L'analisi

Hamas, il terrorismo e quel paragone con l'ISIS

Alle Nazioni Unite l'opposizione al cessate fuoco è basata anche sul paragone fatto da Israele fra l'organizzazione palestinese e lo Stato islamico – L'Europa, da inizio conflitto, ha innalzato l'allerta terrorismo, ma che ruolo ha Hamas in tutto ciò? Ne parliamo con due esperti
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Giacomo Butti
07.11.2023 12:30

«Hamas è come l'ISIS». Con veemenza, la scorsa settimana, il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen si è opposto agli appelli, all'ONU, per un cessate il fuoco in Medio Oriente. L'organizzazione va combattuta, ha sottolineato Cohen. Altrimenti, «l'Europa sarà la prossima ad essere colpita da Hamas. Avrà i terroristi alle porte di casa». La guerra aperta ha indubbiamente alimentato sentimenti di odio non solo nella regione, ma nel mondo intero, con un conseguente aumento della minaccia terroristica. L'Europa sta già pagando lo scotto. Prima un attentato in Francia, poi a Bruxelles. Gli arresti, in Italia, di persone legate a ISIS e al-Qaeda.

Che ruolo ha Hamas in tutto questo? L'organizzazione palestinese minaccia davvero l'Europa? Quali sono gli obiettivi di Hamas? Ne parliamo con due esperti.

Minaccia alla sicurezza?

Con Marco Lombardi, professore di Sociologia all'Università Cattolica del Sacro Cuore – dove insegna sicurezza e contrasto al terrorismo – e direttore del centro di ricerca ITSTIME (Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies), siamo partiti dalla definizione di terrorismo. «Non esiste una definizione di “terrorismo” accettata da tutti i Paesi del mondo. Questo perché la designazione ha spesso a che fare con la politica interna dei singoli Stati. Nell'ottica di alcuni, allora, un gruppo sarà composto da freedom fighters. Per altri, da terroristi».

Questo, spiega Lombardi, «vale, o valeva, anche per Hamas». Quanto successo il 7 ottobre, il sanguinoso attacco in Israele, «rispecchia una modalità operativa tipica del terrorismo. Hamas è entrato nei territori pur sapendo di non poterli occupare. L’obiettivo non era metterli in sicurezza e riappropriarsene. Hamas sapeva di dover fare un'incursione rapida in cui l'obiettivo era distruggere, terrorizzare e portarsi via degli ostaggi. Ore dopo, ha minacciato di uccidere le persone rapite per ogni attacco subito da Gaza». Lombardi continua: «Molti hanno definito il 7 ottobre come “l’11 settembre di Israele”. Ma è anche l’11 settembre di Hamas. Se prima qualcuno poteva sostenere che la definizione di Hamas come gruppo terrorista fosse questione di punti di vista politici, oggi non è più così». L'esperto di sicurezza e terrorismo specifica: «Con il suo agire sul campo, Hamas si è certificato per quello che è. Un atto di terrorismo è tale per gli effetti che genera. Non per le motivazioni che ci stanno dietro. E nel momento in cui un gruppo è terrorista, non si potrà mai giustificare. Si potrà storicamente comprendere, ma non giustificare. Nei confronti del terrorismo si può agire solo con l’eradicazione, mai con la discussione o la negoziazione».

Ma, allora, Hamas rappresenta un pericolo diretto per l'Europa? «No», risponde Lombardi: «Ma Hamas ha un importante richiamo politico in questo momento. La radicalizzazione progressiva del conflitto potrebbe portare a una forma diffusa di terrorismo, come quella sperimentata anni fa in Europa. Rimarrà da capire in che misura quanto sta avvenendo in Medio Oriente possa innescare la cosiddetta “Global Jihad”». Quanto, insomma, le organizzazioni terroristiche quali al-Qaeda e ISIS siano interessate a fare propria la causa di Hamas, utilizzare i forti sentimenti scatenati dalla guerra per creare nuovi terroristi che agiscano in nome della Palestina. La realtà? Al momento le due organizzazioni terroristiche, seppur di recente più attive in Europa, hanno preferito evitare di schierarsi apertamente. «In Francia e Belgio, gli attentatori hanno rivendicato i propri attacchi in nome dello Stato Islamico. Per l’attentato di Bruxelles, Amaq - l'agenzia di comunicazione dello Stato islamico – ha pubblicato un comunicato ufficiale. Ed è qui che notiamo qualcosa di particolare: l’ISIS non ha collegato l’attentato alla situazione in Medio Oriente. Avrebbe potuto. Ma ha preferito affermare di aver colpito i cittadini svedesi per il sostegno di Stoccolma alla coalizione anti-ISIS e per i recenti roghi del Corano in Svezia. Lo Stato islamico, insomma, sembra quasi aver preso le distanze».

Ma il problema rimane. «Si rischia che persone ormai radicalizzate si attivino in nome di un’ipotetica vicinanza del terrorismo globale jihadista alle vicende di Hamas, una partecipazione che, il caso di Bruxelles lo dimostra, è in realtà tutt’altro che scontata».

Con il suo agire sul campo, Hamas si è certificato per quello che è. Un atto di terrorismo è tale per gli effetti che genera. Non per le motivazioni che ci stanno dietro
Marco Lombardi, professore di Sociologia all'Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore del centro di ricerca ITSTIME

Azione, reazione, escalation

In fondo, dunque, Hamas e ISIS sono la stessa cosa? Ne parliamo con Benoît Challand, professore alla New School di New York (già titolare della cattedra di Storia contemporanea all'Università di Friburgo e docente all'Università di Betlemme), esperto di Medio Oriente. Con lui, partiamo proprio da qui: Hamas è come l'ISIS? «Nel contesto di questi giorni, dopo le stragi di civili e la presa di ostaggi da parte di Hamas, ovviamente si può essere tentati di creare blocchi culturali, di civilizzazione, e fare discorsi emotivi. Ma no, dire che Hamas è come l'ISIS è sbagliato per due motivi. Innanzitutto perché, dopo aver giocato un ruolo indiretto nella sua creazione, Israele ha discusso per anni e anni con Hamas, intrattenendo rapporti con l'organizzazione palestinese come i cessate il fuoco stabiliti nel 2009 e nel 2014 o la coordinazione per scambi economici e umanitari. Una cosa inimmaginabile se Hamas fosse paragonabile allo Stato islamico».

«In secondo luogo, il parallelo è errato perché ISIS e al-Qaeda sono organizzazioni che non hanno come obiettivo la creazione di un movimento di liberazione nazionale, mentre Hamas – così come i Fratelli Musulmani in Egitto, Giordania, e così via – partono proprio da questo, tramite un partito nazionalista». Ma il gran numero di correnti che, insieme, compongono Hamas rende difficile dare una visione d'insieme, ci spiega Challand. A partire dalla Carta del Movimento di Resistenza islamico, una sorta di Statuto di Hamas stilato pochi mesi dopo la fondazione (1988). «Il documento ha fatto del non riconoscimento dello Stato di Israele una posizione importantissima. Ma in realtà dentro Hamas alcune correnti, così come altre fazioni palestinesi esterne ad Hamas, hanno riconosciuto la necessità di una coesistenza con Israele. Per questo i cambiamenti apportati alla Carta nel 2017 prevedono il supporto alla creazione di uno Stato palestinese entro i confini del 1967». Nell'organizzazione, oggi, «coesistono posizioni pragmatiche e dure, ala politica e ala militare. Hamas, insomma, non è un movimento omogeneo».

Dire che Hamas è come l'ISIS è sbagliato. Innanzitutto perché, dopo aver giocato un ruolo indiretto nella sua creazione, Israele ha discusso per anni e anni con Hamas, intrattenendo rapporti con l'organizzazione palestinese come i cessate il fuoco stabiliti nel 2009 e nel 2014 o la coordinazione per scambi economici e umanitari
Benoît Challand, professore alla New School di New York

Come leggere, allora, i fatti del 7 ottobre? «Hamas afferma di mettere in pratica una forma di resistenza. Dice di rispondere al "terrorismo di Stato di Israele". L'organizzazione, insomma, si appella a una dimensione relazionale della violenza. Come nel 1995, quando Hamas ha lanciato attacchi suicidi contro autobus israeliani, in risposta all'uccisione, da parte di Baruch Goldstein, di 29 palestinesi che stavano pregando nella moschea di Hebron. Esiste un processo di azione-reazione».

Già, Hebron. Che si trova in Cisgiordania. Il conflitto, del resto, non ha mai riguardato solamente la Striscia di Gaza. «Scontri si registrano in Cisgiordania da sempre. E prima del 7 ottobre si era assistito a un peggioramento, sebbene queste forme di violenza non arrivino mai sui media occidentali. Si tratta di un conflitto a bassa intensità, low intensity warfare, che si svolge nell'ombra. Nei mesi precedenti l'esplodere della guerra, nella zona di Nablus c'erano stati gravi atti di violenza contro i palestinesi, tanto che anche un ufficiale delle Forze di difesa israeliane (IDF) aveva descritto con la parola "pogrom" l'operare dei coloni israeliani nei confronti dei palestinesi (testimonianza raccolta dalla CNN e consultabile a questo link)». Ma, evidenzia Challand, «quanto avvenuto il 7 ottobre rappresenta un'escalation. La strage di civili da parte di Hamas, la presa di ostaggi, non possono rappresentare una forma di resistenza, sono gravissimi crimini di guerra e violazioni del diritto internazionale».

Le conseguenze, al di là della guerra, si estenderanno sul lungo termine. «Nel 2019 Netanyahu si era detto ben contento di avere Hamas al potere a Gaza perché ciò gli permetteva di non portare avanti il processo di pace. Hamas e l'altro principale attore palestinese, Fatah, si sono effettivamente accontentati dello statu quo e questa incapacità di unificare il movimento nazionale rappresenta una sconfitta per i palestinesi tutti. Oggi i due gruppi sono separati come mai prima, e stiamo assistendo a un aggravarsi delle divisioni palestinesi». Una situazione, conclude Challand, per la quale va criticata anche la comunità internazionale: «È mancato un senso di responsabilità che spingesse a fare di più per far avanzare il processo di pace».