«La guerra ha diviso le famiglie, ma il prossimo Natale sarà migliore»

In tavola ci sono gli holubtsi, involtini di cavolo con riso e funghi, i varenyky, gli gnocchi simbolo di prosperità, il borsch con le prugne, i sichenyky, le polpette con i piselli. E poi il pesce, fritto o al forno, i deruny, le frittelle di cipolle, e ancora le patate bollite spalmate di aglio e olio, il cavolo in umido, i pancake, le crespelle, l'uzvar, un succo di pere e albicocche secche, il pane e poi, immancabile, la kutya, il piatto più importante della cena di Natale, preparato con grano bollito e condito con miele, semi di papavero, noci e frutta secca. Mangiare questo piatto alla vigilia del Natale ortodosso, da celebrare il 7 gennaio secondo il calendario giuliano, è considerato di buon auspicio per l'anno in arrivo ed è inoltre simbolico di una connessione fra mondo dei vivi e regno dei morti: gli ucraini credono infatti che nella notte di Natale gli spiriti degli antenati si seggano a tavola, per festeggiare insieme ai loro eredi terreni. In tutto sono dodici piatti, dodici come gli apostoli, dodici come i pezzi di legno con i quali Dmytro, all'inizio del pomeriggio, ha acceso il fuoco dentro il camino nella sua casa di Lapaivka, a una ventina di minuti in macchina dal centro di Leopoli. Dopo aver sistemato con cura al centro della tavola il didukh, una decorazione natalizia composta di grano, e aver nascosto sotto la tovaglia, ai quattro angoli, degli spicchi d'aglio, per tenere lontane le forze maligne, prende il telefono e chiama il figlio, Oleksandr, uno dei suoi tre ragazzi impegnati al fronte.
La prima volta
«Per la prima volta festeggeremo senza di loro, ed è una tristezza difficile da spiegare. Io e mia moglie viviamo per il Natale, per questo momento nel quale, una volta l'anno, la famiglia si ritrova insieme, e invece ci hanno portato via pure questo. Credo sia il dolore più grande portato dalla guerra: aver diviso le famiglie. Migliaia di morti, milioni di rifugiati, mariti, mogli, figli, nipoti, nonni, a centinaia di chilometri di distanza. Celebriamo questo Natale soltanto nella speranza che il prossimo sia migliore, che fra un anno esatto i miei figli possano essere di nuovo seduti qui, con noi, intorno a questo tavolo». Dmytro, che è andato in pensione a febbraio del 2022, a poche settimane dall'invasione russa, accoglie nella sua casa, per la cena della vigilia, le due figlie, le mogli dei suoi tre ragazzi in guerra e i suoi undici nipoti. «È soprattutto per loro, per i bambini, che dobbiamo tenere duro, che non dobbiamo farci prendere dallo sconforto».
Vivacità, nonostante tutto
Le strade del centro di Leopoli, la mattina del 7 gennaio, sono stranamente vivaci, nonostante le prime sirene antiaereo siano suonate subito dopo la fine del coprifuoco, poco dopo le 5. Lungo il viale Svobody, intorno alla piazza del mercato, Rynok, si vedono gruppi di donne con la tradizionale vyshyvanka, la camicia ricamata ucraina, mentre i bambini, anche loro in abiti tipici, cantano e giocano all'uscita della messa solenne, celebrata nella cattedrale dell'Assunzione. «Ieri sera abbiamo passato le ultime ore della vigilia in un rifugio antiaereo, visto che continuavano a suonare gli allarmi» racconta Eugenia, ventisei anni, due bambini di quattro e due anni e un marito in battaglia, a Kherson, in prossimità del fiume Dnipro, sul fronte orientale, una delle città più calde della guerra. «I bambini hanno cantato tutto il tempo e adesso per loro è arrivato il tempo di esibirsi qui in strada, finalmente, insieme ai loro coetanei». La ricerca di normalità è la chiave del primo Natale di guerra in Ucraina. Anche per questo a Leopoli, come dichiarato dal sindaco Andriy Sadovyi, le celebrazioni proveranno ad andare avanti sino al 19 gennaio, come da tradizione, e i cantori degli inni di Natale resteranno in giro per la città, bombardamenti permettendo, durante tutte le ore del giorno. «Noi siamo rientrati a Leopoli appena due giorni fa, da Cracovia – spiega Oleksandra, una signora di cinquantacinque anni che ha raggiunto il centro della città con i tre nipoti e la figlia –. Dopo sei mesi lontano da casa non potevamo passare il Natale lontano da mio marito, dal marito di mia figlia. Allora abbiamo preso un treno e almeno per qualche giorno resteremo qui: poi torneremo in Polonia. Per resistere dobbiamo continuare a essere una famiglia, ad ogni costo».
La forza d'animo
La forza d'animo della popolazione civile emerge forte durante queste feste. I costanti tagli alle forniture elettriche, i bar che vanno avanti al lume di candela, i filobus costretti a fermarsi nel bel mezzo di una corsa, con i passeggeri a ripararsi nei rifugi più vicini al suono delle sirene, sono diventati momenti di straordinaria normalità in una città resiliente, che si è caricata sulle spalle il peso di rappresentare l'Ucraina in cui tutto continua ad andare avanti, nonostante le difficoltà della guerra. Le celebrazioni natalizie, che riempiono le vie del centro, con i negozi aperti e i militari in giro a distribuire ai bambini frittelle, con l'immancabile didukh sempre in bella vista, sono un'ennesima rappresentazione di un Paese che ha in Leopoli la sua città rifugio, il simbolo di una popolazione che non ha nessuna intenzione di arrendersi.