Così, «contro ogni etica», i dazi di Trump hanno aiutato Elon Musk (ma non con Tesla)

«Da una guerra dei dazi, nessuno emerge vincente». È quanto ripetuto, più volte in queste ultime settimane, da politici e analisti di tutto il mondo. Negli Stati Uniti, tuttavia, c'è davvero qualcuno che sta traendo profitto dalle draconiane misure economiche imposte dall'amministrazione Trump e il nome, in qualche modo, può sorprendere: Elon Musk. È vero, il miliardario patron di Tesla è vicino, vicinissimo al presidente americano e forte sostenitore delle sue politiche. Ma l'uomo più ricco del mondo si è sin qui mostrato non proprio entusiasta sui dazi voluti dalla Casa Bianca. Una posizione non casuale, considerato che il giorno dell'annuncio delle tariffe – Liberation Day – ha causato perdite miliardarie in Borsa anche al patron di Tesla. Come, allora, Musk sta facendo soldi grazie ai dazi? Un editorialista del Washington Post, Matt Bai, ha ricostruito, in un articolo d'opinione, il caso di Starlink in Bangladesh.
Cambiamenti
Negli ultimi mesi, Starlink — la costellazione di satelliti per internet globale di Elon Musk — ha registrato una sorprendente serie di successi internazionali. Dopo anni di ostacoli regolatori, la società ha ottenuto via libera in India e Pakistan, ha concluso un accordo importante in Bangladesh e ha superato le resistenze che in Vietnam e Lesotho bloccavano l'accesso a operatori stranieri. Nel suo articolo, Bai si è concentrato sul caso del Bangladesh, «emblematico» per il modo in cui l'influenza politica di Musk si stia intrecciando con il destino di Paesi che cercano di evitare le rappresaglie tariffarie dell’amministrazione Trump.
I rapporti fra il Bangladesh – seconda nazione esportatrice di articoli d'abbigliamento verso l'America – e gli Stati Uniti stanno attraversando una fase delicata. A meno di un anno dalla grande rivolta che ha portato alla fuga della premier al potere da un ventennio, Sheik Hasina, il Bangladesh è oggi guidato da un governo nato da un movimento studentesco di protesta e presieduto dal premio Nobel Muhammad Yunus. Una soluzione in teoria ottimale per Washington, che da tempo chiedeva una svolta democratica nel Paese asiatico, ma sulla quale l'amministrazione Trump ha sin qui preferito mantenere una posizione ambigua. Tanto che la Casa Bianca, tramite la direttrice dell'intelligence nazionale Tulsi Gabbard, si è spinta a ripetere le accuse – dubbie, sottolinea Bai – rivolte dall'India al Bangladesh, dipinto come disposto a offrire rifugio a terroristi islamici.
L'incontro
Secondo una fonte anonima vicina al governo bangladese, citata nell'articolo del WP, a febbraio, un inviato speciale del Bangladesh, Khalilur Rahman, ha incontrato funzionari statunitensi per cercare di negoziare un accordo commerciale. Durante la visita, avrebbe ricevuto una richiesta precisa: importare più cotone americano, in alternativa a quello africano e brasiliano, per evitare dazi punitivi. Rahman avrebbe accettato. Ma la parte più inaspettata della visita è arrivata dopo: Rahman si sarebbe trovato faccia a faccia con Elon Musk, pronto a discutere direttamente della licenza per Starlink, che le autorità bangladesi tardavano a concedere a causa delle pressioni delle compagnie telefoniche locali.
Stando all'editorialista del Washington Post, Rahman avrebbe telefonato subito, durante l'incontro, al premier Yunus, riferendogli le preoccupazioni di Musk. «L'apparente implicazione, sebbene non sia stata dichiarata apertamente, era che uno dei maggiori esportatori tessili del mondo non sarebbe stato in grado di ottenere condizioni commerciali favorevoli dagli Stati Uniti se a Starlink non fosse stato permesso di entrare nel mercato del Bangladesh», evidenzia Bai.
Pressioni diffuse
Interrogata, l'ambasciata del Bangladesh negli USA ha negato di aver subito pressioni per l'accettazione di un affare con Musk in cambio di benevolenza nell'ondata di dazi che stava per manifestarsi all'orizzonte. E anzi, secondo funzionari del Paese asiatico, Yunus era da tempo interessato alla costellazione di satelliti come modo di combattere le ingerenze del regime, nel frattempo caduto.
Certo è che, stando a quanto appurato nel corso dell'inchiesta giornalistica durata un mese, lo schema messo in campo con il Bangladesh si è ripetuto altrove. In India, Musk ha discusso con il premier Modi della licenza per Starlink, sempre nel contesto di negoziati commerciali. E anche in Sudafrica, Paese natale di Musk, sembra si sia diffusa la percezione che ottenere un accordo favorevole con Washington implichi necessariamente l’apertura del mercato a Starlink: tanto che un parlamentare ha proposto una deroga alla legge che vieta la presenza di operatori stranieri non associati a partner locali afrodiscendenti, una norma che Musk aveva più volte denunciato come razzista.
Questione di etica
Dove finisce l'uomo d'affari e inizia il funzionario dell'amministrazione Trump? Il nodo etico sta qui. Musk, oltre che essere patron di Tesla, Starlink e X, è anche legato al governo statunitense per il suo ruolo nel cosiddetto DOGE, il Dipartimento per l'efficienza governativa che negli ultimi mesi ha tanto fatto parlare di sé per i tanti (e arbitrari) tagli alla struttura federale. Se Musk discute delle licenze di una sua azienda, Starlink, e lo fa nel contesto di negoziati commerciali fra nazioni, in un ufficio governativo, non c'è il rischio si incappi in pesanti conflitti d'interessi? Interrogato da Bai, il senatore democratico Mark Warner – leader nel Comitato congressuale per l'intelligence – non ha usato mezzi termini: «Credo che questo travalichi qualsiasi standard etico e legale che ha tradizionalmente guidato il nostro Paese. Musk ha creato alcune grandi aziende, ma non dovrebbero avere un vantaggio così ingiusto ed essere imposte ai Paesi dal loro fondatore che siede in spazi governativi».
Un'analisi, quella proposta sul WP, che mostra i cambiamenti registrati negli ultimi decenni nella società americana. «Parlando di questa vicenda con decine di addetti ai lavori a Washington e all'estero negli ultimi mesi, ciò che mi ha colpito di più è stata la mancanza di un'evidente indignazione. Voglio dire, questa è una città che una volta, negli anni di Clinton, si è trovata paralizzata per settimane su possibili conflitti di interesse nell'ufficio viaggi della Casa Bianca. Ma nei primi tre mesi da quando Trump è tornato in città e ha installato Musk come una sorta di primo ministro dell'efficienza, tutti sembrano essersi rassegnati a un nuovo tipo di normalità etica».