L'intervista

«La crisi politica francese è iniziata con la rielezione di Emmanuel Macron»

Michele Marchi, storico dell’Università di Bologna: «Il punto di non ritorno c’è stato lo scorso anno quando il voto anticipato ha impedito di avere maggioranze chiare»
Il primo ministro francese François Bayrou è stato sfiduciato dall'Assemblea nazionale. ©Christophe Ena
Dario Campione
09.09.2025 06:00

Michele Marchi, associato di Storia dei sistemi politici euro-mediterranei all’Università di Bologna, da anni analizza la politica francese, argomento su cui ha scritto numerosi saggi, molti dei quali pubblicati dalla rivista Il Mulino.

«Nella Francia di oggi - dice Marchi al Corriere del Ticino - ci sono, credo, almeno due elementi di crisi: uno politico e uno economico. La crisi politica è iniziata con la rielezione di Emmanuel Macron nel 2022. Il presidente ha sì riconquistato l’Eliseo per un secondo mandato, ma senza ottenere una maggioranza assoluta in Parlamento. Il punto di non ritorno c’è stato, però, nel giugno del 2024, subito dopo le elezioni europee vinte dalla destra di Marine Le Pen. Macron ha sciolto l’Assemblea nazionale e dal voto non solo non è uscita una maggioranza assoluta, ma nemmeno una maggioranza relativa. Da lì parte la cronica situazione di instabilità che ci trasciniamo fino a oggi».

Poi c’è la questione economica. «François Bayrou è stato nominato primo ministro perché la Francia, con la caduta del governo di Michel Barnier, era rimasta senza finanziaria - dice Marchi - Così, il 15 luglio scorso, Bayrou ha convocato una conferenza stampa, definita “Il momento di verità”, nella quale ha tracciato le linee del suo progetto economico-finanziario e ha messo sul tavolo, tra gli altri, i temi scabrosi del debito pubblico e del deficit del Paese. Il debito francesca ormai veleggia verso il 114% del PIL, e se non si intervenisse potrebbe toccare nel 2029 il 125% del PIL». Un quadro complesso, aggravato anche dall’andamento della Borsa di Parigi - l’unica in Europa ad essere rimasta in territorio negativo dopo le elezioni europee - e dall’aumento dello spread dei titoli di Stato.

Uscire da questa doppia crisi è una sorta di scommessa. Che Macron affronta senza avere più il consenso dei cittadini. «Un recentissimo sondaggio dice che quasi un francese su due vorrebbe le dimissioni del presidente. Un’opzione improbabile, così come inverosimile appare un nuovo scioglimento dell’assemblea legislativa - spiega ancora lo storico emiliano - La possibilità più accreditata, almeno in questa fase, è invece la scelta di un primo ministro più vicino alle posizioni di centro-sinistra o addirittura socialista. Se con Barnier, nell’autunno del ’24, Macron aveva puntato su un primo ministro di centro-destra che potesse guardare a destra, con Bayrou ha provato a saldare il centro. La scelta di un socialista - addirittura si parla del segretario del PS Olivier Faure - l’idea potrebbe essere di compattare il blocco centrale: liberali, ex gollisti, socialisti. I numeri basterebbero per la sopravvivenza, anche se il tentativo di far passare la finanziaria 2026 utilizzando l’articolo 49.3, quello cioè che permette di saltare il voto del Parlamento, sicuramente sarebbe seguito da una nuova mozione di sfiducia. E da una nuova conta».

L’alternativa a Faure, ragiona ancora Marchi, «potrebbe essere Bernard Cazeneuve, l’ultimo primo ministro di François Hollande. Cazeneuve è uscito dal PS ma resta una personalità di peso del mondo socialista, mantiene buoni rapporti con una parte consistente del partito e metterebbe i socialisti in difficoltà di fronte a una mozione di censura di un ex premier proveniente dalla loro famiglia politica». Una cosa è evidente, conclude Marchi, «la maggior parte dei deputati è contraria a uno scioglimento delle Camere poiché teme di perdere il seggio. E non dimentichiamo un ultimo elemento, non secondario: il processo d’appello contro Marine Le Pen», fissato tra gennaio e febbraio del prossimo anno. In caso di assoluzione, la leader della destra potrebbe tornare a sperare nella corsa all’Eliseo. In caso di condanna, sarebbe invece fuori dai giochi. «In entrambe le situazioni, il quadro sarebbe più chiaro in vista delle presidenziali dell’aprile 2027».

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