Il caso

La CPI, Israele e quella telefonata di George Clooney alla Casa Bianca

In una chiamata al consigliere di Joe Biden, la star di Hollywood ha espresso preoccupazione per le sanzioni che Washington potrebbe imporre alla Corte penale internazionale e ai suoi collaboratori, compresa la moglie Amal
© Alberto Pezzali/Invision/AP
Red. Online
07.06.2024 10:45

Sono passate quasi tre settimane dalla richiesta, da parte del procuratore capo della Corte penale internazionale (CPI) Karim Khan, di mandati d'arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, del suo ministro della Difesa Yoav Gallant e di tre leader di Hamas, sospettati di aver compiuto crimini di guerra e contro l'umanità a partire dallo scorso ottobre. Il caso, ne avevamo parlato nei giorni seguenti, aveva visto anche la partecipazione di un'avvocata di fama mondiale: Amal Clooney. Consultata in qualità di esperta di diritto internazionale – numerosi, anche in orbita ONU, i casi affrontati in carriera dalla 46.enne di origini libanesi –, sul caso aveva commentato: «Ho servito in quella commissione perché credo nella legalità e nella necessità di proteggere i civili. La legge che protegge i civili in guerra è stata sviluppata oltre 100 anni fa e si applica in tutti i Paesi del mondo, a prescindere dalle ragioni del conflitto. Ci sono ragionevoli basi per ritenere che Netanyahu e Gallant hanno commesso crimini di guerra e contro l'umanità tra cui l'uso della fame come arma, l'assassinio, la persecuzione e lo sterminio».

La richiesta di mandati d'arresto aveva scatenato l'ira non solo di Israele, ma anche degli Stati Uniti, che a poche ore dalla notizia avevano minacciato il procuratore capo della CPI e tutti i suoi collaboratori di severe sanzioni. Ma la notizia delle ultime ore è che la mossa dell'amministrazione Biden ha spinto il marito dell'avvocata, il celebre attore George Clooney,  a scendere in campo, prendendo posizione in difesa della moglie e del suo lavoro con la CPI.

Una telefonata

Una chiamata, semplice, ma dall'enorme peso. A fine maggio, ha rivelato un articolo pubblicato ieri dal Washington Post, il premio Oscar ha alzato la cornetta per raggiungere Steve Ricchetti, consigliere del presidente Joe Biden. Obiettivo: lamentarsi per le critiche espresse dal leader mondiale contro la CPI e i mandati di arresto per Netanyahu e Gallant. Ma anche e soprattutto esprimere rabbia e preoccupazione per l'apertura dell'amministrazione USA a imporre sanzioni alla CPI e ai suoi collaboratori. Una misura che, ovviamente, potrebbe riguardare la stessa Amal Clooney.

Nelle ore seguenti l'annuncio del procuratore Khan, Biden – insieme ad altri leader democratici e repubblicani – aveva infatti pesantemente attaccato la decisione della CPI: «La richiesta del procuratore della Corte penale internazionale di emettere mandati di arresto contro i leader israeliani è scandalosa. E permettetemi di essere chiaro: qualunque cosa questo procuratore possa insinuare, non c'è alcuna equivalenza - nessuna - tra Israele e Hamas. Saremo sempre al fianco di Israele contro le minacce alla sua sicurezza». 

Inizialmente, appunto, l'amministrazione Biden aveva segnalato la volontà di collaborare con il Congresso statunitense per punire la CPI, compresa la possibilità di imporre sanzioni all'organizzazione. Un progetto, questo, portato avanti con dedizione dal Congresso, che martedì scorso ha approvato una legge che punta proprio a imporre sanzioni alla CPI. Nel frattempo, tuttavia, l'amministrazione Biden ha cambiato posizione. E in un comunicato ha fatto sapere, anzi, di «opporsi fermamente» alla misura, perché «potrebbe richiedere sanzioni contro il personale del tribunale, i giudici, i testimoni e gli alleati e partner statunitensi che forniscono un sostegno anche limitato e mirato al tribunale in una serie di aspetti del suo lavoro». Tutto grazie alla telefonata di Clooney? Non è chiaro, dalla cronologia fornita dal Washington Post, se questa inversione di marcia sia dovuta all'intervento dell'attore.

Ma una cosa è certa: la chiamata ha impensierito, e non poco, la Casa Bianca. La telefonata in questione, spiega il quotidiano, è infatti arrivata poche settimane prima della partecipazione di George Clooney a una raccolta fondi per la campagna di rielezione di Biden il 15 giugno a Los Angeles. Solo il primo di una serie di eventi che vedrà l'attore in prima fila in sostegno dell'81.enne. Clooney, insomma, per Biden non è solo una simpatica star, ma un importante sostenitore per la corsa alla rielezione. Di qui, forse, la decisione di accettarne i miti consigli: lasciare in pace la CPI.

«Come mafiosi»

Già nei mesi precedenti la decisione di Khan, le pressioni internazionali sulle spalle del procuratore e del suo team si erano moltiplicate. Settimane prima dell'annuncio, in particolare, alcuni senatori repubblicani statunitensi avevano addirittura minacciato sanzioni contro tutti i collaboratori della Corte penale internazionale se avessero portato avanti il caso contro Netanyahu. Da noi contattato, il professore di diritto internazionale all’UniGe Marco Sassòli aveva definito «inaccettabili» simili minacce: «In generale, come evidenziato a suo tempo dal procuratore stesso, azioni di questo tipo rappresentano un delitto ai sensi dell'articolo 70 dello statuto della CPI (reati contro l'amministrazione della giustizia, ndr). Minacciare giudici o procuratori per evitare che facciano il proprio lavoro rappresenta una pratica completamente inaccettabile, da mafiosi. Gli Stati Uniti di Trump già avevano imposto sanzioni contro il procuratore e membri della CPI per aver aperto un'indagine sull'operato di soldati americani attivi in Afghanistan, sanzioni poi tolte dall'amministrazione Biden. Con la questione ucraina e l'azione della CPI contro Putin, gli Stati Uniti avevano poi assunto una posizione molto favorevole nei confronti della Corte penale internazionale, ma ora le cose, con ogni probabilità, cambieranno nuovamente. Naturalmente questi senatori, trovandosi negli Stati Uniti (Paese al di fuori della giurisdizione CPI, ndr), non possono essere perseguiti in base all'articolo 70. Ma se venissero in Svizzera o in qualsiasi altro Paese sotto la competenza della CPI, chissà: in teoria, in questo caso, potrebbero essere posti sotto accusa».