Il caso

Festa nazionale in Argentina, ma c'è chi vuole lavorare

Diverse province si sono opposte al decreto governativo, anche se i costituzionalisti affermano in coro: non possono farlo – Quando il calcio diventa uno strumento politico
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Marcello Pelizzari
20.12.2022 09:30

Argentina campione. Tutti felici? Sì. La polemica, però, è dietro l’angolo. Soprattutto in un Paese segnato da tanti, troppi problemi. Inflazione (quasi) al 100%, disoccupazione ai massimi e crescita economica più lenta di un difensore a fine carriera, volendo rimanere nella metafora calcistica.

Oggi, martedì, è il gran giorno. L’abbraccio fra la squadra e il popolo, dopo che l'Albiceleste nella notte ha fatto rientro a casa. La Coppa, finalmente, a Buenos Aires. Per un bagno di folla senza precedenti, con tutto il rispetto per il 1978 e il 1986. E l’Argentina, nella figura del suo presidente, Alberto Fernandez, ha fatto le cose in grande per l’occasione. Decretando una giornata di festa nazionale. Il Mondiale è il Mondiale, insomma.

La mossa, nonostante un sentimento – estremo – di felicità, è stata criticata da più parti. Non solo, i governi delle province di Chaco, Corrientes, Catamarca, La Rioja, Santiago del Estero, Tucumán, Santa Fe e San Juan hanno subito fatto sapere che no, loro non aderiranno alla festa nazionale. Anche Mendoza ha espresso il suo rifiuto, affermando tuttavia, sulla falsariga di quanto vanno dicendo, da ore, costituzionalisti vari, che trattandosi di un decreto governativo sarà tenuta a rispettarlo. Olé.

Quei peronisti di traverso

A bocciare la festa sono state, nella maggior parte dei casi, le amministrazioni peroniste. Buenos Aires, di suo, si atterrà al decreto del governo nazionale. Specificando però che vi saranno delle deroghe. I servizi pubblici, ad esempio, avranno un orario ridotto. Ma saranno garantiti. In generale, diverse figure politiche non hanno gradito l’esaltazione del Mondiale o, meglio, il fatto di sfruttare una vittoria come quella ottenuta da Messi e compagni per fini elettorali. Il 2023, infatti, sarà anno di presidenziali.

Il radicale Rodolfo Suarez, alla guida del governo di Mendoza, come riporta La Nacion l’ha toccata piano, anzi pianissimo: «La demagogia trasforma la virtù in decadenza. E distorce la buona fede e la gioia delle persone che cercano di manipolare i valori essenziali. La Nazionale ci ha riempito di gioia perché ha lavorato con determinazione per raggiungere i suoi obiettivi. Questo è il vero apprendimento collettivo. Quindi non è ragionevole che il Paese debba smettere di produrre solo perché la squadra argentina arrivi all’Ezeiza». Una decisione, quella di Fernandez, da «irresponsabili che continuano a danneggiare il tessuto sociale». Ahia.

Anche province filogovernative come Chaco, ad ogni modo, dove al timone c’è il kirchnerista Jorge Capitanich, hanno avuto da ridire e, soprattutto, hanno manifestato il proprio rifiuto: «La provincia non aderisce alla festività decretata dal Governo nazionale per questo martedì 20 dicembre» ha detto proprio Capitanich.

Macri lo iettatore

Politica e calcio, o calcio e politica, in Argentina sono da sempre interconnessi. Senza scomodare l’ex presidente Juan Domingo Peron, acceso sostenitore del Racing di Avellaneda tant’è che lo stadio, oggi, è intitolato a lui, in tempi più recenti a balzare agli onori della cronaca era stato Mauricio Marci. Divenuto prima sindaco di Buenos Aires, la capitale, e poi presidente del Paese dal 2015 al 2019. La curiosità, se così vogliamo definirla? Macri scese in politica presentandosi non come imprenditore, ma come presidente del Boca Juniors, fra le squadre più titolate di Argentina e del mondo.

E in tanti, come Macri, hanno sfruttato il calcio quale trampolino per lanciarsi nel marasma e nel tritacarne della politica argentina. Sergio Massa, attuale ministro dell’Economia, è stato uno degli uomini forti del Tigre. A lui, in particolare, si deve la promozione nella massima serie.

Da un punto di vista prettamente sociologico, il calcio offre una vetrina importante ai politici. Banalmente, una vittoria sul campo è facilmente traslabile in politica. Allo stesso modo, però, il rischio dell’effetto boomerang è altissimo. Il citato Macri, settimane fa, era a Doha per assistere all’esordio dell’Albiceleste contro l’Arabia Saudita. Sappiamo tutti com’è andata a finire, tant’è che l’ex presidente del Boca, in patria, è stato visto come uno iettatore. Non a caso, Fernandez domenica ha guardato la partita dall’Argentina. Se fosse andato a Doha e Messi avesse perso, avrebbe rischiato (non scherziamo) la sua presidenza.

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