Il caso

E se Vladimir Putin venisse schiacciato dalla crisi della benzina?

In Russia, Paese fra i maggiori produttori di petrolio al mondo, il carburante scarseggia e in alcune regioni sono già iniziati i razionamenti: come reagirà la popolazione?
©ANATOLY MALTSEV
Marcello Pelizzari
01.10.2025 13:59

Possibile che la Russia, uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo, debba razionare la benzina? Sì, è possibile. Dall'exclave di Kaliningrad all'Estremo Oriente, gli automobilisti sono confrontati con un problema che, ora, nemmeno Vladimir Putin può più nascondere. In alcune regioni è già scattato il limite, con un massimo di 10-20 litri per ogni sosta dal benzinaio, in altre la benzina nemmeno si trova più e in altre ancora si trova soltanto diesel.

I prezzi, al contempo, sono schizzati alle stelle. La benzina verde è salita del 50% e oltre dallo scorso gennaio, mentre il diesel è cresciuto del 10% circa in un mese. Per molti russi, semplicemente, fare il pieno è diventato impossibile. La scorsa settimana, spiega il Moscow Times, il quotidiano pro-Cremlino Izvestia ha spiegato che Lukoil, il secondo produttore petrolifero del Paese, ha vietato la vendita di benzina in taniche in alcune stazioni di Mosca e non accetta carte carburanti a Nizhny Novgorod. Un tentativo, questo, di frenare i cosiddetti «acquisti di panico».

Molto, evidentemente, ha a che fare con gli attacchi ucraini alle raffinerie della Federazione, in risposta all'invasione su larga scala dell'Ucraina da parte dell'esercito di Mosca che va avanti da oltre tre anni oramai. All'equazione, tuttavia, bisogna aggiungere altresì la fragilità dell'economia russa, oramai divenuta una vera e propria economia di guerra a sostegno dello sforzo bellico. Detto degli attacchi alle raffinerie, tramite droni, il Cremlino deve altresì far fronte a forti, fortissimi problemi alle catene di approvvigionamento. Il tutto, va da sé, fingendo che in realtà la benzina non è un tema. Ma, appunto, nemmeno Putin può più nascondere i fatti: in pochi giorni, la capacità di raffinazione del Paese è crollata di quasi un quinto, mentre le esportazioni dai porti chiave si sono ridotte. Il risultato? In Crimea, circa metà delle stazioni di servizio è a secco. Ma anche nell'Estremo Oriente russo e nel Distretto del Volga la carenza di carburante si sta facendo sentire. L'Ucraina, da agosto a oggi, ha intensificato gli attacchi mettendo fuori uso, in parte o completamente, almeno cinque impianti. Gli attacchi hanno ridotto la capacità di raffinazione della Russia del 17%, pari a circa 1,1 milioni di barili al giorno, e hanno provocato un aumento dei prezzi del carburante all'ingrosso.

Confusione e cortocircuiti economico-politici, vista la situazione, stanno dominando il discorso pubblico. Mosca, secondo alcune indiscrezioni, starebbe valutando un taglio alla produzione di petrolio, proprio a causa degli attacchi ucraini. Transneft, che detiene il monopolio degli oleodotti, ha tuttavia smentito, subito, tali voci. Sottolineando quanto il Cremlino, semmai, sia diventato sensibili a qualsiasi accenno di fragilità nel settore energetico. Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, ha dichiarato che i cittadini russi sono «completamente uniti attorno al presidente Putin» e, ancora, che sono pronti a sostenere qualsiasi onere e sacrificio. Di più, ha insistito affermando che lo Stato rimane «equilibrato, prevedibile e stabile». Il Moscow Times, non senza una vena polemica, ha fatto notare che simili uscite servono per rassicurare le persone vicine al potere. 

Dicevamo dell'economia russa. Economia che, appunto, sta andando male. Riformuliamo: Mosca sta sprofondando sempre di più nella recessione. La VEB, la banca statale di sviluppo che finanzia i principali progetti governativi, ha stimato una contrazione del PIL dello 0,6% per due trimestri consecutivi. Siamo nel campo della recessione tecnica. Persino German Gref, il potente capo della banca di riferimento del Paese, Sberbank, ha ammesso a settembre che l'economia è scivolata in una «stagnazione tecnica». Infine, il Ministero delle Finanze, intenzionato a far ricadere l'onere sui russi comuni, sempre per salvaguardare gli interessi delle élite attorno al potere, sta spingendo per aumentare l'IVA dal 20 al 22% per finanziare «la difesa e la sicurezza».

Il Moscow Times, senza usare giri di parole, ha definito la crisi della benzina un altro costo esistenziale della fedeltà a Vladimir Putin. Non sono mancate, in queste settimane, le narrazioni dei propagandisti. Le carenze? Sono semplice «manutenzione programmata delle raffinerie di petrolio». I media statali hanno parlato di «fattori oggettivi» temporanei, come le strozzature dei trasporti e il maltempo. Peccato che, nelle singole regioni, i funzionari locali abbiano apertamente parlato di razionamento. Una realtà, insomma. Con l'aggravarsi della crisi, il vice primo ministro Alexander Novaklo lo scorso 25 settembre ha annunciato che il governo estenderà il divieto di esportazione della benzina fino alla fine dell'anno e imporrà un divieto di esportazione del diesel ai non produttori. Novak, già ministro dell'Energia per otto anni, ha ammesso che alcune regioni stanno ancora affrontando carenze, ma ha insistito sul fatto che sono «coperte dalle riserve accumulate», pur avvertendo che «il bilancio complessivo sia per settembre sia per ottobre è difficile».

Difficile, se non impossibile. Gli agricoltori – a proposito di Paese reale – temono che i loro macchinari si fermino. I camionisti, dal canto loro, temono di finire in rovina. I russi comuni, già martoriati dall'inflazione e dalla coscrizione, adesso devono pure capire come affrontare i loro spostamenti quotidiani. Il rischio, che il Cremlino sta cercando di minimizzare o, meglio, soffocare, è che un problema reale, la mancanza di benzina e i prezzi schizzati alle stelle, si trasformi in una rivolta popolare. Come avvenne nel 2022 in Kazakistan, con i disordini nazionali nati dall'aumento dei prezzi del GPL. Anche la Russia, nel 2023, ha vissuto uno scenario simile, con i disordini causati dalla mancanza di carburante e servizi in Daghestan. Disordini che, nonostante la repressione, proseguono ancora oggi.

Putin, prima della guerra, sfruttava le esportazioni di fonti energetiche fossili per proiettare nel mondo, Occidente in primis, il suo potere, chiosa il Moscow Times. Ora, all'interno del Paese sempre più persone faticano a far quadrare i conti e, peggio ancora, a trovare benzina. Le pompe sono vuote e il Cremlino, banalmente, le sta riempiendo con la propaganda. Non con carburante vero. Anche perché, su Telegram, nel frattempo circolano foto e video che immortalano clienti alle prese con la scarsità di benzina. C'è una certa ironia, in fondo: Putin ha costruito il suo impero sfruttando gas e petrolio, ora non riesce a far funzionare le stazioni di servizio. E attenzione, perché il costo per riparare le raffinerie, risistemare le catene di rifornimento e ristabilire la normalità potrebbe schiacciare, ancora di più, la Russia in termini economici (e sociali).