La polemica

La Cina vuole insegnare la «sua» storia ai bambini di Hong Kong

L'ultima mossa di Pechino? Nuovi libri di testo per le scuole medie che negano il passato coloniale di Hong Kong e Macao
Marcello Pelizzari
17.06.2022 14:00

Che tra Hong Kong e la Cina i rapporti siano tesi, beh, è cosa nota. Regione amministrativa speciale dal 1997, l’ex colonia britannica negli anni sta perdendo sempre più diritti e privilegi o, volendo farla breve, libertà. L’ultima mossa di Pechino riguarda l’insegnamento e, in particolare, i nuovi libri di testo per le scuole medie che la Cina intende introdurre. Nei quali, leggiamo, non vi è traccia del passato coloniale di Hong Kong. Semmai, nei libri verrà ribadito che la città semiautonoma e la vicina Macao, un tempo portoghese, erano «solo» occupate da forze straniere. E, soprattutto, che la Cina non ha mai rinunciato alla sovranità su questi territori. Ahia.

Le guerre dell'oppio

C’era da aspettarselo, in fondo. Proprio perché le posizioni del Partito comunista sono chiare. Da tempo. Se, da una parte, la popolazione protesta e chiede maggiori garanzie democratiche (ricordiamo a tal proposito i moti del 2019) dall’altra il potere centrale intende, con forza, inculcare il patriottismo e, di riflesso, la visione cinese delle cose e della storia.

L’Associated Press ha potuto visionare questi libri. Si è annotata una frase, in particolare: «Hong Kong è stata territorio cinese sin dai tempi antichi». E ancora: «Sebbene Hong Kong fu occupata dagli inglesi dopo le guerre dell’oppio, rimase territorio cinese». Le guerre dell’oppio citate sono furono due conflitti svoltisi fra il 1839 e il 1842 e, in seguito, fra il 1856 e il 1860. Contrapposero l’Impero cinese al Regno Unito. Furono, va da sé, la conseguenza di dispute commerciali. Sconfitta in entrambi i casi, la Cina non solo dovette tollerare il commercio dell’oppio ma cedette l’isola di Hong Kong ai britannici.

È giusto dire «ex colonia»?

La domanda, a questo punto, è lecita: ma Hong Kong era o no una colonia? La risposta è sì. Dal 1841 al 1997, quando tornò in mani cinesi e facendo astrazione dell’occupazione giapponese dal 1941 al 1945. A sancirlo, appunto, furono gli esiti delle guerre dell’oppio. La concessione, però, era temporale. Nel 1898, nello specifico, fu firmato un contratto di locazione di 99 anni. La posizione della Cina, controversa, si basa sul fatto che il Partito comunista, al potere dal 1949, non riconobbe mai i trattati firmati dall’ex dinastia Qing. Non a caso, alla fine del secolo scorso la Cina si dimostrò piuttosto restia a prolungare il suddetto contratto di locazione. Costringendo, di fatto, il Regno Unito a iniziare un lungo ed estenuante negoziato per riconsegnare Hong Kong.

Nel 1997, quando avvenne il passaggio di consegne, la Cina ribadì che Hong Kong avrebbe mantenuto il suo sistema economico, politico e giudiziario secondo la logica «un Paese, due sistemi» stabilita in una dichiarazione congiunta del 1984. E questo per almeno cinquant’anni. Le cose sono andate – e stanno andando – diversamente. La Cina aveva tentato di intervenire su Hong Kong e Macao già nel 1972, nel timore che potessero spingere per l’indipendenza.

I moti di protesta del 2019

L’istruzione, per contro, è al centro degli interessi del Partito quantomeno dal 2019. A Hong Kong, fra i banchi, ora si affrontano temi quali la sicurezza nazionale e l’identità. Lo scorso 15 aprile, a tal proposito, le autorità avevano lanciato una vera e propria giornata di educazione alla citata sicurezza nazionale: al centro, l’importanza di preservare e proteggere la Cina.

Di più, il movimento di protesta che chiedeva (e chiede) maggiori garanzie per la democrazia, secondo i libri, era ed è il risultato di agitazioni straniere. Una minaccia, appunto, alla sicurezza.

Nel 2020, questa narrazione è servita a Pechino per promuovere e fare approvare una legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong. Una legge ce, manco a dirlo, limita parecchio la libertà di parola e di stampa, le critiche alle autorità e l’opposizione politica.

Piazza Tienanmen

Xi Jinping, d’altronde, da tempo spinge affinché i valori di Hong Kong coincidano con quelli della cosiddetta Cina continentale. A maggior ragione su aspetti quali la politica o la storia. Di qui, altresì, l’impostazione sempre più autoritaria dell’ex colonia. Con la scusa della pandemia, ad esempio, a Hong Kong sono state vietate le commemorazioni pubbliche del 4 giugno, giorno in cui viene ricordata la sanguinosa repressione da parte dell’esercito cinese, nel 1989, delle proteste di piazza Tienanmen a Pechino. Proteste legate a un’immagine in particolare, quella del Rivoltoso Sconosciuto, l’uomo che si parò davanti a dei carri armati impedendone così l’avanzata. Oggi, ad avanzare, a Hong Kong non sono i fatti bensì l’interpretazione che ne vuole dare il Partito comunista.

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