale delle montagne del Fujian - nel sud della Cina - e danza in abiti tradizionali. Le parole della canzone, composte da lei in una sorta di rap, invitano a seguire le regole per prevenire la malattia ed evitare la diffusione del contagio: mettersi la mascherina quando si esce di casa, lavarsi spesso le mani e via... cantando, si potrebbe dire con un sorriso. Sarà sicuramente interessante, più in là nel tempo, studiare questa esplosione di creatività in un contesto di grande disagio come quello che stanno affrontando attualmente i cinesi, una creatività che prima di tutto li aiuta a sopravvivere psicologicamente».
Dopo di che la professoressa Ardizzoni aggiunge: «Si è pure mobilitato il mondo dell’arte, i cui esponenti più noti si stanno impegnando per fornire il loro sostegno alle persone chiuse in casa e ai medici impegnati in prima linea a combattere questa lotta comune contro il nuovo coronavirus. Huang Yongyu, classe 1924, un pittore laureato molto conosciuto e apprezzato maestro, icona vivente dell’arte contemporanea di stile tradizionale, ha offerto il suo incoraggiamento a tutti quelli coinvolti in prima persona. Accanto a una mano che apre il dita in segno di vittoria, con la croce rossa della scienza medica, incita “Il magnifico popolo cinese” a proseguire nella lotta contro il virus, nemico comune».

Generata un grande solidarietà
E come è sul piano materiale? «Per i cinesi aiutarsi reciprocamente - partendo da se stessi - è sicuramente importante per non farsi sopraffare dalle difficoltà materiali. In Cina si sono fermate attività produttive, commerciali, amministrative e scolastiche in modo davvero massiccio, senza contare che innumerevoli famiglie - in una nazione la cui popolazione è di un miliardo e mezzo di abitanti - sono state divise, quantomeno sul piano del contatto fisico. Infatti, ci sono nuclei famigliari il cui padre lavora in una città, la madre in un’altra e i figli sono accuditi in un lontano villaggio rurale dai nonni, magari molto anziani e in condizioni di salute precarie. Senza contare che molti cinesi, lavoratori emigrati dalle campagne in città, svolgono attività lavorative precarie, per le quali vengono pagati a cottimo o a giornata. In questa situazione, con molti ristoranti, negozi e fabbriche chiusi, queste persone hanno perso il lavoro, e non possono nemmeno tornare a casa. D’altra parte, per quelli che lavorano, un altro problema di non poco conto è legato alla chiusura delle scuole. Con le scuole e gli asili chiusi, mancano coloro che si possono prendere cura dei più piccoli e i genitori si trovano in grande difficoltà».
Ma non solo, come precisa ancora Sabrina Ardizzoni: «Anche la cura degli anziani, degli invalidi o delle persone sole è un capitolo non facile da affrontare sul piano della gestione sociale. Di conseguenza, è notevole e ammirevole ciò di cui sono stati e sono capaci i cinesi in questa situazione di grande emergenza che ha generato, tra l’altro, una grande solidarietà fra loro, intesa nel senso più ampio del termine».

Niente censura, il governo è stato proattivo
Si è anche parlato di censura da parte del governo centrale di Pechino, di volontà di nascondere le cose come era già accaduto nel 2002 in occasione dell’epidemia di SARS, l’altro coronavirus che aveva preoccupato tutto il mondo. «No, stavolta il governo cinese ha agito in bel altro modo rispetto al 2002. Allora sì che aveva tenuto nascosto a lungo lo stato delle cose, tanto che a Pechino, per fare un esempio, le ambulanze con a bordo le persone colpite dalla SARS giravano da un ospedale all’altro senza che venissero ammesse e curate, proprio perché nessuno sapeva di che malattia soffrissero, e come curarle. Adesso, invece, il governo ha preso del tempo per verificare cosa stesse realmente accadendo, ma quando la malattia è stata identificata, ecco che è intervenuto con decisione, varando misure tanto drastiche quanto estese, senza lasciare nulla al caso, per quanto possibile. E l’intervento del governo di Pechino è stato talmente serio e determinato che ha favorito una presa di coscienza immediata da parte della popolazione, la quale ha agito e reagito di conseguenza, per contribuire a circoscrivere la diffusione del virus. Quindi, non parlerei di censura, in questo caso, ma anzi di un comportamento proattivo, da parte del governo cinese e delle autorità più in generale».

Fermato il Paese alla vigilia della festa più importante
«Inoltre - spiega in conclusione la professoressa Ardizzoni - occorre tenere in considerazione il fatto che il nuovo coronavirus si è manifestato alla vigilia del Capodanno cinese, la festa più importante del Paese e per la quale i cinesi si spostano a milioni per raggiungere parenti e amici in altre città o nei villaggi di campagna. Quindi, la messa in quarantena delle città e i cordoni sanitari il governo non ha certo potuto deciderli a cuor leggero. Però, una volta focalizzata la natura e l’origine della malattia ha agito tempestivamente, senza perdere tempo. E questo non è per nulla scontato in una nazione dalle dimensioni come quelle della Cina, così vasta e variegata, dove alle grandi città si contrappongono le campagne e i modi di vivere, quindi, sono molto diversi. Eppure, anche in villaggi lontani migliaia di chilometri da Wuhan - la città epicentro dell’epidemia - la gente ha aderito con molto rigore alle misure precauzionali indicate da Pechino, segno che il messaggio partito dal centro è stato colto correttamente da tutti. Non per niente uno degli slogan che circolano nel Paese in queste settimane è "Lo fai per te, per gli altri e per il tuo Paese". Ed è uno slogan che ogni cinese ha preso a cuore, proprio per evitare danni maggiori a causa del nuovo coronavirus».
