Aviazione

Fra scioperi e bancarotta, la lunga strada di SAS per tornare a volare

La compagnia scandinava ha fatto ricorso al capitolo 11 della legge fallimentare statunitense: servono nuovi investitori, ma le prospettive non sembrano buone
Marcello Pelizzari
06.07.2022 11:02

SAS, che succede? Ma forse sarebbe meglio scrivere SOS, ovvero richiesta di soccorso. Scandinavian Airlines, compagnia aerea di bandiera di Danimarca, Norvegia e Svezia, naviga in cattive acque. In perdita da anni, complice la concorrenza agguerrita delle low cost, colpita e quasi affondata dalla pandemia e, in seconda battuta, dalla chiusura dello spazio aereo russo, ora è confrontata a uno sciopero del suo principale sindacato piloti. Di più, il vettore si è piazzato sotto la protezione del celeberrimo capitolo 11 della legge fallimentare statunitense. Tradotto: dichiarato il fallimento, c’è necessità di denaro fresco e investitori. Per rimanere in piedi, o meglio in aria, e per avviare una ristrutturazione che si preannuncia complicata.

Le cifre

Non tutto è da buttare, intendiamoci. Nel secondo trimestre del 2022, infatti, la compagnia ha sfiorato i 4 milioni di passeggeri con buone, buonissime prospettive per l’estate. Pure i ricavi sono saliti, superando i 650 milioni di euro. Nonostante ciò, i vari indicatori sono lontani dai livelli pre-pandemia. Basti pensare al margine operativo (-11%) e al disavanzo netto, di circa 140 milioni di euro.

Il ricorso alla legge fallimentare statunitense, agli occhi dell’azienda, servirà ad accelerare il piano di ristrutturazione. Soprattutto, dovrebbe consentire al vettore di risparmiare quasi 700 milioni di euro all’anno. Nel bailamme attuale, va da sé, si parla anche di licenziamenti e di riduzione della massa salariale. La goccia che ha fatto traboccare il vaso sul fronte piloti e personale, visto che il sindacato lunedì ha invocato uno sciopero i cui costi, stimati da SAS, si aggirano sui 10 milioni di euro al giorno.

SAS, parallelamente, sotto la protezione del capitolo 11 potrà rinegoziare i suoi contratti di acquisto e noleggio di aeroplani. Potrà, inoltre, ristrutturare il proprio debito (2,7 miliardi di euro a fine aprile) e sperare di ridurlo (1,9 miliardi). Quanto agli investitori, il governo svedese (già azionista) potrebbe dare una mano e lo stesso potrebbe fare la Norvegia che, però, sembra restia a iniettare denaro fresco.

Chi subentra?

Tutto ciò sarà sufficiente? Sì, no, forse. L’obiettivo, entro dodici mesi, è uscire dalla crisi con una compagnia più snella e decisamente più performante. Più forte, anche, proprio come i vettori americani che, a suo tempo, hanno fatto ricorso al capitolo 11. La compagnia scandinava, tuttavia, nell’ambito del suo piano, definito Forward, avrà bisogno di almeno 880 milioni di euro di nuovo capitale. Una somma, a detta degli esperti, difficile da mettere assieme. Proprio in virtù delle reticenze dimostrate dagli investitori istituzionali.

SAS, giocoforza, cercherà nuova linfa anche all’interno dell’aviazione. Il partner ideale, in questo senso, sarebbe Lufthansa considerando la stessa appartenenza commerciale (Star Alliance). Il colosso tedesco, in passato, più volte ha manifestato il proprio interesse ma, al momento, non avrebbe gamba per affondare il colpo. Meglio, piuttosto, affidarsi a una partnership che gestire l’azienda tout court.

Va anche detto che, ora come ora, SAS non sembra suscitare grande interesse: è minacciata dalle low cost, ha una flotta relativamente piccola per il lungo raggio e, come detto, sta pagando a caro prezzo la chiusura dello spazio aereo russo.

L’opzione più probabile, allora, sarebbe quella di un partner finanziario. Come un fondo, ad esempio. Ma anche qui, la strada è lunga e non priva di difficoltà.

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