È giusto (e legale) licenziare chi «festeggia» per la morte di Charlie Kirk?

La morte di Charlie Kirk, negli Stati Uniti, ha riacceso il dibattito. O, se preferite, ha contribuito a spaccare – ulteriormente – la società. Gli attivisti MAGA e, parallelamente, i Repubblicani in questi giorni e in queste ore stanno esercitando una forte, fortissima pressione sul mondo del lavoro. Al grido «licenziate chiunque giustifichi o minimizzi l'uccisione di Charlie Kirk» o, in seconda battuta, critichi l'attivista conservatore.
Che cosa è successo
C'è chi, come le compagnie aeree Delta e American Airlines, ha sospeso immediatamente i dipendenti «andati ben oltre un dibattito rispettoso», per dirla con l'amministratore delegato di Delta, Ed Bastian. Allargando il discorso, molto, se non tutto, ruota attorno al concetto di free speech e alla legalità, o meno, di questi licenziamenti. In mezzo, la centralità delle attività social dei dipendenti agli occhi dei datori di lavoro. I licenziamenti, scrive fra gli altri Axios, sono stati pubblicamente annunciati non solo da Delta e American Airlines ma anche da alcune testate giornalistiche e perfino da alcune agenzie federali. Nel settore pubblico, insegnanti e impiegati governativi sono stati licenziati o sospesi per via dei loro commenti su Kirk, giudicati lesivi o, peggio, carichi di incitamento all'odio.
In un video pubblicato su Truth, direttamente dalla scrivania dello Studio Ovale, il presidente statunitense Donald Trump ha definito Kirk un «patriota», un «martire della verità e della libertà», nonché una persona «che ha combattuto per la democrazia, la giustizia e il popolo americano». Il tycoon, in particolare, ha accusato la retorica della «sinistra radicale» che «per anni ha paragonato meravigliosi americani come Charlie ai nazi e ai peggiori criminali e assassini di massa del mondo». E ancora: «Questo genere di retorica è direttamente responsabile per il terrorismo che stiamo vedendo nel nostro Paese ora e deve cessare ora». Di qui la promessa: la sua amministrazione combatterà in tutti i modi la violenza politica. «Questo è un momento buio per l'America. È tempo che tutti gli americani e i media si confrontino con il fatto che violenza e omicidi sono una tragica conseguenza del demonizzare coloro con cui non si è d'accordo, giorno dopo giorno, anno dopo anno».
Che cosa si può dire (e cosa no) sui social
Da anni, e più precisamente dagli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 in territorio israeliano, i datori di lavoro negli Stati Uniti hanno stretto, e non poco, le direttive legate alle attività social dei propri dipendenti. In sostanza, a chi «veste la maglia» di un'azienda viene chiesto di attenersi ai valori veicolati dall'azienda stessa. Stop. Secondo gli esperti consultati da Axios, l'apologia o l'incitamento alla violenza, anche via social, sono motivo di licenziamento. Quanto sta accadendo in America, di per sé, non è una novità assoluta. In passato, datori di lavoro hanno operato tagli proprio a causa di post e attività sui social. Con contenuti, sia di destra sia di sinistra, ritenuti inaccettabili. «Molte persone sono state licenziate per le loro posizioni politiche e per i loro discorsi» ha spiegato al portale Ryan Hancock, avvocato del lavoro presso lo studio Willig, Williams & Davidson. Il mercato USA, in questo senso, «aiuta»: le aziende, nel settore privato, possono licenziare un dipendente per qualsiasi motivo che non sia «chiaramente» discriminatorio, come la razza, il sesso o l'età. Alcuni Stati per contro, tra cui la California e il Colorado, hanno leggi che vietano espressamente alle aziende di licenziare le persone per i loro discorsi politici.
«Le solide protezioni della libertà di parola a cui pensiamo in questo Paese sono in qualche modo minori nel contesto dei rapporti tra datore di lavoro e dipendente» ha spiegato dal canto suo G.S. Hans, professore alla Cornell Law School. Un discorso, questo, che vale altresì per il settore pubblico: i dipendenti, infatti, rinunciano ad alcuni diritti di libertà di parola per accettare un impiego pubblico, ha osservato David Super, esperto di diritto amministrativo alla Georgetown Law. Tuttavia, in genere i datori di lavoro sin qui sono stati piuttosto riluttanti in termini di azione e reazione, frenati come sono (o meglio com'erano) dalle norme sulla libertà di parola. Parallelamente, i funzionari governativi non erano soliti esercitare pressione o minacciare i lavoratori. Ed questo, sottolinea di nuovo Axios, l'aspetto più preoccupante di ciò che sta accadendo negli Stati Uniti, a detta degli avvocati costituzionalisti. «È una tendenza piuttosto in contrasto con quella che consideriamo la tradizione di libertà di parola di un Paese» ha detto Hans. «Non è una protezione assoluta, ma è certamente una protezione culturale».
Ma è legale licenziare così?
Il fatto che questi licenziamenti passino o meno il vaglio della legge dipenderà, in gran parte, da ciò che accade dopo il licenziamento: se i lavoratori dovessero impugnare queste decisioni in tribunale, ad esempio, e se nel caso specifico si applicassero le tutele statali o federali. Nel caso dei lavoratori federali, chiosa Axios, le denunce per casi di licenziamento ingiustificato passano da un'agenzia chiamata Merit Systems Protections Board. Fin qui, nulla di strano, se non fosse che al momento l'agenzia non è in grado di esaminare i casi poiché la Casa Bianca ha licenziato alcuni dei suoi membri. Così Super: «I funzionari di Trump possono licenziare i dipendenti pubblici per motivi apertamente politici, sapendo che le loro azioni non sono soggette a revisione».