Il punto

I russi, per la prima volta dal 2016, bombardano Aleppo: che cosa succede in Siria?

Dopo anni, le forze ribelli opposte al regime di Bashar al-Assad sono tornate a farsi sentire nell'antica città nordoccidentale – La situazione nella regione è profondamente instabile e potrebbe vedere un'ulteriore escalation di violenze
©Ghaith Alsayed
Red. Online
30.11.2024 13:30

La guerra civile in Siria, le cui braci mai si erano davvero sopite, è tornata a riaccendersi – e con forza – negli ultimi giorni. Ieri, in particolare, un'offensiva dei ribelli siriani su Aleppo ha portato le forze opposte al regime di Bashar al-Assad a prendere il controllo della «maggior parte» dell'importante e antica città, secondo quanto riportato dalla ong Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR).

L'operazione rappresenta la prima offensiva ad Aleppo in otto anni da parte del gruppo Hayat Tahrir al-Sham (conosciuto con le sue iniziali HTS), la principale forza siriana di opposizione. Nel 2016, infatti, una devastante serie di attacchi aerei condotti dalla Russia aveva aiutato il presidente siriano Assad – sostenuto anche dall'Iran e Hezbollah – a riprendere la città nord-occidentale. Una situazione che, oggi, si ripete: «Il gruppo HTS e le fazioni alleate – ha spiegato SOHR, citato dai media internazionali – hanno preso il controllo della maggior parte della città, dei centri governativi e delle prigioni» di Aleppo, una conquista alla quale l'aeronautica militare russa ha risposto esattamente come fatto nel 2016, bombardando la città siriana.

Ma chi sono i ribelli? Quali sono le forze impegnate in Siria? Cerchiamo di fare chiarezza.

Chi sono i ribelli impegnati ad Aleppo

Da anni, ormai, Stati Uniti, Unione Europea, Russia e altri Paesi hanno designato la principale forza di opposizione che oggi guida l'attacco ad Aleppo, HTS, come organizzazione terroristica. È per questa ragione che agenzie e media internazionali, negli ultimi giorni, hanno spesso fatto riferimento al gruppo impegnato nell'offensiva con il termine di «jihadisti». Il leader di Hayat Tahrir al-Sham, Abu Mohammed al-Golani, del resto, è stato leader del ramo siriano di al-Qaeda. Considerato responsabile di una serie di attentati mortali, e a lungo impegnato ad attaccare le forze occidentali impegnate nella regione, al-Golani si è distanziato nel 2016 da al-Qaeda, promuovendo un «rebranding» del gruppo islamista verso posizioni più moderate, puntando (almeno ufficialmente) all'instaurazione di un governo civile in Siria: un cambio di rotta che ha portato a profonde spaccature all'interno dello stesso gruppo. Negli anni seguenti l'HTS si è impegnata nella repressione dei lealisti di al-Qaeda attivi nella regione di influenza, tanto che l'amministrazione Trump, nel 2018, ha riconosciuto di non aver più direttamente nel mirino le forze di al-Golani. Ciononostante HTS ha permesso ad alcuni gruppi armati osteggiati dall'Occidente di continuare a operare sul suo territorio e fino al 2022, almeno, ha sparato contro le forze speciali USA.

Al momento, secondo i media internazionali, HTS rappresenta il gruppo ribelle più potente nel nordovest della Siria. Ma le forze opposte al regime di Bashar al-Assad sono estremamente numerose e non tutte condividono gli stessi obiettivi, con grosse differenze dettate dalla presenza o meno di correnti islamiste. Differenze che, a loro volta, dettano il sostegno o l'opposizione di forze internazionali. La Turchia, dal 2011 schierata – prima diplomaticamente, poi militarmente – contro Assad, ha sostenuto gli sforzi di un gran numero di queste forze, da quelle laiche ad alcune islamiste, nel tentativo di rovesciare il regime. Stati Uniti, Francia, Regno Unito hanno tradizionalmente sostenuto gruppi militari dissidenti, come la Free Syrian Army, che – guidata dal colonnello Riad al-Asaad e da altri ufficiali disertori delle Forze armate siriane – fino al 2016 ha maggiormente rappresentato gli sforzi siriani per una rivoluzione, prima di dissolversi e venire riassorbita in diverse fazioni.

Terreno di scontri

Oggi, una percentuale della Siria fra il 30 e il 40% si trova nelle mani delle forze di opposizione e truppe straniere. Secondo l'AP, circa 900 truppe statunitensi si trovano attualmente nel nord-est del Paese, lontano da Aleppo, per proteggere la Siria da un ritorno dello Stato Islamico. Queste grandi aree sono divenute posizione perfette per la pratica della cosiddetta proxy war, guerra per procura, che vede numerosi schieramenti combattersi tra loro. Sia gli Stati Uniti che Israele, ad esempio, conducono attacchi occasionali non solo contro le forze governative, ma anche contro milizie minori armate dall'Iran o truppe iraniane presenti in territorio siriano. Un esempio? In aprile, Israele ha ucciso Mohammad Reza Zahedi, leader delle Guardie rivoluzionarie iraniane, a Damasco in un'operazione che aveva scatenato l'ira di Teheran e portato alla prima rappresaglia missilistica dell'Iran contro Tel Aviv.

Il timore, come espresso recentemente da Robert Ford, già ambasciatore americano in Siria, ai microfoni di AP, è che i combattimenti ad Aleppo che vedono le forze ribelli – sostenute dalla Turchia – e le forze governative – sostenute dalla Russia – degenerino in uno scontro diretto fra le due potenze, Ankara e Mosca, impegnate a difendere i propri interessi in Siria.

Nel 2016, del resto, era stata la decisione di Mosca di alzare la posta in gioco, mettendo sotto assedio Aleppo – che prima della guerra ospitava oltre 2 milioni di persone – con pesanti raid, e dettando la resa dei ribelli.

L'impatto israeliano

In 13 anni, circa 6,8 milioni di siriani sono fuggiti dal Paese, creando un enorme flusso di rifugiati che ha raggiunto l'Europa. Nei mesi recenti, tuttavia, i bombardamenti israeliani del vicino Libano hanno spinto centinaia di migliaia di persone (libanesi, ma anche siriani che si erano precedentemente rifugiati in Libano) a fuggire in Siria. Persone che difficilmente troveranno pace, specialmente se gli scontri in corso nel Paese dovessero intensificarsi. 

Intensificazione direttamente legata alle operazioni condotte da Israele nella regione, come affermato recentemente dall'ONU, il cui Consiglio di Sicurezza ha sottolineato nel mese di ottobre gli effetti «allarmanti» delle incursioni regionali di Tel Aviv in in Siria. «Voglio lanciare un chiaro avvertimento: le ricadute regionali in Siria sono allarmanti e potrebbero peggiorare notevolmente, con gravi implicazioni per la Siria e per la pace e la sicurezza internazionali», dichiarava un mese fa Geir O. Pedersen, inviato speciale del Segretario Generale per la Siria, all'organo dei 15 membri durante un aggiornamento mensile sull'attuazione del suo mandato.

«L'ultimo mese (fra settembre e ottobre, ndr) ha visto la più rapida e ampia campagna di attacchi aerei israeliani degli ultimi tredici anni», ha dichiarato il diplomatico, aggiungendo che centinaia di migliaia di siriani e libanesi sono fuggiti dal Libano verso la Siria, nonostante quest'ultima stia vivendo un'escalation del conflitto. Nel rapporto ONU, si evidenzia come, secondo il governo siriano, Israele abbia condotto sul territorio di Damasco oltre 116 raid dal 7 ottobre 2023, causando la morte di più di cento persone. «La recrudescenza della violenza ha pericolosamente catalizzato il conflitto nel nord-ovest e nel nord-est della Siria», ha dichiarato Pedersen, mettendo in guardia da «una tempesta militare, umanitaria ed economica che si abbatte su una Siria già devastata, con conseguenze pericolose e imprevedibili». Per questo, l'inviato speciale ONU ha lanciato l'appello: «Tutti gli attori, compreso Israele, devono rispettare il diritto umanitario internazionale».

Un incremento dell'instabilità siriana, del resto, non conviene nemmeno a Israele. Lo dimostra la riunione urgentemente convocata dal governo Netanyahu. Questa sera, riportano i media israeliani, i funzionari dell'intelligence di Tel Aviv informeranno il primo ministro sugli sviluppi in Siria, concentrandosi sugli sforzi dei ribelli per catturare Aleppo, sulle ramificazioni regionali e sul potenziale effetto domino che questi eventi potrebbero innescare in tutto il Medio Oriente. Fra le preoccupazioni per Israele, lo spostamento di forze e armamenti da parte di Hezbollah – già sostenitore di Assad – dal Libano alla Siria e la possibilità che Iran e Russia, già impegnati a sostegno del regime, intensifichino la propria presenza nella regione, con l'arrivo di nuove armi che potrebbero finire proprio nelle mani di Hezbollah.