Il Brasile sceglie il presidente, Lula è il favorito nei sondaggi

È la più grande scommessa di queste elezioni presidenziali che stanno polarizzando il Brasile: i due maggiori sfidanti – il presidente Jair Messias Bolsonaro e il suo ex collega Lula Inácio da Silvia – riusciranno a chiudere la partita elettorale al primo turno, domani notte, o dovranno aspettare ben 28 giorni il verdetto della seconda votazione?
I primi a porsi il quesito sono i diretti interessati. Per entrambi, chiudere al primo turno sarebbe la soluzione migliore, anche se per ragioni opposte. Per Bolsonaro, diradare il risultato significherebbe infatti, in caso di sconfitta, avere meno chances di poter denunciare una frode elettorale. Lula, invece, nonostante gli ultimi sondaggi lo diano in testa con un netto scarto che oscilla tra i 10 e i 17 punti percentuali, teme - in caso di secondo turno - l’astensionismo delle periferie, la violenza dei bolsonaristi e le eventuali alleanze politiche dei candidati sconfitti con Bolsonaro.
Il leader del Partito dei Lavoratori (PT) ha persino inviato una lettera a Papa Francesco nella quale scrive che il secondo turno «è un rischio» e che ci sarà la «necessità, in caso di vittoria, di garantire il nostro insediamento».
È tornato il dramma della fame
Per vincere subito, Lula sta cercando anche il voto cosiddetto utile, prova cioè ad attrarre a sé consensi che altrimenti andrebbero ad altri candidati quali Ciro Gomes, del Partito Democratico Laburista, il quale rappresenta sulla carta l’8% delle intenzioni di voto e che, però, non ha gradito la mossa.
«Che sta facendo il fascismo di destra e quello di sinistra in Brasile? - ha dichiarato di recente in un’intervista al quotidiano Estadão - perchè sì, c’è un fascismo di sinistra in Brasile guidato dal PT. Che vuole semplificare, in una forma assolutamente drammatica, il dibattito, e annichilire qualsiasi alternativa. Questa è una tragedia per il Brasile».
Al di là delle tensioni e dei timori, chi vincerà - al primo turno o al secondo - si ritroverà in mano un Brasile che versa in una situazione complicata. Anche se l’economia, negli ultimi mesi, è in deflazione e in netta ripresa, con previsioni di crescita del prodotto interno lordo (PIL) superiori a quelle della Cina, tra il 2,1% e il 2,8% secondo i dati Goldman Sachs e Bank of America, bisognerà comunque fare i conti con lo spettro dell’insicurezza alimentare, diventata uno dei cavalli della campagna elettorale di Lula.
«Le persone debbono tornare a poter mangiare il churrasco (grigliata di carne mista, ndr), a mangiare una picanha (codone di manzo, ndr) e a bere una birra», ha ripetuto più volte nei suoi comizi. L’ex «presidente dei poveri», nel suo primo mandato, creò nel 2003 il programma Fome Zero che in appena 10 anni fece uscire il Brasile dalla cosiddetta «Mappa della Fame».
Oggi, circa 33 milioni di brasiliani sono di nuovo in condizione di grave insicurezza alimentare, stando almeno agli ultimi dati della Rete Brasiliana di Ricerca in sovranità e Sicurezza Alimentare (PENSSAN). Un problema che Bolsonaro, invece, ha preferito minimizzare nella sua campagna elettorale. Intervistato alla radio è arrivato a dire che «sì, le persone stanno male in Brasile, ma qualcuno ha visto la gente chiedere il pane alla cassa delle panetteria?».
L’attuale presidente, preferisce nei suoi discorsi sottolineare piuttosto come un mantra l’impatto sociale del sussidio “Auxilio Brasil”, aumentato ad agosto a 600 reais, poco più di 100 franchi. Ma, di fatto, il sociale non è stato protagonista della sua campagna elettorale. Non ha parlato mai neanche di diritti delle donne, anzi: è tornato a essere accusato di misoginia, dopo aver insultato la giornalista Vera Magalhes in diretta televisiva. Ha ignorato anche la questione razziale e i problemi ambientali. Nel discorso di apertura della 77.ma assemblea generale dell’ONU ha dichiarato che l’Amazzonia «è preservata per oltre l’80%». Tuttavia, un recente studio dell’Istituto Nazionale di Ricerche Spaziali (INPE) ha rivelato che in poco meno di un anno sono stati disboscati 13 mila km quadrati di foresta, circa nove volte la città di San Paolo.
Giravolte poco apprezzate
Anche Lula, però, nonostante si erga a paladino del progressismo, ha perso più di un colpo in questa sua campagna elettorale. Per l’Amazzonia ha chiesto l’aiuto dei governi europei «per sfruttare in modo sostenibile la biodiversità».
Dopo aver definito «fascisti e di destra» gli imprenditori dell’agro-business, settore che rappresenta il 27% del PIL brasiliano, ha fatto un passo indietro ammiccando persino all’utilità di possedere armi nelle fazendas, «purché siano una o due e non 20». Così come Bolsonaro, ha poi strizzato l’occhio agli evangelici, i quali rappresentano una bancada, ovvero un blocco politico, in Parlamento, molto potente, assieme alla lobby delle armi e del latifondo.
Il PT ha addirittura distribuito depliant in cui alle proposte economiche si alternano versetti della Bibbia. Anche sui diritti delle donne ha colpito il cambio di registro. Se qualche mese fa Lula sosteneva che «tutti devono avere questo diritto», adesso sul suo sito campeggia la frase «Lula non è a favore dell’aborto». Persino sulla questione razziale ha deluso Gli unici due candidati presidenziali di colore, Leo Pericle e Lúcia Vera, non sono mai stati invitati nei dibattiti televisivi in cui erano, invece, presenti Lula e Bolsonaro, nel silenzio di tutti.