Il caso

Crimini di guerra: ecco le testimonianze degli ucraini

Spari in testa, buchi nella schiena, stupri e uccisioni illegali: sono diversi i casi di violenza sui civili raccolti da Amnesty International dall'inizio della guerra in Ucraina – Con l'aiuto dell'organizzazione e della sua portavoce, Sarah Rusconi, approfondiamo il tema degli abusi dei russi alla popolazione ucraina, soffermandoci anche sul ruolo dell'ONU, sulla giustizia, e sull'aiuto che ognuno di noi, nel proprio piccolo, può offrire
Federica Serrao
12.04.2022 06:00

Spari in testa. Buchi nella schiena. E anche uccisioni illegali e stupri. Sono solo alcuni esempi delle atroci violenze subite dai civili ucraini, durante la guerra coi russi. «Nelle ultime settimane abbiamo raccolto prove che le forze russe hanno commesso esecuzioni extragiudiziali e altre uccisioni illegali. Questi atti devono essere indagati come probabili crimini di guerra», ha dichiarato negli scorsi giorni Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International. L'organizzazione, infatti, è al momento attiva nella raccolta di testimonianze di violenza di cui sono vittime i cittadini ucraini. In particolare, grazie al lavoro degli investigatori del Crisis Response Team di Amnesty International è stato possibile intervistare più di venti persone, residenti nei villaggi e nelle città nelle vicinanze di Kiev, che hanno rilasciato testimonianze di violenze vissute in prima persona, o da una conoscenza diretta. Approfondiamo il caso degli abusi subiti dagli ucraini con il commento di Sarah Rusconi, portavoce di Amnesty International per la Svizzera italiana. 

Come prima cosa gli hanno sparato al braccio destro. Poi l'altro soldato ha detto "finiscilo", e gli hanno sparato in testa
Testimonianza di una donna ucraina

«Gli hanno sparato in testa»

Villaggio di Bohdanivka. È la sera del 9 marzo quando una donna - che viveva con il marito, la figlia di 10 anni e la suocera -  sente degli spari provenire dalle finestre del piano di sotto. A nulla servono le sue grida e quelle del marito, in cui implorano di essere civili e disarmati. I due soldati russi che hanno fatto irruzione nella loro abitazione li trovano e spingono i genitori e la figlia in un locale caldaia. «Ci hanno costretti ad entrare e hanno sbattuto la porta. Dopo appena un minuto hanno aperto la porta e hanno chiesto a mio marito se avesse delle sigarette. Lui ha risposto di no, non fumava da un paio di settimane. Come prima cosa gli hanno sparato al braccio destro. Poi l'altro soldato ha detto "finiscilo", e gli hanno sparato in testa». È solo la prima delle testimonianze, raccolte da Amnesty, di cui veniamo a conoscenza. «Non è morto subito. Dalle 21.30 alle 4.00 del mattino respirava ancora, anche se non era cosciente. L'ho implorato: "se mi senti, per favore, muovi il dito". Lui non ha mosso il dito, ma io ho messo la sua mano sul mio ginocchio e l'ho stretta. Sanguinava molto. Quando ha esalato l'ultimo respiro mi sono girata verso mia figlia e le ho detto "sembra che papà sia morto"». 

Volevo controllare se i miei genitori fossero vivi. Ho guardato oltre il recinto e ho visto mia madre sdraiata sulla schiena su un lato della strada, mentre mio padre era a faccia in giù, sull'altro lato della strada
Testimonianza di una giovane ragazza ucraina

«Volevo controllare se i miei genitori fossero ancora vivi»

Nel villaggio di Vorzel, Katerina, una ragazza appena diciottenne, ha visto entrambi i genitori morire davanti ai suoi occhi. Era il 3 marzo. La guerra era iniziata da una settimana. La giovane era a casa con i suoi genitori, quando diversi carri armati con la lettera "Z" sono passati nella via della loro abitazione. La ragazza è rimasta al sicuro, nascosta dentro la cantina, mentre i genitori sono usciti allo scoperto. Poco dopo, Katerina ha udito degli spari. Ha aspettato che i carri armati avanzassero, prima di uscire e trovarsi davanti agli occhi una tragedia. «Volevo controllare se i miei genitori fossero vivi. Ho guardato oltre il recinto e ho visto mia madre sdraiata sulla schiena su un lato della strada, mentre mio padre era a faccia in giù, sull'altro lato della strada. Ho visto dei grandi buchi nel suo cappotto. Il giorno dopo sono andata da loro. Mio padre aveva sei grandi buchi nella schiena, mia madre un foro più piccolo nel petto». Ad Amnesty International, Katerina ha inoltre raccontato che i suoi genitori portavano abiti civili ed erano disarmati. Eppure, non sono stati risparmiati. 

Dopo circa mezz'ora ho capito che il sindaco non era più in vita. C'è un genere di respiro che una persona ha solo poco prima di morire: il suo ultimo respiro
Testimonianza di un uomo ucraino

L'ultimo respiro del sindaco di Hostomel

Nello stesso giorno, Taras, un adetto alla consegna di cibo e medicine nei rifugi antiatomici, era con il sindaco della città di Hostomel, Yuryi Prylypko, e altri due uomini, quando la loro auto è finita sotto il fuoco proveniente dall'area attorno a un grande complesso residenziale, precendentemente sequestrato dalle forze russe. Gli uomini hanno immediamente cercato di saltare fuori dall'auto: uno di loro è stato ucciso all'istante, mentre il sindaco, ferito, è caduto a terra. Taras e l'altro sopravvissuto hanno passato molte ore nascosti dietro un escavatore, mentre attorno a loro la sparatoria non accennava a fermarsi. «Ci hanno notato e hanno immediatamente aperto il fuoco. Non c'è stato alcun avvertimento. Sentivo solo il sindaco. Sapevo che era ferito, ma non sapevo se le sue ferite fossero mortali o meno. Gli ho solo detto di star fermo, di non fare alcun movimento». Non molto tempo dopo, verso le 15.00, i russi hanno ricominciato a sparare. «Dopo circa mezz'ora ho capito che il sindaco non era più in vita. C'è un genere di respiro che una persona ha solo poco prima di morire: il suo ultimo respiro». 

E le violenze non finiscono qui. Una donna in un villaggio a est di Kiev ha riportato ad Amnesty International un caso agghiacciante di uccisione illegale e stupro. Era il 9 marzo quando due soldati russi sono entrati nella sua abitazione uccidendo prima il marito e poi violentandola ripetutamente, sotto la minaccia di una pistola. Il tutto, mentre il piccolo figlio della coppia si nascondeva nel vicino locale caldaia. «Le testimonianze mostrano che in Ucraina i civili disarmati vengono uccisi nelle proprie case e per strada, in atti di indicibile crudeltà e scioccante brutalità. L'uccisione intenzionale di civili è una violazione dei diritti umani e un crimine di guerra. Queste morti devono essere indagate accuratamente e i responsabili devono essere perseguiti, anche risalendo la catena di comando», ha dichiarato sempre Agnès Callamard, di Amnesty International. 

Discrepanze nei numeri

Negli scorsi giorni, i dati delle Nazioni Unite riferivano di almeno 1.563 civili uccisi e 2.200 feriti, dall'inizio dell'invasione russa dell'Ucraina. I numeri, però, potrebbero essere molto più alti. Secondo i rapporti dei funzionari locali, più di 5 mila civili - tra cui si contano anche 210 bambini - sarebbero stati uccisi solamente nella città di Mariupol. Secondo Sarah Rusconi, portavoce di Amnesty International, c'è una spiegazione per questa discrepanza. «Si tratta di informazioni delicate, che vanno raccolte con metodo. È indispendabile che siano sottoposte a molteplici verifiche prima di essere rese pubbliche, come precisano anche le stesse Nazioni Unite nelle proprie comunicazioni. A causa della situazione sul campo ci sono località per le quali tutta questa procedura richiede maggiore tempo e, di conseguenza, anche maggiore lentezza nella comunicazione. Mariupol, per esempio, fa parte di queste località per quanto riguarda la regione del Donetsk, insieme a Volnovahka». Lo stesso discorso vale anche per Izium, nella regione di Kharkiv, per Sievierodonetsk e Rubizhne nella regione di Luhansk e per Trostianets, nella regione di Sumy. «Il conflitto è in corso, per questa ragione il lavoro di raccolta delle informazioni da parte delle ONG, delle autorità locali e delle istanze internazionali è quindi particolarmente complesso. Per raccogliere questi dati è necessario essere sul posto, le informazioni vanno verificate di persona per poi essere trasmesse per ulteriori verifiche. Non è una procedura semplice nella quale si possono bypassare tappe. Prudenza e serietà sono indispensabili perché, così come accade per le immagini, anche i numeri sono manipolabili. Occorre avere dei dati che siano il più vicini possibili alla realtà anche per rispetto nei confronti delle vittime». 

«Questa guerra sta mettendo in risalto alcune debolezze dell'ONU»

Ma cosa si potrebbe fare di più, riguardo all'operato internazionale per la pace? «Non è il nostro ruolo entrare nel merito di quelli che sono i negoziati tra le parti coinvolte nel conflitto: noi ci occupiamo di documentare quanto avviene sul campo per aiutare la giustizia internazionale nell'attribuire responsabilità e, se possibile, portare a processo le persone coinvolte. Una cosa che però si può dire, pensando alle istanze internazionali, è il fatto che questa guerra sta mettendo ulteriormente in luce alcune debolezze dell'ONU. Penso per esempio al diritto di veto: un organismo incaricato di garantire la pace è autolimitato dal fatto che uno o più componenti abbiano il diritto di bloccare tutto. Questo non dovrebbe accadere quando si tratta di violazioni dei diritti umani e gravi catastrofi umanitarie. Non può succedere che lo Stato che ricorre al diritto di veto sia quello che ha commesso la violazione, come tra l'altro accadde in passato con gli USA nel conflitto israelo-palestinese. 

Una cosa che però si può dire, pensando alle istanze internazionali, è il fatto che questa guerra sta mettendo ulteriormente in luce alcune debolezze dell'ONU
Sarah Rusconi, portavoce di Amnesty International per la Svizzera italiana

In futuro verrà fatta giustizia?

«Mentre continuano ad emergere questi orrendi resoconti della vita sotto l'occupazione russa, le vittime in Ucraina devono sapere che la comunità internazionale è determinata a garantire che i responsabili della loro sofferenza siano chiamati a renderne conto», ha affermato Agnés Callamard, segretaria di Amnesty International. È quindi possibile che in futuro venga fatta giustizia per le vittime di queste violenze? A risponderci è, nuovamente, Sarah Rusconi. «Un'indagine del Tribunale penale internazionale su possibili crimini di guerra è già stata aperta. Il lavoro di raccolta degli elementi è in corso, e questo è fondamentale per permettere agli investigatori e al procuratore di avere a disposizione delle prove: significa poter lavorare da subito con l'obiettivo di ricostruire i fatti, stabilire le responsabilità e fare giustizia. Amnesty, così come altre ONG, è attiva in Ucraina e attraverso i propri rapporti contribuisce alla raccolta di prove materiali e di testimonianze che possano permettere alla giusitizia internazionale di proseguire nella sua missione e perseguire i responsabili».

Il lavoro di raccolta degli elementi è in corso, e questo è fondamentale per permettere agli investigatori e al procuratore di avere a disposizione delle prove: significa poter lavorare da subito con l'obiettivo di ricostruire i fatti, stabilire le responsabilità e fare giustizia
Sarah Rusconi, portavoce di Amnesty International per la Svizzera italiana

Inoltre, ci spiega la nostra interlocutrice, in questo lavoro è molto importante anche il sostegno degli Stati al lavoro del Tribunale e della giustizia nazionale ucraina. «Per gli Stati c'è la possibilità di ricorrere al principio della giurisdizione universale e, in questo senso, l'annuncio da parte del Ministero pubblico della Confederazione della creazione di una taskforce incaricata di perseguire criminali di guerra che dovessero transitare in Svizzera è una decisione importante». Tuttavia, non è facile fare previsioni su quello che accadrà. «Dire quello che succederà è estremamente difficile: quello che è fondamentale è che sia fatto tutto il possibile per scongiurare un dopoguerra di impunità, che spianerebbe la strada a nuovi conflitti: nel caso della Russia basti ricordare gli interventi in Cecenia, Russia e Georgia. È proprio per ribadire un messaggio chiaro contro l'impunità che i percorsi di giustizia internazionale, per quanto possano essere lenti e complessi, sono fondamentali». 

Sarebbe bello vedere questa solidarietà - popolare e anche statale, se pensiamo per esempio all'attivazione dello statuto S - anche nei confronti di persone provenienti da altri paesi da anni confrontati con conflitti, come la Siria o l'Afghanistan. Guerre lontane dagli occhi che sono altrettanto reali, e hanno le medesime tragiche conseguenze sulle vite della popolazione civile
Sarah Rusconi, portavoce di Amnesty International per la Svizzera italiana

«È importante che la solidarietà possa essere mantenuta»

Nel frattempo, la popolazione delle nazioni occidentali può, nel proprio piccolo, contribuire a sostegno dell'Ucraina. «Lo slancio di accoglienza è uno spiraglio di luce in questo tragico momento», prosegue sempre la portavoce di Amnesty International. «Dall'Europa, in particolare, è stato lanciato un messaggio importante alla popolazione dell'Ucraina, ed è fondamentale che - dopo il primo momento di grande coinvolgimento emotivo - questa ondata di solidarietà possa essere mantenuta e che le persone arrivate dall'Ucraina possano ritrovare una forma di «normalità» nei paesi che le accolgono. La volontà di aiutare da parte della popolazione e delle autorità rincuora chi, come noi di Amnesty, sostiene da anni che l'Europa abbia la possibilità di accogliere persone in fuga da guerre e persecuzioni, per offrire loro una protezione dignitosa. Sarebbe bello vedere questa solidarietà - popolare e anche statale, se pensiamo per esempio all'attivazione dello statuto S - anche nei confronti di persone provenienti da altri paesi da anni confrontati con conflitti, come la Siria o l'Afghanistan. Guerre lontane dagli occhi che sono altrettanto reali, e hanno le medesime tragiche conseguenze sulle vite della popolazione civile». I modi per aiutare, nel proprio piccolo, sono diversi. «Si può scegliere di accogliere in casa propria, di partecipare a manifestazioni per la pace, o di sostenere finanziariamente il lavoro di associazioni e ONG attive nel paese». L'unico consiglio, con cui conclude l'intervistata, è quello di verificare sempre l'affidabilità delle organizzazioni che si sceglie di sostenere. 

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