Scenari

La Cina invaderà Taiwan, ma come?

Dopo le parole del ministro degli Esteri di Taipei, esperti e analisti continuano a immaginare scenari di guerra e invasione
Marcello Pelizzari
09.08.2022 10:45

 

Sì, la Cina sta preparando un’invasione. Lo ha detto, senza troppi giri di parole, il ministro degli Esteri di Taiwan. Papale papale, insomma. Al di là del quando, come potrebbe potrebbe concretizzarsi un simile scenario? Proviamo a capirci qualcosa.

L'invasione su larga scala

Un’invasione su larga scala, spiegano gli esperti, per quanto possibile – visti i numeri dell’esercito cinese – sarebbe quantomeno complicata. Da una parte, la conformazione del territorio renderebbe difficile un attacco anfibio. Dall’altra, mantenere il territorio conquistato richiederebbe uno sforzo logistico notevole: migliaia e migliaia di truppe, per tacere delle attrezzature.

Ci sarebbe, poi, la questione meteorologica. Ovvero, i monsoni. Gli analisti, a tal proposito, affermano che un attacco di simili dimensioni sarebbe possibile solo in due momenti precisi: da maggio a luglio, oppure a ottobre. Di più, nelle acque che portano a Taiwan sono presenti diverse isole amministrate da Taipei, ad esempio l’arcipelago delle Penghu, disseminato di radar e missili che potrebbero infliggere gravi perdite alla Cina.

Detto ciò, l’esercito cinese sta portando avanti una campagna di rafforzamento a pieno ritmo. E, fra le altre cose, ha appena varato una terza portaerei, la Fujian. La Cina, oggi, è la seconda potenza al mondo per numero di portaerei. Solo gli Stati Uniti ne hanno di più.

Le isole minori

Proprio le isole minori, però, potrebbero ingolosire la Cina. Nello specifico, si è parlato parecchio in questi giorni di Kinmen, arcipelago vicinissimo (2 chilometri) alla metropoli cinese di Xiamen, nel Fujian. Ma sarebbero stati fatti piani anche per Matsu, a un tiro di schioppo dalla costa orientale del citato Fujian, dove sono presenti siti missilistici. Terza e ultima opzione, leggiamo, le isole Dongsha, 300 chilometri al largo di Hong Kong: sono disabitate e si presterebbero alla più classica delle azioni simboliche.

Domanda: ma come reagirebbero Stati Uniti o Giappone? Difficile dirlo. Di sicuro, Pechino con un’azione del genere cercherebbe di sfiancare la resistenza dei taiwanesi, magari costringendo Taipei a sedersi attorno a un tavolo e avviare dei negoziati.

Attacchi mirati

Detto di operazioni dirette, resterebbe in piedi anche l’ipotesi di attacchi mirati, via aereo o missile, direttamente sull’isola principale. Taiwan, proprio così. Pensiamo a centrali elettriche, edifici governativi, ma anche obiettivi militari. Il tutto, va da sé, accompagnando questi attacchi con forze di difesa per impedire agli Stati Uniti e alle forze alleate di inviare aiuti a Taipei.

Lo scopo, in questo caso, sarebbe una resa più o meno immediata. Foreign Policy, su questo aspetto, ha spiegato che la Russia, in Ucraina, finora ha fallito perché si è dimostrata incapace, citiamo, «di minare il morale ucraino e la volontà di combattere». E ancora: «La Russia non ha disabilitato le reti di comunicazione ucraine. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha mantenuto una presenza pubblica visibile e continuato a radunare le sue truppe e a fare pressione sulla comunità internazionale per il sostegno. I media ucraini e occidentali e i social media hanno censurato le informazioni vantaggiose per la Russia e hanno diffuso le perdite sul campo di battaglia russo e le vittorie ucraine».

Ergo, la Cina potrebbe concentrarsi proprio sulle capacità di Taipei di mantenere aperte le comunicazioni verso il resto del mondo.

Il blocco navale

L’Economist, per contro, ha immaginato un altro scenario. Prima un’esercitazione navale su larga scala, ovviamente da parte della Cina. Quindi un vero e proprio blocco. Con tanto di minacce nucleari, alla Vladimir Putin per intenderci, nei confronti di chiunque tenti di ostacolare il blocco. Nel frattempo, Pechino avrebbe modo di preparare nei minimi dettagli l’invasione vera e propria e, forse, decapitare il governo di Taipei (decapitation strike, volendo usare un’espressione comune). Un blocco, per intenderci, impedirebbe alle navi cargo dirette a Taiwan di attraccare. Lo stesso dicasi per gli aerei passeggeri e, ancora, cargo. Nel promuovere la sua narrazione, non a caso, Pechino ha pure rivendicato come cinesi le acque dello Stretto. Un monito che non è passato inosservato.

Ma andrà davvero così?

La domanda, avviandoci verso la conclusione, è sempre la stessa: ma davvero la Cina arriverebbe a tanto? Rischiando, per giunta, di impantanarsi come la Russia in Ucraina? In un certo senso, un’invasione avrebbe il sapore di sconfitta politica per Pechino. Della serie: dov’è finito il concetto «una Cina, due sistemi», già vacillante (eufemismo) a Hong Kong? Di più, i cinesi finirebbero per attaccare, militarmente, un’isola che considerano loro territorio.

Assieme alle opzioni citate, dunque, Pechino potrebbe portare avanti un discorso normativo, per quanto altrettanto inquietante. Soprattutto perché Xi Jinping ha appena firmato una legge per l’esercito nella quale sono citate le «operazioni speciali», ricordando così il lessico usato dalla Russia. L’orizzonte, anche su questo fronte, sta cambiando. Prima, infatti, il paradigma era rappresentato dalla cosiddetta legge anti-secessione. Una legge che la Cina vorrebbe superare, adottandone una per la riunificazione. Tradotto: nel mirino, qualora diventasse realtà un simile testo, finirebbero non solo i sedicenti secessionisti ma anche chiunque non si applichi perché Taiwan «ritorni a casa».

Il punto, pare di capire, è legato al tempo: finora, Pechino ha saputo attendere, pur esercitando pressioni, al grido «prima o poi saremo insieme». Negli ultimi mesi, però, questa pazienza è come venuta meno. Lasciando il campo a ipotesi e, come visto, esercitazioni-simili-alla-guerra. Come se la Cina stesse aspettando una finestra per attaccare. Davvero. Dall’altro lato, l’obiettivo del Partito comunista non è cambiato: portare avanti, a ogni costo, il suo sistema di potere. Se per farlo è necessario invadere Taiwan, è impressione di molti che Pechino non avrà remore.

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