Pandemia

COVID, la Cina passa al contrattacco fra accuse e giustificazioni

Pechino ribadisce che le statistiche sull'andamento di contagi e morti sono sempre state trasparenti, mentre le misure imposte dagli altri Paesi sarebbero un «trucco politico» per «sabotare tre anni di sforzi»
© AP/LaPresse
Marcello Pelizzari
30.12.2022 15:15

La Cina non ci sta. E rispedisce al mittente le accuse. Ribadendo che, nonostante il numero basso, se non bassissimo di casi e decessi in piena recrudescenza del virus, le statistiche fornite da Pechino sono trasparenti.

Ad affermarlo, con forza, è stato un portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin. «Dallo scoppio dell’epidemia – leggiamo – la Cina ha condiviso informazioni e dati affidabili con la comunità internazionale, inclusa l’OMS, in modo aperto e trasparente».

E ancora: «Abbiamo condiviso la sequenza del nuovo coronavirus fin dall’inizio e abbiamo dato un contributo importante allo sviluppo di vaccini e farmaci affidabili in altri Paesi».

Se la misura è colma

Dopo aver incassato, insomma, il Dragone è passato al contrattacco. Il Global Times, tabloid del Partito Comunista, ha tagliato corto: «Un piccolo numero di Paesi e regioni, come Stati Uniti e Giappone, vede la riapertura della Cina come un’altra possibilità per diffamare Pechino». A detta del foglio, insomma, le precauzioni adottate per i viaggiatori provenienti dalla Cina sarebbero uno «sporco trucco politico» per «sabotare i tre anni di sforzi cinesi nella lotta al COVID e per attaccare il sistema».

Ce n’è anche per l’Italia, fra i Paesi che hanno imposto il tampone obbligatorio: «Eppure, il suo governo ha detto che non è stata trovata alcuna nuova mutazione nei recenti arrivi».

Parentesi per la Svizzera: l’Ufficio federale della sanità pubblica, al momento, non prevede misure alle frontiere. Si allineerà, se caso, a quanto deciderà l’Unione Europea.

Le parole dell'OMS

La reazione, stizzita, da parte della Cina è legata a doppio filo alle parole di Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità. Il quale aveva invitato Pechino a trasmettere «informazioni più dettagliate» ritenendo, fra l’altro, «comprensibili» le misure di protezione annunciate da altri Paesi nei confronti dei viaggiatori provenienti dalla Cina.

Cina che, come noto, sta affrontando un’ondata senza precedenti dopo aver abbandonato, all’inizio di dicembre, l’arcinota politica zero-COVID basata su test di massa, chiusure lampo di interi quartieri se non addirittura città o regioni e, ancora, fortissime restrizioni. Il Paese, in piena atmosfera «liberi tutti», forse anche per allontanarsi in via definitiva dalle proteste di piazza degli ultimi tempi ha anche annunciato l’abolizione della quarantena obbligatoria, a partire dall’8 gennaio, per i viaggiatori di rientro dall’estero. Il classico segnale lanciato all’economia del turismo: sì, i viaggi possono ricominciare.

Ma i contagi quanti sono?

Venerdì, il Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) ha annunciato appena 5.515 nuovi contagi e un decesso. Cifre che, secondo gli osservatori occidentali, non sembrano rispecchiare la realtà. A maggior ragione dopo l’abbandono dei citati test di massa. A detta di Airfinity, società di ricerca britannica, in Cina starebbero morendo di COVID circa 9 mila persone al giorno.

«La Cina ha sempre pubblicato i suoi dati sui decessi e sui casi gravi di COVID-19 in un desiderio di apertura e trasparenza» ha assicurato giovedì un alto funzionario sanitario, Jiao Yahui, citato dalle agenzie. In Cina, solo i pazienti deceduti per insufficienza respiratoria causata dal virus e positivi vengono considerati vittime di COVID-19. Una decisione «scientificamente appropriata» stando a Liang Wannian, funzionario della politica anti-coronavirus di Pechino. Altrove, invece, nel computo vengono inclusi anche i pazienti morti fino a 28 giorni dopo un test positivo.

La situazione reale

Finora, Giappone, India, Israele, Italia, Malesia, Corea del Sud, Spagna, Taiwan, Thailandia, Singapore e Stati Uniti, con varie sfumature, hanno annunciato regole rafforzate per l’ingresso di viaggiatori provenienti dalla Cina.

E l’Unione Europea? Così la Commissaria alla Salute, Stella Kyriakides, in una lettera inviata ai 27 Stati membri: «Alla luce dell’abolizione delle restrizioni ai viaggi annunciata dal governo cinese e che entrerà in vigore l’8 gennaio prossimo, invito a rimanere molto vigili poiché i dati epidemiologici o i test affidabili per la Cina sono piuttosto scarsi, la copertura vaccinale generale in Cina è bassa e non esiste una decisione di equivalenza tra i certificati di vaccinazione o di guarigione cinesi e il certificato digitale COVID-19 dell’UE». E ancora: «Vorrei invitarvi a valutare le vostre attuali pratiche di sorveglianza genomica del virus. Se è stata ridimensionata a causa della nuova fase domestica, potreste prendere in considerazione l’idea di aumentarla nuovamente. Sarebbe poi importante continuare o avviare una sorveglianza delle acque reflue, che includa le acque di scarico degli aeroporti principali. Se compare una nuova variante del virus SARS-CoV2 – in Cina o nell’UE – dobbiamo individuarla tempestivamente per essere pronti a reagire rapidamente».

Evidentemente, tanto in Europa come altrove le notizie che giungono dalla Cina spaventano. Nella grandi città, ad esempio, visto l’aumento esponenziale di contagi è diventato sempre più difficile reperire farmaci di uso quotidiano, ospedali e farmacie sono in grande difficoltà, complice l’assenza (per malattia) di personale sanitario. Per tacere del basso tasso di immunizzazione tra gli over 60, fra le principali preoccupazioni del governo cinese: oltre il 90% della popolazione totale è sì stata vaccinata, ma se parliamo di over 80 si scende a due terzi.

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