Il caso

Davvero l'Iran era vicino all'atomica? I dubbi emersi nelle indagini di CNN e NYT

L'attacco «preventivo» compiuto giorni fa contro Teheran è stato spiegato da Israele con la necessità di fermare il programma nucleare iraniano, che Tel Aviv reputa improntato (e vicino) alla creazione di armi atomiche - Secondo i media americani, tuttavia, gli USA non avevano informazioni che provassero una corsa iraniana all'arma nucleare
©Richard Drew
Red. Online
18.06.2025 09:11

«L'Iran è vicinissimo a ottenere un arsenale nucleare». L'attacco «preventivo» compiuto giorni fa contro Teheran è stato spiegato da Israele con la necessità di fermare il programma nucleare iraniano, che Tel Aviv reputa improntato (e vicino) alla creazione di armi atomiche. Nel mese di marzo, avevano già sottolineato alcuni media nelle ore immediatamente successive l'attacco, la direttrice dell'Intelligence nazionale nominata dal presidente Donald Trump, Tulsi Gabbard, aveva tuttavia testimoniato davanti al Congresso come, secondo la comunità di intelligence statunitense, l'Iran non stesse costruendo un'arma nucleare. Gabbard aveva anche sottolineato che, secondo le informazioni raccolte dagli 007 americani, «la Guida Suprema Khamenei non ha autorizzato la ripresa di un programma di armi nucleari, sospeso nel 2003». 

Pressato dai giornalisti, ore fa, sul rapporto Gabbard, Donald Trump ha affermato: «Non mi interessa quello che ha detto. Penso che [i vertici iraniani] fossero molto vicini ad avere un'arma nucleare». Da parte sua, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) ha pubblicato il 12 giugno un rapporto nel quale dichiara che l'Iran «ha violato i propri obblighi di fornire all'AIEA una cooperazione completa e tempestiva in merito al materiale nucleare non dichiarato e alle attività in più siti non dichiarati in Iran».

Pressioni

Dove sta, allora, la verità? Due articoli pubblicati ieri da CNN e New York Times sembra avvalorare l'ipotesi che l'attacco israeliano sia avvenuto indipendentemente dall'esistenza di una minaccia immediata dettata dallo stato di avanzamento del programma nucleare iraniano.

Alla fine del mese scorso, spiega il NYT, le agenzie di spionaggio statunitensi che monitorano le attività militari di Israele e le discussioni tra i vertici politici del Paese sono giunte a una conclusione: il primo ministro Benjamin Netanyahu stava pianificando un attacco imminente al programma nucleare dell'Iran, con o senza la partecipazione degli Stati Uniti. Netanyahu - queste le valutazioni dell'intelligence USA - si stava preparando non solo a un attacco limitato contro le strutture nucleari, ma a un'operazione molto più ampia, che avrebbe potuto mettere in pericolo l'intero regime iraniano, ed era disposto ad agire da solo. 

Nel mese di aprile, Trump si era impegnato ad aprire negoziati con l'Iran che avrebbero potuto portare a un accordo di pace sul nucleare e per questo, durante una telefonata a fine maggio, il tycoon aveva messo in guardia Netanyahu contro un attacco unilaterale che avrebbe mandato all'aria le trattative. Ma nelle settimane successive, per i funzionari dell'amministrazione Trump era sempre più evidente che forse stavolta non sarebbero riusciti a fermare Netanyahu, secondo le testimonianze di figure chiave coinvolte nelle deliberazioni e di altre persone a conoscenza dei fatti, citate dal NYT.

Al contempo, Trump cominciava a perdere la pazienza per la lentezza dei negoziati con Teheran e iniziava a pensare che potessero non portare a nulla. Contrariamente alle affermazioni israeliane - ed è questo l'aspetto centrale della questione - i vertici dell'amministrazione americana non erano a conoscenza di nuove informazioni che indicassero una corsa iraniana alla bomba: elemento che avrebbe potuto giustificare un attacco preventivo. Messo alle strette, Trump avrebbe tuttavia scelto di offrire a Israele un supporto (non ancora chiaro in che misura) dell'intelligence americana per condurre l'attacco, così da aumentare poi la pressione su Teheran perché concedesse subito qualcosa al tavolo dei negoziati, oppure affrontasse ulteriori offensive militari (un'ipotesi supportata dai post su Truth del presidente americano, che in questi giorni di raid ha più volte chiesto all'Iran di accettare un accordo o affrontare la distruzione totale).

Tre anni

Il fatto che i vertici americani non fossero, davvero, a conoscenza di nuove informazioni che indicassero una corsa iraniana all'arma nucleare è stato confermato anche dalla CNN. Al momento in cui è stato lanciato l'attacco di Tel Aviv, riporta l'emittente statunitense citando quattro persone che hanno familiarità con la questione, le valutazioni dell'intelligence statunitense suggerivano come - sebbene l'Iran avesse tutto il necessario per costruire l'arma di distruzione di massa - non solo l'Iran non stesse attivamente perseguendo un'arma nucleare, ma che mancavano a Teheran fino a tre anni per essere in grado di produrne e, eventualmente, lanciarne una.

Ora, dopo giorni di attacchi aerei israeliani, i funzionari dell'intelligence statunitense ritengono che finora Israele possa aver ritardato il programma nucleare iraniano solo di qualche mese, secondo quanto dichiarato da una di queste persone, un funzionario statunitense. Anche se Israele ha danneggiato in modo significativo l'impianto iraniano di Natanz, che ospita le centrifughe necessarie per arricchire l'uranio, un secondo sito di arricchimento pesantemente fortificato a Fordow è rimasto di fatto intatto.

Il problema, segnalano alcuni analisti, è che l'azione israeliana potrebbe spingere l'Iran, per davvero, a iniziare una corsa nucleare. Secondo gli esperti di difesa, Israele non ha la capacità di danneggiare Fordow senza armi specifiche e senza il supporto aereo degli Stati Uniti.

Di qui il dilemma per Trump: intervenire attivamente o no? Secondo le ultime informazioni provenienti dagli Stati Uniti, Trump starebbe seriamente considerando l'ipotesi di unirsi alla guerra di Israele e lanciare un attacco contro gli impianti nucleari dell'Iran, in particolare quello di Fordow. L'azione, tuttavia, rischierebbe di scontentare non solo i democratici, ma anche una consistente parte della base MAGA, quella che aveva votato Trump perché mettesse fine alle guerre scoppiate durante l'amministrazione Biden.