Informazione

«La cosa di cui non si può dire»

La prima mossa di ogni regime è la repressione del più diffuso e meno controllabile dei contropoteri: la libertà di stampa
Dario Campione
10.03.2022 06:00

È cosa nota come la cartina di tornasole della democrazia sia il dissenso. Quanto più esso viene tollerato e in qualche modo difeso, tanto più il sistema si rivela aperto e liberale. La prima mossa di ogni regime - per definizione ostile in modo naturale a ogni forma di critica - è la repressione del più diffuso e del meno controllabile dei contropoteri: la libertà di stampa. Schiacciata, di solito, da apparati per nulla imbarazzati a mettere in circolazione incredibili affermazioni propagandistiche, pur di giustificare le peggiori nefandezze. Accade nei periodi di pace, figuriamoci in quelli di guerra. La Russia di Putin, a questo proposito, è quasi un caso di scuola. Come dimostra l’ultima legge approvata dalla Duma - il Parlamento di Mosca - che prevede condanne fino a 15 anni di carcere per chi divulga false informazioni sulle operazioni militari del Paese. Come se ci fosse un’autorità indipendente in grado di valutare che cosa sia vero e che cosa no quando c’è di mezzo un esercito.

I rischi
Andrea Romano, professore di Storia contemporanea all’Università di Roma Tor Vergata e deputato del Partito Democratico, è tra i pochi politici italiani a conoscere il russo e ad avere quindi piena consapevolezza di quanto stia accadendo nel mondo dell’informazione oltre la cortina putiniana. Da quando è iniziato il conflitto con l’Ucraina, apre ogni giorno una finestra sulla stampa russa durante la trasmissione radiofonica «Un giorno da pecora», su Radio2Rai. I titoli e gli articoli letti da Romano appaiono talvolta surreali. La guerra è semplicemente negata. «I media russi, a partire da Tv e stampa, sono quasi tutti controllati dal potere, anche se non in modo diretto, dittatoriale. Sono infatti di proprietà di aziende controllate dal Governo. Faccio un esempio: la “Komsomol’skaja Pravda”, che una volta era il giornale dei giovani comunisti, è oggi posseduta da Gazprom; vende 700 mila copie ed è totalmente allineata al Cremlino. Lunedì mattina titolava sui preparativi dell’Ucraina alla guerra batteriologica contro la Russia. È chiaro che siamo dentro una dimensione orwelliana dell’informazione». Alcune sacche di resistenza persistono. La più nota è il trisettimanale «Novaja Gazeta», diretta dal premio Nobel per la pace Dmitrij Muratov. «È una voce importante, in pratica l’unico vero giornale di opposizione rimasto attivo. Per continuare il loro lavoro, però, i giornalisti di “Novaja Gazeta” hanno dovuto cambiare linguaggio, iniziare a utilizzare circonlocuzioni verbali. Parlano della guerra, ma la definiscono “quella cosa di cui non si può dire”». Rischiano. Rischiano molto. Perché il regime non conosce ostacoli. «Lo stesso Muratov potrebbe essere arrestato con un protesto qualsiasi e non sarebbe il primo, purtroppo - avverte Romano -. Basti pensare a quanto accaduto a Jurij Dmitriev, archeologo e storico dei crimini dello stalinismo, membro di “Memorial”, la più importante associazione russa per i diritti umani, fondata nel 1989 da Andrej Sakharov e altri dissidenti sovietici e chiusa, a dicembre dello scorso anno, da Putin per aver “creato una falsa immagine dell’URSS come Stato terrorista” e aver “insudiciato la memoria della Seconda guerra mondiale cercando di riabilitare i criminali nazisti”. Dmitriev, dopo essere stato più volte processato e assolto, è stato alla fine condannato a 13 anni di carcere con l’accusa di pedofilia, ovviamente falsa». Una sorte simile a quella di Aleksej Naval’nyj, l’attivista oppositore di Putin in galera per contraffazione e frode. Una sorte frutto di quella che Romano definisce «repressione obliqua, che colpisce i dissidenti non per le loro attività politiche ma per reati diversi, costruiti ad arte».

Lo stesso Muratov potrebbe essere arrestato con un protesto qualsiasi e non sarebbe il primo, purtroppo
Andrea Romano

Le proteste
E ciononostante, a dispetto di una censura soffocante, in moltissime città russe si continua a manifestare contro la guerra e per la libertà. Migliaia di persone sono state arrestate ma le proteste non si fermano. «Succede perché in Russia esiste comunque un’opinione pubblica, c’è una società diversificata, non monolitica. Ancora una volta - dice Andrea Romano - la storia ci aiuta a capire meglio i fatti. Ai tempi dell’Unione Sovietica i cittadini cominciarono a dubitare delle “verità” del regime con il crollo della qualità della vita. Ecco perché l’impatto delle sanzioni diventerà sempre più importante. Non solo: nel Paese stanno arrivando anche le notizie sui caduti al fronte; ci sono prigionieri di guerra russi in Ucraina ai quali viene permesso di telefonare alle proprie famiglie, chiamano casa e raccontano la loro odissea. Certo, sono gocce nell’enormità della propaganda putiniana, ma hanno un peso». Anche su questo versante, però, il regime non sta a guardare. «Putin ha messo in moto vere e proprie milizie civili che stanno bullizzando e picchiando chi parla male in pubblico del Governo. È di questi giorni la notizia di un’insegnante di liceo perquisita e arrestata per aver criticato in classe le scelte del Cremlino. Per stanarla da casa le hanno tolto la luce. Il portavoce di Putin, Dmitrij Peskov, ha detto l’altro giorno che in tempi straordinari servono misure straordinarie. Questo fa capire a che livello può arrivare il grado di repressione».

I social
Un’isola di libertà potrebbero essere i social network, canali su cui le notizie scorrono talvolta con meno controlli. Potrebbero, perché anche la Rete è nel mirino del potere. «Da giorni si parla con insistenza di disconnessione della Russia da Internet - dice infatti Andrea Romano -. Diversamente dalla Cina, Mosca non è riuscita a ottenere la “collaborazione” di grandi piattaforme quali Google e Facebook. Sta quindi predisponendo una Internet locale che impedisca ai russi di interagire con il resto del mondo. È probabile che il nostro ciberspazio possa diventare presto una sorta di Dark Web per i russi. I quali, comunque, in queste settimane hanno attualizzato i vecchi “Samizdat”, la stampa clandestina dell’epoca comunista. Per aggirare la censura e far circolare le notizie, molti hanno utilizzato ad esempio le recensioni a siti come Trip Advisor». Corriere del Ticino

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