La storia

«Il maestro e Margherita»: ecco il film russo che sta sfidando potere e censura

L'adattamento cinematografico del celebre romanzo, dopo una lunga attesa, è uscito (a sorpresa) nelle sale – Raccogliendo applausi e consensi, proprio per i parallelismi fra la Russia di oggi e quella di Stalin
Marcello Pelizzari
24.02.2024 19:30

La storia del romanzo, di per sé, è travagliata. Molto travagliata. Scritto durante il regime di Stalin, Il maestro e Margherita venne pubblicato soltanto dopo la morte del suo autore, Mikhail Bulgakov, fra il 1966 e il 1967. Per giunta, in una versione censurata. Alle autorità sovietiche, eufemismo, la satira e la critica del potere non andavano granché a genio. La domanda, tornando al presente, è se l'adattamento cinematografico dell'opera – fresco di uscita nelle sale russe – farà o meno breccia al botteghino. Secondo il New York Times, la risposta è (incredibilmente) sì. D'altro canto, stiamo parlando di un film incentrato sulla tirannia dello Stato. Il fatto che riesca a emergere nella Russia di oggi, fortemente condizionata dalla narrazione di Vladimir Putin, è riconducibile al tema di fondo. Tema che, paradossalmente ma nemmeno troppo, è ancora attualissimo. 

Il punto, leggiamo, è che il film sarebbe dovuto uscire prima, molto prima che lo stesso Putin invadesse l'Ucraina. E che, di riflesso, imponesse al suo Paese un livello di censura e repressione delle libertà fondamentali che, appunto, ricorda i tempi dell'Unione Sovietica. Non finisce qui: la pellicola – girata nel 2021 – aveva ricevuto importanti investimenti statali. Vietarla, beh, avrebbe creato una sorta di cortocircuito e, forse, sarebbe stato troppo perfino per il Cremlino. Un inno russo alla libertà artistica castrato dalle stesse autorità che, in una certa misura, ne avevano finanziato la produzione: quantomeno particolare, no?

Un regista americano

Il regista, lo statunitense Michael Lockshin, interrogato dal New York Times ha spiegato: «Ero convinto, dentro di me, che il film in un qualche modo sarebbe comunque uscito». Quindi, l'aggiunta: «Ho però pensato, quando effettivamente è stato messo nelle sale, a un miracolo». Secondo il Fondo cinematografico nazionale russo, dopo la prima del 25 gennaio oltre 3,7 milioni di persone sono accorse a vedere il film. Inciso: sono tante. Alcuni spettatori, a Mosca, si sono addirittura lasciati andare a un lungo applauso alla fine della proiezione. Anche loro, come il regista, si sono dette meravigliate che un prodotto del genere sia effettivamente uscito. Altri spettatori, invece, hanno semplicemente lodato gli effetti speciali o l'audacia con cui Lockshin si è discostato dalla trama del libro.

Parentesi: Michael Lockshin è il figlio dello scienziato americano Arnold Lockshin. Il padre, attivo nella ricerca sul cancro, venne licenziato dalla Stehlin Foundation nel 1986. Ufficialmente perché le sue performance lavorative erano peggiorate, secondo lo stesso Lockshin per via delle sue posizioni politiche vicine al socialismo. Lo scienziato, quindi, ottenne asilo politico dall'Unione Sovietica ed è per questo che il figlio, Michael, è cresciuto in Russia. 

L'ira dei propagandisti

Evidentemente, un film tratto da un romanzo come Il maestro e Margherita ha scatenato altresì le ire dei propagandisti e dei filo-Putin. Lockshin, oppostosi pubblicamente alla guerra in Ucraina e acceso sostenitore di Kiev, è stato bersagliato di critiche. C'è chi ha perfino chiesto un processo penale nei confronti del regista e di designarlo come «terrorista». Uno dei più influenti presentatori televisivi, Vladimir Solovyov, ha lanciato una serie di domande retoriche in trasmissione. Una su tutte: chi ha permesso a Lockshin di girare una pellicola del genere? Hai voglia a rispondere che, di mezzo, c'era e c'è anche il governo. 

In generale, i media di Stato hanno dato poca rilevanza all'uscita dell'adattamento cinematografico. Normale, vista la sensibilità del tema. Meno normale, se pensiamo che, appunto, il film è stato finanziato anche dal Cremlino. Questo bailamme ha spinto molti spettatori a riversarsi nelle sale, temendo una possibile e futura censura. Il critico cinematografico russo Anton Dolin, citato sempre dal New York Times, ha spiegato dal suo esilio (è stato bollato come «agente straniero») che il film coincide «incredibilmente» con il momento storico che sta vivendo la Russia, «con la restaurazione dello stalinismo e la persecuzione dell'intellighenzia».

I parallelismi con la Russia di oggi

Stalin, all'epoca, a differenza del trattamento riservato ad altri scrittori sovietici si «limitò» a soffocare le ambizioni artistiche di Bulgakov. «Il film parla della libertà di un artista in un mondo non libero» ha chiarito Lockshin, il regista. «E parla di ciò che questa libertà comporta: non perdere la fiducia nel potere dell'arte». Lockshin ha firmato per questo progetto nel 2019 e, per l'adattamento, ha scelto di percorrere la strada della vendetta sulla falsariga di Quentin Tarantino. Nel mettersi di traverso rispetto all'invasione dell'Ucraina, il regista ha messo a rischio l'uscita del film. «Ma non mi sarei mai censurato per salvare questo progetto» ha ribadito il cineasta. «Il film stesso parla di censura». Tradotto: Lockshin non sarebbe stato coerente con se stesso. 

Molti spettatori, dicevamo, hanno subito notato i parallelismi fra l'epoca di Stalin e la Russia attuale. La recente festa «quasi nuda» che tanto ha fatto infuriare il Cremlino, ad esempio, ha evocato il famoso ballo di Satana del romanzo. C'è anche chi ha notato, in sala, un certo disagio da parte degli spettatori. Come se gli stessi spettatori temessero che qualcuno li avrebbe denunciati. Anche qui, un rimando al romanzo.

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