Epidemia

La comunicazione sul vaiolo delle scimmie discrimina i maschi gay?

L'OMS è stata accusata di omofobia sui social dopo aver diffuso i dettagli dei contagi – Ne parliamo con Federico De Angelis, co-coordinatore di Imbarco Immediato
Marcello Pelizzari
29.07.2022 17:00

Sì, il vaiolo delle scimmie è un’emergenza sanitaria globale. Lo ha dichiarato, sabato scorso, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Specificando, con poco tatto secondo alcuni, che la maggior parte dei casi riscontrati, finora, riguarda uomini che fanno sesso con altri uomini.  

L’OMS, in particolare sui social, è stata accusata di omofobia sebbene il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, su Twitter, abbia scritto: «Lo stigma e la discriminazione possono essere pericolosi come qualsiasi virus». Il tema, appunto, è delicato. Come affrontarlo? Il maggior numero di contagi fra la popolazione maschile gay e bisessuale – a detta di molti esperti – non va né sottaciuto né tantomeno trascurato. Anzi, va esposto e contestualizzato. Proprio per tutelare la salute di chi, dati alla mano, sembrerebbe più esposto.

Intorno alle malattie legate, in particolare, ad alcune categorie di persone c’è un’attenzione doppia. Il motivo? Il timore che queste persone possano essere stigmatizzate. Sta succedendo negli Stati Uniti, dove la comunità LGBT sta affrontando questa ondata con parecchia apprensione come ha riferito, fra gli altri, il New York Times. E dove la memoria di come venne gestito l’HIV è ancora viva.

Si crea uno stigma nei confronti della popolazione direttamente coinvolta. Penso agli uomini che hanno rapporti con altri uomini. E che, ora, si sentono più fragili e meno tutelati
Federico De Angelis, co-coordinatore di Imbarco Immediato

Quando si crea uno stigma

«Il primo aspetto negativo – sottolinea Federico De Angelis, co-coordinatore di Imbarco Immediato, associazione LGBTQ+ della Svizzera italiana – è il fatto che sia emersa una nuova epidemia. Un problema, come ha sottolineato l’OMS, globale». E, quindi, non circoscrivibile alla comunità gay e bisessuale maschile. «Riguardo al vaiolo delle scimmie, non sono ancora note l’eziologia e le modalità di trasmissione. Non la definirei, comunque, una malattia sessuale tout court, nella misura in cui il contagio può avvenire anche attraverso le cosiddette goccioline o con il contatto ravvicinato. Non soltanto con il rapporto sessuale vero e proprio, dunque».

Quanto allo stigma nei confronti della comunità LGBT, prosegue il nostro interlocutore, «è qualcosa che, ciclicamente, ritorna e che colpisce, nello specifico, la componente gay maschile, in qualche modo più soggetta alla promiscuità». Si tratta, aggiunge De Angelis, «di un problema. Si crea uno stigma nei confronti della popolazione direttamente coinvolta. Penso agli uomini che hanno rapporti con altri uomini. E che, ora, si sentono più fragili e meno tutelati».

Il concetto di promiscuità

Una ricerca pubblicata sul New England Journal of Medicine, citata dal Post, ha segnalato che il 98% dei casi di vaiolo delle scimmie dalla primavera di quest’anno ha interessato uomini gay o bisessuali. Solo negli Stati Uniti, secondo l’OMS, il 99% dei casi sono finora riconducibili a contagi tra MSM, la sigla utilizzata in ambito medico per includere tutti gli uomini che fanno sesso con altri uomini indipendentemente dal loro orientamento sessuale.

Al riguardo, il co-coordinatore di Imbarco Immediato spiega: «È un discorso, in generale, di statistica e probabilità. Non dobbiamo dimenticarci che stiamo parlando di una minoranza, che rappresenta circa il 10% della popolazione mondiale. Banalmente, è più facile entrare in contatto con il virus in un ambiente più ristretto. Un fatto, quest’ultimo, che emerge poco nelle discussioni. Di più, si stigmatizza una minoranza quando il vaiolo delle scimmie è un problema collettivo».

L’OMS, nelle sue comunicazioni, ha esortato gli individui maschi gay e bisessuali a limitare i partner sessuali. Un’altra stigmatizzazione? Come se tutti i maschi gay e bisessuali avessero più di un partner? «In effetti quella frase non è lo specchio reale della comunità LGBT, né rappresenta il quadro complessivo della comunità gay di uomini che hanno rapporti con altri uomini. E poi la promiscuità è possibile anche fra gli eterosessuali» ribadisce De Angelis. Indubbiamente, prosegue il nostro interlocutore, «la promiscuità è un fattore che in questo ambito può avere un influsso. Detto ciò, la popolazione omosessuale maschile, che nel corso degli anni è stata stigmatizzata in particolare per malattie come l’HIV, è più attenta a queste tematiche rispetto alla comunità etero».  

Lo stesso HIV non colpì soltanto la popolazione omosessuale, basti pensare a che cosa succede tutt’ora in Africa. Allo stesso modo, questo virus non colpisce soltanto i maschi gay e bisessuali

Comunicazioni sbagliate?

In passato, proprio l’HIV è stato «venduto» come la malattia degli omosessuali. Possibile che anche il vaiolo delle scimmie possa finire nel medesimo calderone di falsità e disinformazione? «Il problema, in questo caso, sta alla base» risponde De Angelis. «Lo stesso HIV non colpì soltanto la popolazione omosessuale, basti pensare a che cosa succede tutt’ora in Africa. Allo stesso modo, questo virus non colpisce soltanto i maschi gay e bisessuali. Come dicevo, è anche un discorso di statistica e probabilità. All’interno di un 10% di popolazione è più facile che si sviluppino contagi».

Parentesi: la città di New York, fra le altre, ha esortato l’OMS a cambiare nome poiché, citiamo, questa «terminologia» è «radicata in una storia razzista e dolorosa per la comunità afroamericana». L’OMS, di suo, si era prodigata nel cambiare nomi alle varianti del coronavirus onde evitare discriminazioni. Come la mettiamo? «Negli Stati Uniti, è vero, la questione razziale è ancora molto presente e sentita. C’è stata una mobilitazione degli afroamericani in tal senso. In futuro, mi auguro che l’OMS possa cambiare nome. Proprio perché certe scelte linguistiche possono ledere la sensibilità di alcuni. Ad ogni modo, io sono biologo di formazione e quindi arrivo dal mondo scientifico. Ritengo che l’OMS, semplicemente, abbia mantenuto il nome originario del virus non ritenendo necessario, per ora, cambiarlo. Ora come ora, però, conta limitare i contagi. Ne abbiamo avuto abbastanza con il coronavirus, direi».

E riguardo la comunità LGBT? Le comunicazioni dell’OMS in merito al vaiolo delle scimmie sono state più o meno fuorvianti? «Trovo corretto, visto l’aumento di casi piuttosto repentino e il fatto che la mobilità delle persone sia tornata ai livelli pre-pandemici, che l’OMS abbia alzato il livello di allarme al massimo. Le comunicazioni, tuttavia, devono essere efficaci. Altrimenti il messaggio veicolato può sortire effetti contrari, come il fatto che il vaiolo delle scimmie possa essere limitato solo a una parte della popolazione quando in realtà riguarda tutti noi. Sì, l’OMS poteva fare di più e meglio. Noi, intendo la comunità LGBT, ci siamo mossi attraverso i canali specifici che si occupano di salute sessuale. Le persone hanno a disposizione molti canali per informarsi».

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