Lo scenario

La Cina assedia l'Europa: per l'auto una crisi non solo industriale

Il trasferimento del Salone di Ginevra a Doha, in Qatar, era inevitabile: il modello espositivo del passato non è più sostenibile — Nel primo semestre del 2022 il gruppo Byd ha superato di 100 mila unità la Tesla di Elon Musk per numero di macchine elettriche vendute
Dario Campione
20.08.2022 12:00

«La tempesta perfetta» si è abbattuta sul mercato dell’automobile e, più in generale, sul settore dell’automotive. Una «combinazione di fattori» - alcuni prevedibili, altri molto meno - che hanno squassato in pochissimo tempo un pezzo di mondo dato erroneamente per scontato. Il trasferimento del Salone dell’auto da Ginevra a Doha, in Qatar, è soltanto l’ultima di una serie, ormai lunghissima, di cattive notizie che hanno come oggetto le quattro ruote: status symbol sempre più appannato e in crisi di fascinazione, soprattutto nel Vecchio Continente.

I numeri recenti di questa congiuntura sono specificati in dettaglio più in basso. I motivi, invece, li elenca al CdT Mario Cianflone, giornalista economico e responsabile per il Sole 24 Ore dell’informazione sul settore auto.

Decisione scontata

«Intanto, non può affatto sorprendere la decisione che riguarda Ginevra - dice subito Cianflone - I saloni sono in difficoltà da tempo perché il loro modello non è  sostenibile. L’investimento chiesto alle case produttrici per la partecipazione agli eventi non è più giustificato dai risultati. La foto del manager che solleva un telo e scopre l’ultimo modello è stata travolta dalla velocità della comunicazione social. Ormai, le grandi imprese privilegiano gli eventi monomarca ai quali invitano un gruppo selezionato di giornalisti e influencer in grado di garantire una copertura originale e diffusa». Il trasloco in Qatar non deve, quindi, né sorprendere né deprimere, lascia capire il giornalista italiano. Era scontato. Inevitabile. Il vero tema è semmai un altro: perché, in Europa, si vendono sempre meno macchine.

«La crisi - dice Cianflone - è quantomeno triplice: di volumi, di valore e culturale. Siamo in balìa di una sorta di tempesta perfetta. L’automobile non è da tempo al centro della spesa delle famiglie, anche a causa della minore disponibilità di risorse. La transizione energetica forzata del 2035, decisa nell’Europa dei 27 dal Parlamento di Strasburgo, sta poi creando un autentico smarrimento nel consumatore, diminuendone la propensione alla spesa: nessuno sa se sia giusto comprare un modello a benzina o diesel, oppure passare subito all’elettrico. Infine pesa, e molto, il cambio culturale del concetto di mobilità, soprattutto tra i più giovani. Nelle grandi città, dove peraltro gli amministratori tendono a chiudere le strade alle auto, l’uso dei mezzi pubblici sta diventando prevalente. Per i minori costi da un lato, per la maggiore sensibilità ecologica dall’altro».

Senza dimenticare che la distruzione delle catene di fornitura e la mancanza dei microprocessori hanno inciso alla fine in profondità proprio sul sistema delle vendite.

«Le auto comprate oggi sono consegnate, se sei fortunato, tra un anno - sottolinea ironicamente Cianflone - e spesso senza le dotazioni tecnologiche garantite al momento dell’acquisto». Tutto questo, ha trascinato il mercato sempre più in basso. «E io credo in maniera irreversibile soprattutto in Europa - dice il giornalista del Sole 24 Ore - dove con l’elettrificazione si sconta anche la fine di alcuni segmenti storici. L’utilitaria, la macchina da città, progressivamente è destinata a scomparire. Le varie Panda, Fiesta e così via si sono “suvizzate”. Altre stanno diventando oggetti premium: penso alla 500 elettrica, che costa 40 mila euro e non è certo un’automobile alla portata dei più giovani o di chi ha appena fatto la patente».

Paradossalmente, Il mercato dell’auto in Europa (Svizzera compresa) si trova stretto nelle tenaglie di una contemporanea crisi della domanda e dell’offerta. Crisi aggravata anche dal perdurare latente della pandemia, dal ri­affacciarsi prepotente dell’inflazione, dall’impatto concreto e psicologico della guerra in Ucraina.

Il Dragone avanza

La crescita del segmento dei veicoli elettrici è l’unico fattore positivo. Se non fosse che, all’orizzonte, si staglia sempre più minacciosa l’ombra cinese. Pochi lo sanno, ma il Dragone sta conquistando molto rapidamente la supremazia anche in questo comparto. Secondo Schimdt Automotive Research, un centro di ricerca tedesco, nel 2021 il 15% delle auto elettriche vendute in Europa occidentale era made in China. A cominciare dai modelli Tesla, non ancora assemblati nella fabbrica costruita alle porte di Berlino.

Il gruppo Geely, che ha sede a Hangzhou, oltre a controllare la svedese Volvo ed essere il secondo azionista di Mercedes-Benz, ha fissato per i suoi marchi di veicoli elettrici Zeekr e Geometry il traguardo di 3,65 milioni di unità vendute annualmente entro il 2025. Non solo: sotto il suo ombrello ha una serie di altri marchi “europei”, come Polestar o Lynk. Quest’ultimo, nato in Svezia, era destinato inizialmente al solo mercato cinese ma è ora avviato anche alle vendite in Europa.

Con 641mila veicoli venduti nel primo semestre del 2022, il gruppo Byd che ha sede a Shenzhen, nella provincia del Guangdong, ha invece surclassato Tesla di circa 100mila unità, scalzando l’azienda di Elon Musk da un primato finora indiscusso. Voyah, infine, marchio di auto elettriche controllato dalla Dongfeng Motor Corporation, azienda - con sede a Wuhan - tradizionalmente considerata una delle grandi produttrici di automobili in Cina, ha aperto da poco uno showroom a Oslo. E dalla capitale della Norvegia sono già passate Nio e Xpeng, altre due case automobilistiche specializzate in veicoli elettrici.

«Le aziende cinesi stanno già vendendo in Europa. Quindi spetta a tutte le altre imprese presenti sul mercato europeo raccogliere la sfida e realizzare veicoli elettrici adatti alle esigenze dei consumatori», ha dichiarato al Financial Times Philippe Vangeel, segretario generale di AVERE, l’associazione europea per la mobilità elettrica, della quale Nio e Xpeng fanno già parte.

A fine maggio il Mercator institute for China studies (MERICS), un centro studi tedesco sul Dragone, ha calcolato che l’Europa è diventato il primo mercato in cui le aziende cinesi esportano auto elettriche. Nel 2021 il 40% dei 555.041 veicoli venduti all’estero è finito sulle strade europee: non solo auto cinesi tout-court, ma anche modelli progettati da case europee e prodotti poi al di là della Grande Muraglia. «Il governo cinese sostiene molto i produttori di auto elettriche - dice Vangeel - Dongfeng, per fare un nome, è un’azienda statale. Questi produttori stanno investendo in modelli di fascia bassa e più economici, per abbattere gli steccati economici che ancora rendono le e-car un oggetto proibitivo per molti portafogli. Byd, ad esempio, ha lanciato un modello che costa 10 mila euro».

I numeri

Come spesso succede, i numeri illustrano la realtà molto più facilmente delle parole. Gli ultimi dati resi noti dalla ACEA, l’associazione europea dei costruttori di automobili, sono tanto impietosi quanto espliciti: il mercato delle autovetture nel Vecchio Continente non mostra segni di ripresa. Semmai, al contrario, fa segnare l’ennesimo, preoccupante passo indietro. Nel primo semestre dell’anno, le nuove immatricolazioni sono state poco meno di 5,6 milioni. Il calo, rispetto allo stesso periodo del 2021, è stato del 13,7%. In cifre assolute, nel solo mese di giugno, in Europa Occidentale, sono state immatricolate 1,066 milioni di auto, il 16,8% in meno al giugno del 2021.

In questo quadro fosco per chi produce e vende automobili, la Svizzera non fa eccezione. Nei primi sei mesi del 2022, infatti, le immatricolazioni di nuove vetture sono scese del 12% a quota 109.600 , con una flessione nel solo mese di giugno del 18,2%. La diminuzione delle vendite dei veicoli alimentati a benzina (-27,3%) e diesel (-30,6%) è stata un autentico crollo. Opposto, invece, il trend delle auto elettriche, cresciuto del 46,1%.

«Purtroppo, l’aumento del numero di stazioni di ricarica pubbliche non è in grado di tenere il passo con quello dei veicoli - ha commentato Albert Rösti, predecessore di Marco Chiesa alla guida dell’DC e attuale presidente dell’associazione degli importatori svizzeri di automobili Auto Schweiz - Il rischio è che in inverno la penuria di elettricità freni la domanda in questo segmento».

In Svizzera, sono state molto negative anche le cifre di luglio, mese in cui sono stati immatricolati 23.434 nuovi veicoli a motore. Secondo l’Ufficio federale di statistica (UST), il calo rispetto allo stesso mese dell’anno scorso è stato del 19%. Per quel che riguarda le sole automobili, la contrazione risulta sempre del 19%, con 15.414 nuove immatricolazioni. Anche in questo caso, le differenze in base ai tipi di motore sono state notevoli: quelli a benzina sono calati del 24%, i diesel del 25%, gli ibridi del 13% e i plug-in del 33%. In crescita, dell’8%, soltanto i full electric.

In questo articolo: