L'intervista

Doomscrolling: quando si va a caccia di notizie negative

Complici la pandemia e la guerra, la ricerca di informazioni in grado di generare sentimenti di ansia è sempre più diffusa – Per capirne di più ne abbiamo parlato con Katharina Lobinger dell'USI di Lugano
Federica Serrao
21.03.2022 17:00

Prima la pandemia da COVID-19. Ora la guerra in Ucraina. Il mondo non ci dà tregua e continua a preoccuparci, al punto tale da accendere dentro di noi sentimenti di ansia e angoscia, che a loro volta possono, in alcuni casi, portare a dei comportamenti pericolosi per il nostro benessere mentale. Come con il doomscrolling. Con questo termine, di origine molto recente, si descrive l’atto di passare molto tempo di fronte a uno schermo – che sia quello del cellulare, del computer o anche la televisione – assorbendo una grande quantità di notizie negative. Ci sono casi in cui questa pratica altro non fa che favorire o peggiorare una già preesistente ansia o preoccupazione, ma gli studi del campo mostrano anche altri risultati interessanti. Per capire di più di questo comportamento abbiamo intervistato Katharina Lobinger, docente e ricercatrice presso l’USI, Università della Svizzera italiana.

Come possiamo definire, a parole, il doomscrolling?
«Con il termine "doomscrolling" si definisce la ricerca di informazioni negative, la pratica di andare a cercare sempre più notizie su un tema che è già di per sé negativo. La pandemia è stato un esempio perfetto di "argomento da doomscrolling", e ora con la guerra in Ucraina stiamo assistendo di nuovo allo stesso fenomeno. È importante osservare però che si tratta di un comportamento che riguarda gli utenti in prima persona. Siamo spesso noi per primi, infatti, a dire "sto facendo doomscrolling" o "devo smettere di fare doomscrolling". Proprio per questo motivo ci sono delle difficoltà per i ricercatori che si occupano dell’argomento: non c’è ancora una definizione veramente precisa e accurata della pratica. Alcuni aspetti non sono ancora chiarissimi».

Leggere o vedere notizie negative può portare a uno stato d’ansia, ma non è detto che sia sempre così. Sicuramente c’è un legame tra il doomscrolling e l’ansia, ma ci sono anche casi differenti

Cosa distingue, però, una persona che si informa perché vuole essere molto aggiornata su ciò che accade nel mondo, da una che, al contrario, essendo molto preoccupato «fa doomscrolling»?
«Secondo me la differenza principale è la quantità. Il "non potersi fermare". Quando dico però che è complicato per noi ricercatori è perché ancora non sappiamo se il doomscrolling sia davvero colpevole di generare ansia negli utenti. Sono parametri difficili da valutare. Leggere o vedere notizie negative può portare a uno stato d’ansia, ma non è detto che sia sempre così. Sicuramente c’è un legame tra il doomscrolling e l’ansia, ma ci sono anche casi differenti. È infatti probabile che le persone che già hanno preoccupazioni o paure vadano a ricercare informazioni negative. Al contrario, in quei casi è l’ansia che un po’ stimola la pratica di doomscrolling. Per questo motivo non è sempre corretto dire "facciamo doomscrolling e questo ci fa venire l’ansia". Ansia e doomscrolling sono sì due concetti che vanno in coppia, ma non conosciamo ancora totalmente il loro legame. Il problema è che di solito, sui temi più gettonati per il doomscrolling, come la COVID-19 o la guerra in Ucraina, non ci sono tante informazioni positive. Quindi si rischia di andare avanti automaticamente: voglio sapere, in questo stato di ansia, che cosa sta succedendo. Ma più vado avanti, più incontro solo notizie e situazioni negative, problemi, crisi e via dicendo. Questo è un po’ il principio».

Ci sono delle persone o delle fasce d’età più vulnerabili e quindi più «a rischio» di avere comportamenti di questo tipo?

«Sì, ci sono, ma dipende sempre dal tema in questione. Spesso si tratta di persone che hanno già sofferto di alcune patologie, come di depressione, per esempio. O persone che hanno già una certa ansia, come discutevamo prima. Chiaramente, se un tema ci fa paura, siamo tutti potenzialmente vittime del doomscrolling. Esistono poi degli studi che ci forniscono altri dati interessanti. Uno di questi sostiene che siano più gli uomini ad avere comportamenti di doomscrolling. Non si può affermare nulla con certezza per ora, però, perché gli studi sull’argomento sono molti e con risultati differenti. Proprio perché non è semplicissimo fare ricerca su questo tema».

Dal momento che offrono la possibilità di informarsi molto rapidamente, i social media e internet in generale sono più responsabili di doomscrolling? 
«La parola "doomscrolling" è nuova, ma in realtà l'idea di fondo esiste già da un po'. Non importa quindi il canale con cui mi informo, è più un concetto legato ai media in generale. Già in passato si pensava che chi guardava molto i telegiornali e la televisione avesse più paura nella vita quotidiana. Ancora oggi c'è questo pensiero: dal momento che online è presente molta negatività, se sono molto informato avrò la percezione che la realtà attorno a me sia molto più pericolosa rispetto a ciò che percepisce chi si informa meno. Con il doomscrolling non siamo però solo esposti alle notizie. C'è anche una componente attiva di partecipazione, lo "scrolling" della parola stessa, cioè scorrere tra le notizie. Per esempio: posso prendere in mano il cellulare e leggere delle informazioni pubblicate sull'app della BBC. Poi passo a Facebook, dove leggo altre informazioni. Poi è il turno di un altro canale, dove scorrerò tra le altre notizie, magari in un gruppo discussione. Poi ricevo delle notifiche da una chat di gruppo su Telegram, e vado avanti ancora a scorrere tra le varie notizie. Vado avanti attraverso canali, per questo è "scrolling", è una pratica attiva in cui seguo le notizie. La critica potrebbe essere sempre quella di affermare che nei media ci sia troppa negatività, ma la realtà dei fatti è che in questi casi siamo noi per primi ad andare a ricercarla». 

Capita che gli utenti inizino un periodo di "dieta dai social media", dove evitano di consumare notizie, sia online che in televisione. Sono dei meccanismi di coping, per trovare un equilibrio, una misura

Esistono delle soluzioni per limitare questa pratica? Per smettere di essere «attirati» dalle notizie negative?
«Dal momento che sono gli utenti spesso a categorizzarsi – anche colloquialmente – come "qualcuno che fa doomscrolling", sono anche loro, in prima persona, ad accorgersi quando il comportamento non fa loro bene. E qui non importa che l'ansia venga prima o dopo: riconoscono di avere delle abitudini nocive e cominciano a mettere una barriera. Capita infatti che gli utenti inizino un periodo di "dieta dai social media", dove evitano di consumare notizie, sia online che in televisione. Sono dei meccanismi di coping, per trovare un equilibrio, una misura. Ed è sempre una questione individuale: ognuno riduce la quantità di ricerca di informazioni sulla base di quanto pensa che sia dannoso per la propria salute mentale. È soggettivo, non esiste una misura standard uguale per tutti. Uno studio norvegese spiega che questo comportamento si può classificare come "news avoiding", evitare le notizie appunto, soprattutto se negative e collegate a un certo contesto e ambito. In ogni caso, è bene ricordare che non possiamo leggere e sapere tutto. Se vediamo che informarci su un determinato tema non ci fa bene possiamo e dobbiamo interrompere l'abitudine». 

Esiste un fenomeno contrario al doomscrolling? Spiegandomi meglio: così come andiamo alla ricerca di informazioni negative, esiste un comportamento opposto, per il quale andiamo a «caccia di positività»?
«Sì, esistono delle pratiche simili. Per fare un esempio concreto, a novembre 2020 ci fu un attacco terroristico a Vienna. I media erano sommersi di informazioni, fotografie, molte di queste anche molto brutte. Potevano creare ansia, specialmente agli abitanti di Vienna, dal momento che era qualcosa di molto vicino, e in alcuni scatti e riprese si vedevano anche le vittime. Alcuni utenti online hanno deciso di "ribellarsi" al flusso di negatività dato dalla drammaticità dell'avvenimento, e hanno cominciato a postare online immagini di gatti. Hanno scelto un soggetto che potesse distrarre e divertire, durante un momento così difficile. Esiste poi anche una definizione per l'atto opposto al doomscrolling, ovvero il kindscrolling, che consiste nel cercare informazioni positive, divertenti. Ci sono ancora pochi studi in merito, ma quello che purtoppo si riesce già a ipotizzare, è che gli effetti del kindscrolling siano minimi, se non del tutto inesistenti. Sebbene si possa capire che un legame tra ansia e doomscrolling sia possibile, il legame tra kindscrolling e sentirsi meglio è meno visibile. Per dirla con parole povere e citando l'esempio precedente: non è così semplice compensare il doomscrolling e le notizie negative, con le immagini dei gatti».

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