I vertici cinesi tornano a viaggiare: destinazione Russia
È «solo» il numero 3, tenendo a mente la piramide gerarchica cinese. Eppure, il fatto che Li Zhansu lascerà fisicamente il Paese è una notizia. Soprattutto considerando la politica zero-COVID applicata, sin dal principio e con pochissimi sconti, da Pechino. Nessuno, fra gli esponenti più esperti del Partito, aveva finora lasciato la Cina per viaggiare all’estero durante la pandemia. Non solo, il presidente del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, nel suo tour, toccherà anche la Russia. Riaffermando, così, l’amicizia eterna con Mosca. Un’amicizia che la guerra in Ucraina, è vero, ha messo a dura prova. Senza, tuttavia, arrivare a ridefinirla.
Il viaggio
Li si recherà in Cina mercoledì, leggiamo. In agenda, la partecipazione al settimo Forum economico orientale. Ne ha dato notizia l’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, mentre i vertici di Pechino e in particolare il presidente Xi Jinping si stanno preparando per partecipare di persona ai prossimi, importanti appuntamenti mondiali. Li, detto in soldoni, sarà il più alto funzionario cinese a visitare la Federazione Russa da quando Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina. In questi mesi, il sostegno diplomatico di Pechino non è mai mancato. E questo nonostante le minacce e le pressioni degli Stati Uniti, con il presidente Joe Biden a chiedere da un lato la condanna della guerra e, dall’altro, l’adesione della Cina alle sanzioni occidentali. Nel bailamme generale, è entrato di prepotenza anche il discorso Taiwan.
Li, appunto, non è un politico qualunque. È l’ufficiale che presiede il Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo (NPCSC), ovvero il più alto organo del potere statale e il massimo organo legislativo della Repubblica popolare cinese. Nel suo viaggio visiterà altresì al Mongolia, il Nepal e la Corea del Sud. Rimarrà lontano dalla Cina fino al 17 settembre, secondo i rapporti, sebbene l’itinerario esatto non sia chiarissimo. È stato confermato, ad ogni modo, che Li sarà a Seoul dal 15 al 17.
Il congresso del Partito
Il momento, sul fronte interno ed esterno, è particolarmente delicato. La Cina, dicevamo, mantiene alta la guardia in termini di lotta al coronavirus. Con lockdown improvvisi e mirati, che toccano milioni e milioni di persone e paralizzano l’economia. Fra poche settimane, poi, si terrà l’atteso congresso della leadership del Partito comunista. La data da segnare in rosso sul calendario è quella del 16 ottobre: Xi Jinping dovrebbe ottenere un terzo mandato, sfidando tutti i precedenti.
Il petrolio e le esercitazioni
Lo stesso Xi non lascia la Cina da gennaio 2020, complici i limiti rigidissimi imposti dal Paese alle frontiere per contrastare il propagarsi del coronavirus. Dovrebbe, finalmente, varcare la frontiera il prossimo novembre: è atteso al vertice del G20 a Bali, in Indonesia. Il mantenimento dei contatti, a livello globale, in questi anni tormentati è stato affidato al ministro degli Esteri Wang Yi. Una figura di peso, indubbiamente, ma non abbastanza influente a detta di alcuni analisti.
Oltre alla pandemia, a pesare sulle relazioni e sullo status della Cina è stata la guerra in Ucraina. La quale, manco a dirlo, ha messo a durissima prova i rapporti, peraltro già ai minimi, con Washington. Xi e Putin, a tal proposito, alla vigilia dell’invasione e sfruttando l’onda lunga delle Olimpiadi invernali avevano annunciato una partnership senza limiti. Da quel momento, il Dragone si è guardato bene dal muovere critiche aperte e dirette a Mosca ma, allo stesso tempo, ha evitato di oltrepassare la cosiddetta linea rossa con l’America. Ad oggi, non a caso, nessuna assistenza militare e nessun aiuto per sgravare le sanzioni sono stati forniti al Cremlino.
Detto questo, la Cina e, in seconda battuta, l’India hanno aumentato le importazioni di petrolio russo e, attualmente, si sono unite alla Russia per una settimana di esercitazioni militari nell’estremo oriente russo. Un chiaro messaggio, da parte di Putin, all’Occidente che sta tentando in tutti i modi di isolarlo in seguito all’invasione dell’Ucraina.